Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9378 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2021, (ud. 03/03/2021, dep. 08/04/2021), n.9378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 9538/2017 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– ricorrenti –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, in Piazza Cavour

s.n.c., presso la Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli

Avvocati NERI LIVIO, e GUARISO ALBERTO;

– controricorrente incidentale –

e contro

ETA BETA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 393/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 08/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. M.R. ha proposto ricorso ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 art. 28 e dell’art. 702 c.p.c., al Tribunale Giudice del lavoro di Brescia, nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) e della propria datrice di lavoro (ETA BETA S.p.A.), lamentando il carattere discriminatorio della negazione da parte dell’INPS dell’assegno del nucleo familiare per il periodo compreso tra settembre 2011 ed aprile 2014 nel corso del quale tutti i suoi familiari avevano lasciato l’Italia per rientrare nel paese d’origine (Pakistan) ed ha chiesto ordinarsi la cessazione di tale condotta con la condanna dell’INPS e di ETA BETA S.p.a. alla restituzione delle somme trattenute con predisposizione di un piano di rimozione degli effetti negativi ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28;

2. il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sostanzialmente accolto il ricorso e la Corte d’Appello di Brescia, su impugnazione proposta dall’INPS, ha confermato la decisione del Tribunale sulla base delle seguenti argomentazioni: a) il D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6 bis conv. in L. n. 153 del 1988, là dove esclude (salvo specifiche convenzioni internazionali o condizioni di reciprocità) dal novero dei membri del nucleo familiare cui è rivolto l’assegno i familiari dello straniero che non abbiano la residenza, da ritenersi effettiva e non solo formale, nel territorio della Repubblica, introduce una disciplina differente rispetto a quella generale fissata dalla L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, valevole per i cittadini dello Stato italiano per i quali l’assegno per il nucleo familiare spetta a prescindere dalla residenza dei membri del nucleo familiare medesimo; b) l’art. 11 della direttiva 2003/109/CE, primo paragrafo lett. d), prevede che il soggiornante di lungo periodo debba fruire dei medesimi trattamenti previsti per i cittadini quanto alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale ed alla protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale; inoltre, al secondo paragrafo, lo stesso art. 1 prevede che lo Stato membro può limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo o il familiare per cui questi chiede la prestazione abbia eletto dimora o residenza abitualmente nel suo territorio; infine il paragrafo quarto afferma che gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale alle prestazioni essenziali; c) la direttiva in esame è stata recepita in Italia dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, modificando il D.Lgs. 26 aprile 1988; n. 286, art. 9, ha, tra l’altro, previsto che il titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico (…) salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale; d) la prestazione dell’assegno al nucleo familiare prevista dalla L. n. 153 del 1988 ha natura assistenziale ed essenziale, ai sensi del tredicesimo considerando della direttiva 2003/109/CE, e come tale non può rientrare nelle deroghe alla regola della parità di trattamento; e) la L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 6 bis, si pone in contrasto con la direttiva 2003/109/CE e realizza una oggettiva discriminazione e va, dunque, disapplicato in presenza di disposizione contenuta nell’art. 11, paragrafo 1, della citata direttiva, di diretta applicabilità, sufficientemente precisa e priva di condizioni per la sua esecuzione;

5. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione fondato su di un unico motivo con il quale ha lamentato la violazione e o falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6 bis, convertito con modificazioni in L. n. 153 del 1988, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 43 e 44, anche in relazione all’art. 12 disp. gen., fonda tale denunzia sulla affermazione che, al contrario di quanto statuito dalla sentenza impugnata, l’assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. n. 69 del 1988, art. 2, conv. in L. n. 153 del 1988, ha natura previdenziale e non assistenziale e, comunque, anche in questo secondo caso non potrebbe considerarsi misura essenziale tale da impedire la deroga all’obbligo di osservare la parità di trattamento tra cittadini e stranieri; in ogni caso, poi, la questione interpretativa pone dei dubbi che avrebbero imposto al giudice di procedere con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia oppure con la proposizione di una questione di costituzionalità e non di disapplicare la norma nazionale;

6. M.R. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale fondato sull’unico motivo della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ragione della erronea compensazione delle spese del giudizio;

