Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9376 del 20/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 20/04/2010), n.9376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MONACI Stefano – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LA VALLE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALNERINA 40, presso lo studio

dell’avvocato SCARTOZZI GINO, che la rappresenta e difende, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G., S.R., B.E.,

S.A., B.S., C.R.,

C.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI

PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato IMBARDELLI FABRIZIO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CUOZZO GIOVANNI,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 145/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/02/2006 R.G.N. 728/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/02/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato SCARTOZZI GINO;

udito l’Avvocato CUOZZO GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 24 aprile 2003, La Valle s.r.l. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Castrovillari, giudice del lavoro, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità dei licenziamenti intimati a C.G. e S.R. in data (OMISSIS), per giustificato motivo oggettivo, nonchè dei licenziamenti disciplinari intimati a B.E., S. A., B.S., C.R., L.V. e C.F., in data 5 aprile 1997, con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società La Valle al risarcimento del danno, nella misura di cinque mensilità per ciascuno dei lavoratori, e regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale.

Con l’atto di gravame la società appellante chiedeva la totale riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari, assumendo, riguardo ai licenziamenti disposti nei confronti del C. e del S., la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, costituito dalla necessità di riduzione del personale in seguito alla soppressione di due autoservizi di linea, l’impossibilità di utilizzare i lavoratori a mansioni diverse da quelle di autista e l’assenza di assunzioni di altri dipendenti, atteso che il lavoratore C.A. era stato assunto e spostato dall’Azienda individuale L.V.G. alla La Valle s.r.l. solo per fronteggiare la situazione contingente e momentanea determinata dai lavoratori scioperanti, che avevano iniziato le loro azioni di protesta senza preavviso; e, riguardo al secondo ordine di licenziamenti, intimati agli altri lavoratori, che i recessi si erano resi necessari in conseguenza dell’azione intrapresa da costoro, che aveva portato, non solo all’astensione dal lavoro per diciotto giorni, ma anche il blocco di tutti gli automezzi della La Valle in modo da impedire che anche i servizi minimi necessari potessero essere garantiti e che le stesse motivazioni dello sciopero – indicate come rivendicazioni salariali – si erano rivelate infondate in sede giudiziaria.

Concludeva, pertanto, per la declaratoria di legittimità di entrambi i licenziamenti intimati.

Costituitisi, C.G., S.R., B. E., S.A., B.S., C.R. e C., F., assumevano l’infondatezza dell’appello e ne invocavano il rigetto.

L.V., sebbene ritualmente evocato in giudizio, ometteva di costituirsi.

Con sentenza del 17 novembre 2005-22 febbraio 2006, l’adita Corte di Appello di Catanzaro rigettava il gravame, osservando che la Società non aveva fornito la dimostrazione dell’impossibilità di adibire i due lavoratori – licenziati in data (OMISSIS) per giustificato motivo oggettivo – allo svolgimento di mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza e, prima ancora, che alla soppressione di due autoservizi di linea, posti a giustificazione dei licenziamenti, aveva fatto seguito, in un arco brevissimo di tempo, il ripristino degli stessi, essendo attinenti a servizio di concessione regionale e connesse ai relativi finanziamenti.

Analogamente dovevano ritenersi illegittimi i licenziamenti disciplinari intimati il 5 aprile 1997, in occasione dello sciopero, in quanto le modalità con cui si era svolta la manifestazione non giustificava la sanzione espulsiva.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la La Valle s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t. L.V.G. con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono i lavoratori con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminata l’eccezione, sollevata dai resistenti, di inammissibilità del ricorso per essere stato proposto dalla La Valle s.r.l., in persona del suo legale rappresentante sig. L.V. G., e non da La Valle s.r.l. in liquidazione, in persona del suo liquidatore sig. L.V.G., risultando dal certificato rilasciato in data 26 luglio 2006 dall’Ufficio delle Imprese presso la Camera di Commercio Industria e Artigianato di Cosenza, che in data 25 gennaio 2005 era stata aperta la procedura di liquidazione della società, con assunzione della carica di liquidatore da parte di L.V.G..

