Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9378 del 20/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 20/04/2010), n.9378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., T.D., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ROMEO ROMEI 23, presso lo studio dell’avvocato CAPUZZI

FILIPPO GIUSEPPE, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FENZA MASSIMO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.G.F., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato DE MONTIS MARIA GLORIA, giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 776/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 24/11/2005 R.G.N. 541/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato CAPUZZI FILIPPO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato DE MONTIS MARIA GLORIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 15-11-1999 M.G.F. adiva il Tribunale di Oristano perchè, previo accertamento della esistenza della impresa familiare (relativa alla conduzione di una stazione di rifornimento di carburanti AGIP) con il fratello M.A. e con la cognata T.D. fin dal 1975 (e non soltanto dall’epoca della scrittura del dicembre 1980), condannasse il fratello A., titolare dell’impresa, alla integrazione del diritto al mantenimento in ragione della effettiva condizione patrimoniale della famiglia e per i periodi (di malattia o di ferie) in cui lo stesso era stato completamente negato nonchè alla liquidazione dei propri utili, compreso l’avviamento, nella misura del 40% o in quell’altra ritenuta di giustizia ed ai danni derivanti dalla ingiustificata estromissione dalla impresa familiare.

Si costituiva il M.A., chiedendo in via pregiudiziale la integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie T. D. e resistendo alla domanda della sorella, della quale chiedeva il rigetto.

Integrato il contraddittorio, si costituiva anche la T., riproponendo le difese e le conclusioni del marito.

Il Giudice del Tribunale di Oristano con sentenza non definitiva n. 402/2002 accertava la esistenza tra le parti di un rapporto di impresa familiare fin dal 1975 fino al marzo 1999 e condannò il M.A. ad integrare il mantenimento dovuto alla ricorrente nonchè a corrisponderle, per il periodo detto, la quota di partecipazione agli utili nella misura del 20%, rimettendo la causa in trattazione, con separata ordinanza, per la quantificazione delle somme dovute.

M.A. e T.D. formulavano rituale riserva di impugnazione avverso la detta sentenza non definitiva.

Espletata CTU il Giudice, con sentenza definitiva n. 481/2004, condannava M.A. al pagamento in favore della sorella della complessiva somma di Euro 64.782,59, oltre rivalutazione e interessi. In sostanza il Giudice, imputate le somme ricevute in costanza di rapporto dalla ricorrente a parziale adempimento dell’obbligo di mantenimento ex art. 230 bis c.c., decurtava tali somme dal reddito di impresa dichiarato dal M. e sul netto così ottenuto individuava la quota di partecipazione del 20% spettante alla attrice. A tale somma aggiungeva, poi, la quota di mantenimento maturata durante il periodo feriale goduto di 10 giorni all’anno, e durante la malattia di sei mesi patita nel corso del 1980, nulla avendo ricevuto la ricorrente.

Proponevano, quindi appello M.A. e la T., e M.G.F. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale.

La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza depositata il 24-11- 2005, dichiarava inammissibile l’appello incidentale (non avendo a suo tempo la appellata formulato riserva di impugnazione avverso la sentenza non definitiva) e, in accoglimento per quanto di ragione, dell’appello principale, condannava M.A. al pagamento in favore della sorella della complessiva somma di euro 38.896, 51 oltre rivalutazione e interessi dal 31-3-1999. nonchè oltre i due terzi delle spese del doppio grado.

In sintesi la Corte territoriale riteneva provata l’esistenza fin dal 1975 della dedotta impresa familiare e confermava la sentenza del primo giudice nella parte in cui aveva affermato che le somme corrisposte in costanza di rapporto rappresentavano il parziale adempimento dell’obbligo di mantenimento e nella parte in cui aveva riconosciuto che tale obbligo non poteva subire ridimensionamenti in relazione a periodi di malattia o di riposo estivo annuale.