7. Eta Beta S.p.A. è rimasta intimata;

8. questa Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 9021 del 2019, ha disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, considerando che:

a) rileva nella fattispecie la situazione dei componenti del nucleo familiare del lavoratore M.R. proveniente da Stato terzo, occupato in Italia ed in possesso dello status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE del Consiglio e che tali componenti del nucleo familiare sono stati nel periodo rilevante per la causa pacificamente residenti in fatto in Pakistan (Stato terzo d’origine);

b) la materia della condizione lavorativa del cittadino di Stato terzo appartiene alla sfera di applicazione della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, nell’art. 2, lett. e), quanto alla definizione di “familiari” riferita ai cittadini di paesi terzi che soggiornano nello Stato membro interessato ai sensi della direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare; art. 11 – Parità di trattamento- paragrafo 1 lett. d);

c) la Direttiva del Consiglio 2003/109, nel considerando, ai punti 12, 13, 14 e soprattutto all’art. 11, paragrafo 1, lett. d) precede: “il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: (…) d) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale ai sensi della legislazione nazionale. (…) paragrafo 4, gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali (…);

d) dal punto di vista delle disposizioni nazionali viene in rilievo il D.L. n. 13 marzo 1988, n. 69, “Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, conv. con mod. in L. n. 153 del 1988”. Titolo I – NORME IN MATERIA PREVIDENZIALE – Art. 2 – 1. Per i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali, a decorrere dal periodo di paga in corso al 1 gennaio 1988, gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato e la maggiorazione di cui al D.L. n. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, cessano di essere corrisposti e sono sostituiti, ove ricorrono le condizioni previste dalle disposizioni del presente articolo, dell’assegno per il nucleo familiare.

2. L’assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo la tabella allegata al presente decreto. I livelli di reddito della predetta tabella sono aumentati di lire dieci milioni per i nuclei familiari che comprendono soggetti che si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, ovvero, se minorenni, che abbiano fifficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. I medesimi livelli di reddito sono aumentati di Lire due milioni se i soggetti di cui al comma 1, si trovano in condizioni di vedovo o vedova, divorziato o divorziata, separato o separata legalmente, celibe o nubile. Con effetto dal 1 luglio 1994, qualora del nucleo familiare di cui al comma 6, facciano parte due o più figli, l’importo mensile dell’assegno spettante è aumentato di Lire 20.000 per ogni figlio, con esclusione del primo.

3. (…). 4. (…). 5. (…).

6. Il nucleo familiare è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 38, di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di eta, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. Del nucleo familiare possono far parte, alle stesse condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero senza limiti di età, qualora di trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti.

6-bis. Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6, il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato dl cui lo straniero e cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L’accertamento degli Stati nei quali vige il principio di reciprocità è effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri.

7. (…) 8-bis (…) 9. (…)10. (…)11. (…)12. (…) 12-bis. (…)13. (…)14. (…);

e) è insorto un dubbio interpretativo relativo alla eventualità che il principio fissato dall’art. 11 – Parità di trattamento – paragrafo 1, lett. d) della citata direttiva 109/2003 comporti che i familiari del cittadino di Stato terzo, lungo soggiornante e titolare del diritto alla erogazione dell’assegno per il nucleo familiare di cui alla L. n. 153 del 1988, art. 2, pur risiedendo di fatto fuori dal territorio dello Stato membro ove questi presta attività lavorativa, siano inclusi nel novero dei familiari sostanziali beneficiari del trattamento stesso e ciò in quanto si deve ritenere che il nucleo familiare individuato dalla L. n. 153 del 1988, art. 2, non è solo considerato quale base di calcolo dell’importo relativo al trattamento familiare in oggetto ma ne è anche il beneficiario, per il tramite del titolare della retribuzione o della pensione cui lo stesso accede;

f) l’assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. n. 69 del 1988, art. 2 conv. in L. n. 153 del 1988, è dal punto di vista della sua struttura formale una integrazione economica di cui beneficiano tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano, i titolari di pensioni e di prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti da assicurazioni contro malattie, i dipendenti ed i pensionati degli Enti Pubblici, purchè abbiano un nucleo familiare che produca redditi non superiori ad una soglia individuata;

g) l’importo dell’assegno per il nucleo familiare viene quantificato in proporzione al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare;

h) quanto alla natura della prestazione, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha avuto modo di evidenziare la natura duplice dell’assegno per il nucleo familiare di cui alla L. n. 153 del 1988, art. 2:

– da un lato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 7 marzo 2008, n. 6179, hanno attribuito al trattamento in esame natura previdenziale essendo lo stesso fondato sul meccanismo finanziario di provvista della contribuzione dei datori di lavoro e di erogazione congiunta con la retribuzione (art. 2, comma 3 sopra riportato) e non essendo raccordato alla retribuzione del “capofamiglia” – come avveniva con il previgente D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 1 – ed al numero e qualità delle persone a carico, in misura differenziata per i vari comparti produttivi e settori merceologici; l’assegno per il nucleo familiare è infatti raccordato al reddito, di qualsiasi natura, e non del singolo lavoratore, ma a quello complessivo del suo nucleo familiare (comma 9) e nello stesso senso, la Corte Costituzionale (Corte Cost. 14 dicembre 1995, n. 516), ha evidenziato l’unificazione della funzione previdenziale del nuovo istituto che rafforza la stretta correlazione con il tipo di pensione goduta e valorizza gli elementi strutturali del trattamento familiare in esame in quanto finanziato dai contributi versati da parte di tutti i datori di lavoro (cui si aggiunge il concorso integrativo dello Stato L. n. 153 del 1988, ex art. 2, comma 13), ed il sistema di erogazione attuato mediante anticipazione del datore di lavoro che è autorizzato a porre a conguaglio quanto versato con il proprio debito contributivo;

– peraltro, Cass. n. 6351 del 30 marzo 2015 e Cass. n. 3214 del 2018, ricollegandosi a precedenti pronunce e valorizzando l’incidenza del numero e della condizione psico-fisica dei componenti del nucleo familiare e del reddito prodotto dal medesimo nucleo, hanno affermato la natura assistenziale dell’assegno per il nucleo familiare;

l) si è dunque affermato che l’istituto in esame realizza una compenetrazione tra strumenti previdenziali ed assistenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia; con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti e quindi tale istituto integra quelle rientranti nell’ambito della previsione di cui all’art. 11, paragrafo 1 lett. d della direttiva 2003/109/CE, che contempla ” le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale”;

9. la questione pregiudiziale ha dunque avuto ad oggetto il quesito se, poichè secondo il disposto della L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 6 bis, solo i familiari del cittadino straniero vanno esclusi dal nucleo familiare qualora rientrino nello Stato terzo e la loro residenza effettiva non possa più dirsi in Italia e non vi siano condizioni di reciprocità, la direttiva 2003/109/CE, art. 11, paragrafo 1 lett. d), osti alla previsione nazionale citata, precisato che per cittadino straniero deve intendersi il cittadino non appartenente all’Unione Europea, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni (T.U. Immigrazione);

10. con sentenza della CGUE Quinta Sezione nella causa C- 303/109 del 25 novembre 2020, è stato affermato che l’art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 osta a una disposizione come della L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 6, secondo il quale non fanno parte del nucleo familiare di cui a tale legge il coniuge nonchè i figli ed equiparati di cittadino di paese terzo che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica italiana, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia, posto che la Repubblica italiana non si è avvalsa della deroga consentita dall’art. 11, paragrafo 2, della medesima direttiva non essendo espresso una tale intenzione in sede di recepimento della direttiva 2003/109 nel diritto nazionale. Per cui l’art. 11 della detta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del soggiornante di lungo periodo, ai sensi dell’art. 2, lett. b), di detta direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo, qualora tale Stato membro non abbia espresso, in sede di recepimento di detta direttiva nel diritto nazionale, la propria intenzione di avvalersi della deroga alla parità di trattamento consentita dall’art. 11, paragrafo 2, della medesima direttiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

12. Occorre dare esecuzione alla sentenza della CGUE del 25 novembre 2020 sopra indicata in applicazione del principio generale di cooperazione, il quale impone a tutte le autorità statali di non adottare atti e/o comportamenti che possano determinare l’inadempimento di obblighi comunitari;