L’eccezione è priva di fondamento.

Invero, al fine dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione proposto da persona giuridica è necessario che la procura sia rilasciata da persona della quale sia indicata la qualità di amministratore ovvero dichiarata e dimostrata la qualità di titolare del potere rappresentativo sulla base di specifiche diverse previsioni statutarie o di deliberazioni assembleari; pertanto è inammissibile il ricorso ove la procura alle liti sia rilasciata da un soggetto diverso da quelli aventi per legge la rappresentanza della società e non sia dimostrata la sussistenza di tali poteri di rappresentanza, in forza di specifiche previsioni statutarie o di deliberazioni assembleari, in capo al soggetto firmatario.

Nel caso in esame – come sostenuto dalla stessa difesa dei resistenti e come risulta dagli atti di causa – il ricorso è stato proposto dalla La Valle s.r.l. in persona del legale rappresentante L.V. G. – così come la procura risulta rilasciata dallo stesso – e ciò nel pieno rispetto di quanto disposto dall’art. 2310 c.c., che attribuisce la rappresentanza legale della società in liquidazione al liquidatore, nella specie, appunto, L.V.G..

Del resto – come questa Corte ha avuto modo di precisare-, per effetto della messa in liquidazione, la società non si estingue nè muta di identità, ma, pur subendo una modificazione dello scopo che si converte in quello della liquidazione del patrimonio, continua ad esistere conservando intatta la struttura e l’organizzazione originarie (Cass. 15 giugno 1995 n. 6787).

Ciò posto, con il primo motivo di ricorso la società La Valle, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte di merito, nel dichiarare l’illegittimità dei licenziamenti intimati a C.G. e S.R. per giustificato motivo oggettivo, abbia trascurato di valutare decisive circostanze processuali scaturenti dal materiale probatorio acquisito, il cui attento esame avrebbe condotto ad una decisione diversa da quella espressa.

In particolare, l’omissione – incidente sulla valutazione della legittimità dei licenziamenti- si riferirebbe alla circostanza che tale C.A., contrariamente a quanto affermato dal Giudice a quo, sarebbe stato assunto a termine in concomitanza con la comunicazione, in data 24 marzo, di una sospensione dal lavoro da parte degli autisti dipendenti della società per il giorno successivo.

Analoga omissione sarebbe da ravvisare con riferimento alla circostanza concernente la mancata erogazione dei contributi regionali relativi a due servizi di linea, poichè un’attenta valutazione della stessa avrebbe giustificato il comportamento imprenditoriale.

A sostegno di tali argomentazioni, la ricorrente richiama provvedimenti amministrativi e stralci di deposizioni testimoniali che avrebbero dovuto condurre a ritenere pienamente legittimi gli intimati licenziamenti.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Devesi, preliminarmente, rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U, n. 13045/97) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità (dall’art. 360 c.p.c., n. 5) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Orbene, la Corte di Catanzaro, condividendo la pronuncia di primo grado, ha escluso la legittimità dei licenziamenti intimati a C.G. e S.R. per la ragione che, pur risultando l’effettiva soppressione delle due linee di autoservizio, la società non aveva fornito la dimostrazione della impossibilità di adibire i lavoratori licenziati allo svolgimento di mansioni analoghe a quelle – nella specie, di autista – svolte in precedenza.

Anzi, una tale impossibilità era da escludere in considerazione dell’assunzione, in data 24 marzo 1997, cioè nello stesso giorno dei licenziamenti, di un dipendente, C.A., come da risultanze del libro matricola.

Inoltre, non poteva sottacersi la circostanza che le linee soppresse erano attinenti al servizio di concessione con la Regione Calabria, dalla quale la società La Valle riceveva finanziamenti e di cui, proprio per la peculiarità del servizio, si era avuto, in un arco di tempo brevissimo, il successivo ripristino, a dimostrazione che la (momentanea) soppressione delle linee non apportavano alcuna incidenza su un eventuale riassetto dell’organizzazione aziendale.