La Corte, poi, pur confermando che il calcolo degli utili doveva essere effettuato al netto, e non al lordo, delle spese di mantenimento gravanti sul reddito della impresa, affermava che il primo giudice era incorso in talune evidenti incongruenze, omettendo di decurtare anche le spese relative al mantenimento del titolare e della moglie (entrambi partecipanti all’impresa familiare).

La Corte affermava, inoltre, che, nell’operare la detta decurtazione andava considerata la circostanza che M.A. e la T. “costituivano un autonomo nucleo familiare, con conseguente ripartizione, e quindi minor aggravio, di spese di mantenimento, di guisa che, applicando un fattore correttivo del 5%, rispetto alla quota ideale, si stimava equa, per la quantificazione del mantenimento, per entrambi i coniugi la quota del 61% a fronte di quella del 38,5% attribuibile alla appellata.

Sulla differenza così ottenuta la Corte calcolava infine la quota di partecipazione agli utili del 20% riconosciuta alla appellata.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso M. A. e T.D. con due motivi.

M.G.F. ha resistito con controricorso notificato tardivamente (oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 230 bis c.p.c., in sostanza deducono che i giudici di appello, ritenendo provato il fatto che l’impresa familiare tra le parti fosse stata costituita sin dall’anno 1975, avrebbero interpretato “contraddittoriamente le risultanze processuali”, in quanto, prima del 19-12-1980 “non è emerso durante il corso dell’istruttoria a che titolo la M. svolgesse le proprie mansioni.”.

Il motivo è inammissibile perchè del tutto generico ed inconsistente, in quanto i ricorrenti si limitano a manifestare il proprio dissenso dalla valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte d’Appello, senza indicare concretamente in quali vizi logici la stessa Corte sia incorsa e senza in alcun modo specificare in che modo la medesima abbia violato l’art. 230 bis c.c..

Peraltro la sentenza impugnata, dopo aver esaminato attentamente le risultanze della prova testimoniale, delle dichiarazioni delle parti e della scrittura del 19-12-1980, con valutazione di fatto congruamente motivata ha affermato che “l’accertata preesistenza rispetto a tale scrittura, e per svariati anni, della collaborazione tra i familiari con modalità operative da reputarsi identiche – alla stregua delle deduzioni fornite dal l’appellata, sul punto non specificamente contestate dalle controparti, le quali non hanno neppure allegato per tale periodo la esistenza di pattuizioni o schemi negoziali differenti – consente di ricondurre siffatta collaborazione all’istituto della impresa familiare anche per il quinquennio ricompreso tra il 1975, anno di entrata in vigore dell’art. 230 bis c.c., ed il dicembre 1980”.

Tale decisione resiste, quindi, ampiamente alla generica censura dei ricorrenti.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando parimenti violazione dell’art. 230 bis c.c., e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ripartito le spese di mantenimento applicando ad essi ricorrenti una quota pari al 61,5% a fronte di quel la del 38,5% attribuita, invece, alla M.G. F., previa applicazione di un fattore correttivo del 5%, rispetto alla quota ideale, in base alla considerazione che i coniugi M.- T. formando un nucleo familiare autonomo, avevano un minor aggravio di spese di mantenimento, laddove, invece, essi avevano anche una figlia, laddove la M.G.F. era nubile.

Anche tale motivo risulta inammissibile, in quanto tali circostanze di fatto, delle quali non vi è traccia nell’impugnata sentenza, risultano nuove e, d’altra parte, i ricorrenti neppure indicano se, con quale atto ed in che modo le stesse siano state eventualmente allegate davanti ai giudici di merito (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Peraltro la censura investe comunque una valutazione di fatto, riservata al giudice del merito, che è stata congruamente motivata dalla Corte territoriale e che non è suscettibile di revisione in questa sede, neppure sotto il profilo del controllo di logicità del giudizio di fatto consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Ira le altre, Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766).

Il ricorso va pertanto respinto e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese in favore della controricorrente (limitate alla attività svolta dal difensore in sede di discussione orale, stante la tardività del controricorso).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, in favore della M.G.F., liquidate in Euro 10,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

 

 

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