13. Secondo la giurisprudenza della C.G.U.E. (sentenza del 3 febbraio 1977 Luigi Benedetti contro Munari F.lli s.a.s.) che a sua volta si rifà a propri conformi precedenti, “(…) risulta da una giurisprudenza costante che la sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale per la definizione della lite principale (v., in particolare, sentenza 3 febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti, Racc. pag. 163, punto 26, e ordinanza 5 marzo 1986, causa 69ffi5, Wunsche Handelsgesellschaft, Racc. pag. 947, punto 13). 50 (…) il giudice nazionale ha la facoltà e, eventualmente, l’obbligo di deferire alla Corte, anche d’ufficio, una questione di interpretazione della sesta direttiva, se ritiene che una decisione della Corte sia necessaria su tale punto per pronunciare la sua sentenza e, quando ha effettuato tale rinvio, e vincolato dalla decisione della Corte allorchè esso pronuncia la sentenza che definisce la controversia principale”;

14. in particolare, in materia di rimozione di effetti antidiscriminatori derivanti da atti normativi, (C.G.U.E 22 gennaio 2019 C- 193/17) ha affermato che “(…)se è vero che gli Stati membri, conformemente all’art. 16 della direttiva 2000/78, sono tenuti ad abrogare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento, tale articolo non impone loro tuttavia di adottare determinati provvedimenti in caso di violazione del divieto di discriminazione ma lascia ai medesimi la libertà di scegliere, fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo che esso contempla, quella che appare la più adatta a tale effetto, in funzione delle situazioni che possono presentarsi (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2018, Stollwitzer, C-482/16, EU:C:2018:180, punti 28 e 30)”;

Rilevanza della questione di costituzionalità.

15. la Corte di Giustizia con la sentenza indicata ha dichiarato l’incompatibilità tra il D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis, conv. in. L. n. 153 del 1988 ed il principio di parità di trattamento di cui all’art. 11 lett. d) direttiva n. 109 del 2003: ciò si traduce nella considerazione che, ai fini dell’eliminazione dell’effetto discriminatorio da rimuovere, non è tanto significativa la condotta (meramente esecutiva della volontà di legge) osservata dall’INPS nel negare la prestazione economica dell’assegno per il nucleo familiare oggetto di ricorso, quanto la formulazione della disposizione italiana che disciplina la fattispecie concreta, per cui per dare piena esecuzione alla sentenza della CGUE in oggetto non è sufficiente limitarsi a respingere il ricorso per cassazione dell’INPS confermando la pronuncia di affermata disapplicazione adottata dalla Corte d’appello;

in altre parole, ad avviso di questa Corte di legittimità, la questione di merito rimessa al proprio ambito di giudizio non può essere risolta procedendo alla mera “interpretazione conforme”, non sussistendo in proposito quel margine di discrezionalità che consente all’interprete di scegliere tra due interpretazioni possibili della norma interna, a fronte della chiarezza e inequivocità del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis, là dove prevede: “Non fanno parte del nucleo familiare di cui a comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia”;

16. neppure può farsi ricorso alla tecnica di “disapplicazione” della norma in esame, giacchè tale evenienza potrebbe verificarsi solo alla condizione che la direttiva sia dotata di efficacia diretta cioè che la norma contestata sia suscettibile di essere disapplicata per contrasto con normative comunitarie; nel caso di specie non è individuabile una disciplina self-executing di tale matrice direttamente applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio, giacchè il diritto dell’Unione non regola direttamente la materia dei trattamenti di famiglia;

17. più in generale, non può dirsi che in via ordinaria attraverso l’utilizzo delle direttive, in materia previdenziale e non, il diritto dell’Unione realizzi l’effetto di sostituire la disciplina nazionale con una propria regolamentazione, cosa che invece avviene ove vengano emanati dei regolamenti;

18. ciò nonostante la progressiva attenzione posta in sede Europea nei riguardi della politica sociale (a partire dalle modifiche al Trattato istitutivo del 1957 e sino al Trattato di Lisbona del 2007, passando per l’Atto unico Europeo del 1986, per il trattato di Maastricht del 1992 e per il trattato di Amsterdam del 1997), con l’evidente spinta esercitata nel perseguimento degli obbiettivi della libera circolazione dei lavoratori all’interno dello spazio comune Europeo, con la fissazione del divieto di discriminazione per nazionalità, ed ancor di più con la previsione, ad opera soprattutto del fondamentale Regolamento n. 1408 del 1971, rielaborato dal Regolamento n. 883 del 2004 ed infine adottato dal Regolamento n. 987 del 2009, di specifiche discipline di coordinamento delle regole nazionali in tema di contribuzioni previdenziali e di singole prestazioni che costituiscono l’inveramento del cd. principio di sussidiarietà (5, paragrafo 3, TUE, art. 152 TFUE) sui quale poggia l’intervento delle istituzioni dell’Unione possibile quando: il medesimo non riguardi un settore di competenza esclusiva dell’Unione (competenza non esclusiva); gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (necessità); l’azione può, a motivo della portata o degli effetti della stessa, essere conseguita meglio a livello di Unione (valore aggiunto);