Infine, andava rilevato che la soppressione delle linee (OMISSIS) era frutto di determinazione unilaterale della società appellante, motivata da asseriti inadempimenti da parte della Regione Calabria, in particolare nella erogazione dei previsti contributi, soppressione che, veniva intesa come non irreversibile e/o definitiva, potendo essere (la soppressione) “sospesa … in presenza della prevista erogazione delle somme dovute dalla Regione alla società scrivente per l’esercizio dei servizi ad essa affidati in concessione egli arretrati .

Sulla base di tali argomentate circostanze, la Corte territoriale è giunta alla conclusione che l’espressa determinazione della La Valle S.r.l. di pervenire alla “sospensione” della soppressione delle linee e, quindi, alla “ripresa” del servizio, denotava come il recesso datoriale era da mettere in correlazione non già con un programmato riassetto organizzativo aziendale ovvero con specifiche ragioni attinenti all’attività produttiva al fine di una più economica gestione di essa, quanto, piuttosto, ad una evenienza che il particolare rapporto esistente con la Regione Calabria consentiva di superare in tempi realisticamente ridotti, come, in effetti, risultava essere avvenuto.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 41 Cost., artt. 2094, 2106, 2119 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta una omessa e comunque erronea valutazione delle risultanze processuali, comprovanti che i lavoratori scioperanti avevano posto in essere il blocco dei mezzi aziendali dal 26 marzo al 12 aprile 1997, realizzando una condotta che giustificava pienamente i licenziamenti intimati.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento, sostanziandosi in una ricostruzione dei fatti con una valutazione diversa da quella operata dal giudice di appello e risentendo, quindi, degli stessi limiti presenti nel primo ordine di censure.

Come chiarito dalla Corte territoriale, B.E., S. A., C.R., B.S., L.V. e C.F. erano stati licenziati da La Valle S.r.l., con atto del 5 aprile 1997, a seguito dell’addebito “di aver impedito dalla data del 26 marzo 1997 a tutt’oggi l’entrata e l’uscita di tutti i mezzi, alcuni appartenenti a terzi, che si trovavano nel parcheggio della La Valle S.r.l., accendendo fuochi sulla strada comunale pubblica di accesso al parcheggio stesso e ponendo un’autovettura targata … di traverso sulla detta strada”, considerato di “estrema gravità”, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza dell’azienda, che “si era vista costretta a farne denunzia all’autorità giudiziaria penale e ad iniziare causa civile … per ottenere l’intero dei danni subiti, con conseguente conflitto di interessi tra le parti”, tra le quali non poteva più sussistere “alcun rapporto di lavoro basato sulla fiducia”.

Orbene, la Corte di merito ha osservato in proposito come risultasse pacifico e, quindi, incontestabile, che l’agitazione posta in essere dagli appellati – unitamente ad altri lavoratori, pure sottoposti a provvedimento espulsivo – fosse da pone in correlazione con la richiesta inoltrata dall’organizzazione sindacale FAISA – Federazione Autonoma Italiana Sindacato Autoferrotranvieri – alla quale numerosi lavoratori, tra i quali quelli interessati al giudizio in oggetto, avevano conferito contestuale adesione, di incontro con la società datrice per la trattazione di una serie di problematiche, riguardanti orario e turni di lavoro, indennità agente unico e concorso pasti, arretrati CCNL 1995, ferie e festività soppresse, aumenti periodici di anzianità, mansioni promiscue, massa vestiaria, fuori linea, autolinea Ferrara.

Alla mancanza di risposta da parte dell’azienda, aveva fatto seguito un comunicato con il quale la FAISA, “constatata l’assoluta indisponibilità di codesta azienda a risolvere i problemi dei lavoratori dipendenti”, ebbe ad indire “una prima azione di protesta” per il giorno 3 marzo 1997.

