Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9381 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. III, 08/04/2021, (ud. 23/11/2020, dep. 08/04/2021), n.9381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25238/2017 proposto da:

S.G., D.M.P., rappresentati e difesi dall’avvocato

NADIA SPALLITTA, domiciliazione p.e.c. nadiaspallitta.pecavvpa.it;

– ricorrenti –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI PALERMO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALDO FICI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avvocato Francesco Visco, in Roma, via Panaro n. 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 562/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

D.M.P. e S.G., quali eredi di S.A., proponevano opposizione all’ingiunzione pronunciata del R.D. n. 639 del 1910, ex art. 2, per la restituzione, in favore della Provincia Regionale di Palermo, delle somme corrisposte al “de cuius” a titolo di indennità per le funzioni di amministratore riferite all’area metropolitana;

deducevano, in particolare, l’inesistenza del credito restitutorio, per essere stata corrisposta doverosamente l’indennità in relazione all’incarico di amministratore dell’ente, la carenza di prova del “quantum”, anche tenuto conto che era stata richiesta illegittimamente la rifusione al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, la percezione in buona fede dell'”accipiens”, la prescrizione;

il Tribunale revocava l’ingiunzione ritenendo non provato nella sua esatta determinazione il credito da parte dell’ente locale attore sostanziale, posta l’insufficienza della documentazione unilateralmente prodotta da quest’ultimo;

la Corte di appello riformava la decisione osservando che: la Città Metropolitana di Palermo era succeduta legalmente alla Provincia Regionale omologa, sicchè l’estinzione di quest’ultimo ente, non dichiarata nel processo, non era ostativa; l’eccezione di prescrizione era infondata poichè la stessa era decennale, afferendo ad indebito oggettivo; l’indennità era fondata sull’effettivo svolgimento di funzioni assessoriali in concreto non avvenuto; la Delibera che aveva stabilito l’indennità, revocata con altro provvedimento però annullato in sede giurisdizionale amministrativa, non era vincolante e poteva essere disapplicata dal giudice ordinario; la buona fede avrebbe potuto rilevare solo quanto a frutti e interessi; era l’opponente attore a dover provare, come non avvenuto, la fondatezza della pretesa, a fronte della presunzione di legittimità derivante dagli atti amministrativi pretensivi e coerenti con i conteggi degli organi contabili; la restituzione era dovuta anche al lordo delle ritenute perchè l’amministrazione, quale sostituto d’imposta, non avrebbe potuto richiedere la restituzione delle entrate fiscali versate in eccesso, a differenza di quanto doveva dirsi per gli opponenti a norma dell’art. 10, lett. d bis del TUIR;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione D.M.P. e S.G., quali eredi di S.A., articolando sette motivi;

resiste con controricorso la Città Metropolitana di Palermo;

le parti hanno depositato memorie.

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 5, della L.R. Siciliana n. 15 del 2015, poichè la Corte territoriale avrebbe errato mancando di considerare che:

a) l’appello era del 2010, e l’ex Provincia si era estinta nel 2015;

b) l’estinzione era regolata da norme primarie tassative sicchè non era dato più comprendere a quale titolo potesse dirsi spendibile la procura difensiva rilasciata da soggetto inesistente;

c) la disciplina di settore aveva previsto solamente come possibili alcuni atti di bilancio, nelle more dell’avvio del nuovo ente territoriale che aveva assunto le correlative funzioni, e che, nelle more dell’insediamento dei nuovi organi, le funzioni delle ex Province erano svolte, non oltre il 2015, dai commissari straordinari pure previsti, sicchè l’appello dell’ente estinto non aveva più base legale e avrebbe dovuto essere considerato inammissibile o improcedibile;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 2033,2697, c.c., T.U. n. 917 del 1986, art. 47, L.R. Siciliana n. 9 del 1986 e L.R. Siciliana n. 10 del 1991, L. n. 241 del 1990, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che dalla consulenza tecnica officiosa di prime cure e dai documenti prodotti, e disponibili dall’amministrazione, emergeva il mancato introito delle somme quali richieste in restituzione, e in specie per gli anni 1996 e 1998 per cui l’indennità maggiorata era stata percepita solo in parte, ferma l’illegittimità della richiesta restitutoria al lordo delle ritenute mai percepite come tali;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 5, della L.R. Siciliana n. 9 del 1986 e L.R. Siciliana n. 41 del 1993, L. n. 26 del 1993, in uno ai decreti presidenziali del 10 agosto 1995, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’indennità in parola era correlata all’incarico poichè le norme non facevano alcun riferimento alla fase esecutiva e attuativa del nuovo ente territoriale, fermo che il funzionamento era stato avviato come desumibile da programmi amministrativi relativi a vari settori dell’area metropolitana;