19. la direttiva n. 109 del 2003, all’art. 11 paragrafo 1 lettere d), dunque, pur imponendo allo Stato italiano di non trattare diversamente dagli altri destinatari, considerandoli quali componenti del nucleo familiare ai fini del calcolo dell’assegno familiare, i congiunti del lavoratore non cittadino Europeo anche se residenti in paese terzo, come ha affermato la Corte di giustizia con la sentenza del 25 novembre 2020 adita in via pregiudiziale da questa Corte di cassazione in seno a questo stesso giudizio, non è disciplina completa che consenta di affermare in via diretta il primato della (inesistente) disciplina Euro unitaria sulla disciplina nazionale;

20. in verità, l’affermazione che anche tale concreta ipotesi rientra nell’ambito protetto della direttiva (con la necessità di applicare il principio di parità di trattamento), non consegna al giudice nazionale un meccanismo normativo di immediata applicazione che possa realizzarsi solo ove la norma Europea sia in grado di sostituirsi integralmente, nell’applicazione concreta, a quella nazionale;

21. nel caso di specie, esclusa la possibilità di interpretare il testo di legge italiana in senso conforme alla lettura fornita dalla CGUE, non potendosi dare immediata applicazione ad una disciplina Euro unitaria inesistente, quella che viene definita “disapplicazione” altro non realizzerebbe che una modifica della norma nazionale mediante la sostituzione del criterio della reciprocità ovvero della specifica convenzione internazionale con quello della parità di trattamento, ove i destinatari diretti della prestazione siano cittadini di paesi non Europei titolari di un permesso di lungo soggiorno ai sensi della citata direttiva;

22. tale operazione, del tutto distante dal fenomeno che si suole descrivere con l’efficacia diretta delle direttive self executing, si tradurrebbe inevitabilmente in un intervento di tipo manipolativo inibito a questa Corte di legittimità che, nell’esercizio di un doveroso self restraint, non può estendere i propri compiti oltre quelli che l’ordinamento le attribuisce e che non possono oltrepassare l’limiti della interpretazione ed applicazione delle leggi;

23. in altre parole, quando – come nel caso di specie – la direttiva euro unitaria non produca effetti diretti e non sia possibile ad essa adeguare in via interpretativa le regole interne (ostandovi il chiaro tenore letterale di queste ultime), non resta che investire della questione la Corte costituzionale.

Non manifesta infondatezza.

25. Secondo l’interpretazione resa dalla sentenza della CGUE del 25 novembre 2020 sopra citata a proposito della direttiva n. 103 (le 2009 e segnatamente dell’art. 11, paragrafo 1 lett. d), lo Stato italiano viola la direttiva medesima quando con il D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis, conv. in L. n. 153 del 1988, non osserva la parità di trattamento tra i beneficiari cittadini nazionali ed Europei e quelli appartenenti a paesi terzi che siano anche titolari di permesso di lungo soggiorno ai sensi della medesima direttiva; tale accertata incompatibilità rende evidente la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6-bis, conv. in L. n. 153 del 1988, per violazione dell’art. 11 Cost. e dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione all’art. 11 paragrafo 1 lett. d) ed all’art. 1 paragrafo 1 lett. b), là dove, ai fini della determinazione del diritto all’assegno per il nucleo familiare, non vengono presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso di lungo soggiorno, ai sensi dell’art. 2 paragrafo i lett. a) b) ed e) della Direttiva 2003/109/CE – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