con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 2948 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la prescrizione era quella quinquennale delle prestazioni periodiche e che comunque i crediti per le somme afferenti al 1996 erano estinti anche nella prospettiva decennale, ferma la violazione del principio di consolidamento degli atti amministrativi;

con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 2697 c.c., L.R. Siciliana n. 9 del 1986, L. n. 241 del 1990, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che era documentalmente risultata attività dell’ente, afferente ai progetti di tram, rete metropolitana, raddoppio dell’anello ferroviario;

con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c. e del R.D. n. 639 del 1910, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’amministrazione opposta era attrice sostanziale e avrebbe dovuto fornire prova compiuta del credito, come non avvenuto e come non poteva avvenire sulla base dell’affermata presunzione di legittimità di atti amministrativi che, quanto alla revoca della Delibera di determinazione dell’indennità, erano stati annullati, senza che potesse aver rilievo il motivo formale della caducazione;

con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,114,115,116 c.p.c., art. 97 Cost., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare il legittimo affidamento in buona fede del percettore delle somme, e l’incidenza della restituzione sull’emolumento residuo ai sensi dell’art. 36 Cost., comunque impossibile da valutare senza analitici conteggi mai esposti;

Rilevato che:

preliminarmente si osserva che nel controricorso è stata formulata un’eccezione, dalla Città Metropolitana di Palermo, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perchè diretto nei confronti della Provincia Regionale omologa non più esistente;

l’eccezione – che sarebbe stata da correlare alla prima censura del ricorso, oggetto di rinuncia come da memoria – dev’essere disattesa;

la Corte territoriale ha espressamente affermato che, nel corso del giudizio di appello, alla Provincia Regionale di Palermo è subentrata la corrispondente Città Metropolitana, con successione “ex lege”, sicchè, non essendovi stata dichiarazione a tal fine del procuratore costituito, non si era verificata alcuna interruzione del giudizio;

queste statuizioni non sono state oggetto di ricorso incidentale da parte della Città Metropolitana controricorrente, e non sono state (idoneamente) censurate dagli odierni ricorrenti;

quanto alla Città Metropolitana, la stessa, quale giusta parte (Cass., Sez. U., 30/01/2020, n. 2087, pagg. 7-8) si è difesa nel merito, superando la nullità derivante dalla notifica a persona giuridica già estinta con fenomeno successorio (cfr. Cass., 15/11/2014, n. 24993);

può per chiarezza espositiva osservarsi che:

a) la Provincia Regionale di Palermo è stata estinta per effetto della L.R. Siciliana n. 8 del 2014 e L.R. Siciliana n. 15 del 2015, che hanno costituito, assegnando le corrispondenti funzioni amministrative, i Liberi Consorzi Comunali, tra cui Palermo, territorialmente composti dai comuni appartenenti alla corrispondente Provincia Regionale, ai quali, viceversa, hanno corrisposto le così costituite Città Metropolitane, tra cui quella di (OMISSIS) (L.R. n. 8 del 2014, art. 1, comma 2, L.R. n. 15 del 2015, artt. 1, 2, 3, art. 27, comma 1, secondo cui, inoltre, fino all’approvazione dei relativi statuti si applicano quelli delle ex Province);

b) in questa cornice di riferimento, come visto, la Corte territoriale ha affermato che, nel corso del giudizio di secondo grado ovvero non al momento della sua proposizione, si era verificata un’estinzione con successione, legale, non dichiarata, pertanto senza inammissibilità o improcedibilità originarie nè impedimenti alla sua prosecuzione, e queste ragioni decisorie non sono intaccate dal profilo in scrutinio;

venendo alle censure, il primo motivo di ricorso, come anticipato, è stato espunto dall’esame;

il secondo motivo è inammissibile;

la censura si basa sul richiamo a documenti e atti processuali,tTè non riportati nella misura necessaria in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6;

sono infatti inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

quanto sopra vale anche per i documenti che attesterebbero la percezione di somme inferiori al netto, a fronte della richiesta maggiore al lordo delle ritenute, restando per questo assorbita l’ambigua menzione della Corte di appello riguardo all’IRPEF “presumibilmente versata a S.A. in ragione degli ulteriori compensi ricevuti” (pag. 9);

il terzo e quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

in primo luogo i ricorrenti non dimostrano di aver coltivato la difesa qui esposta nelle fasi di merito, dal che deriva un’inammissibile novità della questione;

infatti, altro è valorizzare la mancanza di una Delibera amministrativa di revoca del provvedimento che aveva autorizzato e determinato l’indennità in contesa – unico profilo di cui sul punto discorre la Corte territoriale – altro è dedurre, come dal ricorso non risulta aver fatto la difesa ricorrente nel giudizio di appello, che l’indennità sarebbe spettata per la sola carica a prescindere dal concreto funzionamento del relativo ente;

a quest’ultimo riguardo, il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6 e neppure dimostra, nel corpo dello stesso ricorso, compiutamente, secondo i canoni sopra richiamati, di aver allegato e operato tutte le relative produzioni e articolazioni istruttorie, con il correlativo contenuto, quando argomenta, invece, di un preteso iniziale funzionamento dell’ente medesimo, tale, evidentemente, da giustificare l’indennità pur nella prospettiva della Corte territoriale;

infine, la ricostruzione del giudice di appello dev’essere in ogni caso avallata anche nel merito, non risultando alcun esplicito elemento normativo per ipotizzare un’indennità di posizione e non, in coerenza con la finalità sottesa a ogni erogazione pubblica, di funzione, come tale legata all’operatività e allo svolgimento concreto e giustificativo della stessa;

il quarto motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

la censura è innanzi tutto aspecifica, in quanto afferma apoditticamente la sussistenza di una prescrizione quinquennale senza argomentare avverso il rilievo per cui la prescrizione era decennale trattandosi di indebito oggettivo;

in secondo luogo la censura si mostra priva di decisività (rispetto alla percezione nel 1996 e all’accertata prescrizione decennale) quando discorre di mancanza di atti interruttivi (rilevabili, si rammenta, officiosamente, quando risultanti dagli atti: cfr., ad es., Cass., 07/06/2018, n. 14755 e succ. conf.), se solo di osserva che la stessa difesa ricorrente indica la richiesta di pagamento ricevuta nel 2005 e riscontrata a gennaio 2006 (pag. 6 del ricorso);

il settimo motivo, da esaminare prioritariamente rispetto al sesto per logica espositiva, è in parte inammissibile, in parte infondato;

si fa ancora una volta riferimento aspecifico ad allegazioni, quali quella del non meglio precisato consolidamento degli atti amministrativi, che, per un verso non incidono sulla ragione decisoria inerente alla disapplicabilità della Delibera amministrativa di autorizzazione e determinazione dell’indennità – a prescindere dall’annullamento della correlata revoca, evocato ancora in memoria da parte ricorrente – e, per altro verso, adducono questioni nuove come quella, parimenti generica, riferita all’incidenza sulla retribuzione del dante causa dei ricorrenti;

quanto alla rilevanza della buona fede solo relativamente a frutti e interessi, trattandosi di indebito oggettivo pubblico, la Corte territoriale ha pronunciato in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 08/04/2010, n. 8338, Cass., 20/02/2017, n. 4323);