26. La giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 227 del 2010 e, in precedenza, le sentenze n. 232/1975, n. 183/1973, n. 98/1965 e n. 14/1964) ha individuato il sicuro fondamento del rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario nell’art. 11 Cost., in forza del quale la Corte ha riconosciuto, tra l’altro, il principio di prevalenza del diritto comunitario e, conseguentemente, il potere-dovere del giudice nazionale di dare immediata applicazione alle norme comunitarie provviste di effetto diretto in luogo di norme interne che siano con esse in contrasto insanabile in via interpretativa; ovvero di sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione di quel parametro costituzionale quando contrasto fosse con norme comunitarie prive di effetto diretto. Il novellato art. 117 Cost., comma 1 – che pure ha colmato la lacuna della mancata copertura costituzionale per le norme internazionali convenzionali, escluse dalla previsione dell’art. 10 Cost., comma 1 – ha dunque confermato espressamente, in parte, ciò che era stato già collegato all’art. 11 Cost., e cioè l’obbligo del legislatore, statale e regionale, di rispettare vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

27. Sempre la giurisprudenza costituzionale su richiamata ha affermato che non può attribuirsi effetto diretto, al fine di rendere possibile la disapplicazione della normativa nazionale incompatibile, all’art. 12 del Trattato CE, oggi art. 18 del TFUE, che vieta ogni discriminazione in base alla nazionalità nel campo di applicazione del Trattato. Anche sotto tale profilo è stato ritenuto corretto il ricorso al giudice delle leggi, poichè il contrasto della norma con il principio di non discriminazione non è sempre di per sè sufficiente a consentire la “non applicazione” della confliggente norma interna da parte del giudice comune. Invero, il divieto in esame, pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non è dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti, poichè è consentito al legislatore nazionale di prevedere una limitazione alla parità di trattamento tra il proprio cittadino e il cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e adeguata.

28, L’ipotesi di illegittimità della norma nazionale per non corretta attuazione della decisione quadro è riconducibile, pertanto, ai casi in cui, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, non sussiste il potere del giudice comune di “non applicare” la prima, bensì il potere-dovere di sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, integrati dalla norma conferente dell’Unione, ove, come nella specie, sia impossibile escludere il detto contrasto con gli ordinari strumenti ermeneutici consentiti dall’ordinamento.

Thema decidendum.

29. Il profilo della questione attiene, dunque, alla violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 2, paragrafo 1 lett. a), b) ed e) ed all’art., 11, paragrafo 1 lett. d) della Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, da parte del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6 bis, conv. in L. n. 153 del 1988, che assoggetta ad un regime peculiare, regolato dal principio della reciprocità o della apposita convenzione, i beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare non cittadini italiani (o Europei) che non risiedano sul territorio nazionale, piuttosto che ispirarsi A principio di parità di trattamento senza discriminare a causa della nazionalità, come pure espressamente vietato dall’art. 11 della Direttiva 2003/109 (applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso di lungo soggiorno come l’odierno contro ricorrente) che espressamente prevede il diritto dei lavoratori e dei loro familiari di cui all’art. 2, paragrafo 1 lettere a) b) ed e), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne – fra l’altro – all’art. 11 paragrafo 1 lettera d), i settori della sicurezza sociale definiti nel Reaolamento (CF) n. 883/2004.

Consegue alle argomentazioni sin qui svolte, che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, conv. in L. n. 153 del 1988, per contrasto con l’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in relazione alla direttiva 2003/109 art. 11, paragrafo 1 lett. d) ed art. 2, paragrafo i lettere a) b) ed e), che prevedono il diritto dei cittadini di paesi terzi titolari di permesso di lungo soggiorno di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne – fra l’altro – all’art. 11 paragrafo 1 lettera d), i settori della sicurezza sociale definiti nel Regolamento (CE) n. 883/2004.

A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

La cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, visti l’art. 134 Cost., L. Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1 e la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 69 de 1988, art. 2, comma 6 bis, conv. in L. n. 153 del 1988, per violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 2, paragrafo 1 lett. a), b) ed e) ed all’art. 11, paragrafo 1 lett. d) della Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, nella parte in cui anche per i cittadini non appartenenti all’Unione Europea titolari di permesso di lungo soggiorno, prevede che non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza ne territorio della Repubblica, salvo che dallo stato di cui o straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia, diversamente dagli altri beneficiari non cittadini stranieri.

Sospende il presente procedimento.

Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, u.c. e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla costituzionale.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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