il sesto motivo è invece fondato;

la Corte territoriale ha basato l’accertamento quantitativo sulla ricostruzione degli organi contabili della stessa parte pubblica, indicati come assistiti da una presunzione di legittimità tale da superare anche pur riportate lacune documentali (pag. 9 della sentenza gravata, secondo capoverso) incidenti altresì sulle mancate risposte del consulente di ufficio di prima istanza (pag. 8 della sentenza, ultimo capoverso);

la più recente giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’amministrazione convenuta in giudizio di opposizione ad ingiunzione del R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per l’accertamento di un credito, assume la posizione sostanziale di attrice, sicchè, ai sensi dell’art. 2697 c.c., è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, mentre l’opponente deve dimostrare la loro inefficacia ovvero l’esistenza di cause modificative o estintive degli stessi;

nè vale obiettare che la menzionata ingiunzione cumula in sè la natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla p.a. nell’esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento, e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva, in quanto ciò non implica affatto che nel giudizio di opposizione l’ingiunzione sia assistita da una presunzione di verità, dovendo piuttosto ritenersi che la posizione di vantaggio riconosciuta alla parte pubblica sia limitata al momento della formazione unilaterale del titolo esecutivo (possibile senza previo accertamento: cfr. ad es. Cass., 27/12/2019, n. 34552), restando escluso – perchè del tutto ingiustificato in riferimento a dati testuali e ad un’esegesi costituzionalmente orientata in relazione all’art. 111 Cost. – che essa possa permanere anche nella successiva fase contenziosa, in seno alla quale il rapporto deve essere provato secondo le regole ordinarie (Cass., 16/05/2016, n. 9989, ma anche Cass., 26/09/2019, n. 24040, in cui si chiarisce che tale posizione di attore sostanziale vale, come inevitabile nella ricostruita chiave ermeneutica, sia in tema di entrate tributarie, pubbliche, che in ambito privatistico);

in altri termini la fattispecie, in questa decisiva prospettiva costituzionalmente orientata, è suscettibile di essere accostata non a un’azione di accertamento negativo (come pure è stato ritenuto in passato: v. Cass., 11/02/2009, n. 3341, che faceva seguito a un orientamento precedente, traendone le inevitabili conseguenze sul piano degli oneri probatori), quanto alle opposizioni ai titoli definiti in dottrina paragiudiziali, quali le ordinanze ingiuntive, in cui, al pari dei giudizi oppositivi tributari, è la parte pubblica che, dopo aver ragionevolmente fruito, come tale, della possibilità di adottare un provvedimento esecutivo, deve provare la fondatezza di ciò che pretende ove questa sia ritualmente contestata;

la suddetta prova, quindi, non potrà essere evidentemente offerta mediante dichiarazioni della stessa parte, come quelle dei propri organi contabili, nè potrà essere elusa rievocando la presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ipotizzabile, invece, sino al dispiegarsi dell’opposizione;

applicandosi i principi generali, si rammenta che chi allega di avere effettuato un pagamento non dovuto o dovuto solo in parte – in specie in relazione a un unico titolo che, come nel caso, venga in questione tra le parti e proponga nei confronti dell'”accipiens” l’azione d’indebito oggettivo, se del caso per la somma versata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa del pagamento, quale affermata, “in toto” o per la parte che si assume non dovuta (cfr., di recente, Cass., 12/06/2020, n. 11294), e, per la stessa ragione, ha pure l’onere di provare l’esborso di cui chiede la restituzione;

questa ripartizione degli oneri della prova non può essere elusa scegliendo la via dell’ingiunzione in parola, ammissibile per formare un provvedimento già esecutivo, ma non agli ulteriori effetti scrutinati;

ne discende la cassazione “parte qua”;

spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e secondo motivo, rigetta il terzo, quarto, quinto, settimo, accoglie il sesto, cassa la decisione impugnata in relazione e rinvia alla Corte di appello di Palermo perchè si pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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