La risposta della società venne fornita con la nota del 25 marzo 1997, ove, qualificato come “del tutto illegittimo” il proclamato sciopero, faceva presente la “propria indisponibilità” a ogni incontro con l’organizzazione sindacale in mancanza di espressa revoca dello sciopero, mentre, “per contro”, qualora ciò fosse avvenuto, assumeva l’impegno a convocare “le parti sindacali per l’apertura di un tavolo di confronto entro e non oltre i trenta giorni successivi”. Con successiva nota del 7 marzo 1997, la società comunicava alla FAISA che “per impegni precedentemente assunti” i responsabili della La Valle S.r.l. non avrebbero potuto incontrare detta associazione sindacale per il giorno 12 marzo 1997, mentre venivano indicate come date di possibile incontro quelle del “21 marzo 1997, ore 17,00; 24 marzo 1997, ore 17”.

I lavoratori procedevano all’attuazione del preannunciato sciopero il 3 marzo 1997 e l’azienda, con lettera del successivo 4 marzo, muoveva addebiti disciplinari ai lavoratori.

L’organizzazione sindacale stigmatizzava il comportamento della La Valle S.r.l., preannunciando che “per protesta” i lavoratori “nel riservarsi ulteriori azioni di sciopero, … da subito non (avrebbero effettuato) più servizi fuorilinea e/o noleggio”, evidenziando che la stessa non aveva “ancora provveduto a liquidare la seconda trance della una tantum prevista dal rinnovo del CCNL 1995, …”, invocando un incontro, esteso anche ad altri organi ed in particolare all’Ufficio provinciale del lavoro ed all’Assessorato Regionale ai Trasporti, per “l’esame e la soluzione delle diverse problematiche”, comprese quelle specificate nella “precorsa corrispondenza”.

Orbene, il Giudice a qua, nell’evidenziare siffatto contesto al quale era da ricondurre l’origine dell’agitazione sindacale attuata a partire dal giorno 26 marzo 1997, ha osservato che non poteva per nulla condividersi l’assunto della società appellante della mancanza di “alcun legittimo e fondato motivo per scioperare”, giacchè, al contrario, proprio la rappresentazione, da parte dell’organizzazione sindacale FIASA, di diverse questioni inerenti il rapporto di lavoro, ivi compresa quella attinente la “sicurezza dell’esercizio”, apportava all’agitazione dei lavoratori una motivazione di piena ed assoluta legittimità.

Inoltre, gli effetti discendenti dalla protesta dei lavoratori, non poteva essere posti a fondamento dei licenziamenti intimati da La Valle S.r.l., non rinvenendosi, nella condotta posta in essere dai lavoratori, un comportamento tale da determinare la definitiva ed irrimediabile perdita di fiducia nella ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro.

Non poteva, infatti, essere condivisa, anche perchè sfornita di ogni sopporto probatorio, l’assunto secondo cui i lavoratori, con le descritte modalità, avessero avuto l’intento di “attuare una lunga azione dannosa con la mira di mettere in crisi l’azienda pregiudicandone i rapporti con la regione e favorire i concorrenti della La Valle: …”, giacchè, per un verso, la protrazione dello sciopero fino al 12 aprile era da ricondurre anche alla condotta della società appellante che non aveva inteso aprire alcuna discussione “in ordine alle rivendicazioni salariali avanzate da parte di tutti i dipendenti”, per altro verso, i lavoratori avevano posto fine all’agitazione in modo del tutto pacifico, circostanza, questa, significativa della determinazione dei lavoratori di pervenire alla ripresa del rapporto di lavoro, e ciò escludeva la configurabilità di motivazioni diverse da quelle innanzi indicate, considerato anche che, per il periodo di astensione, i lavoratori erano stati privati da ogni retribuzione.

Discendeva, dalle suesposte osservazioni, l’infondatezza dell’atto di appello relativamente agli atti di recesso intimati il 5 aprile 1997.

Trattasi di motivazione corretta ed esaustiva, in relazione alla quale non è ravvisabile alcuna violazione di legge.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamenta un erroneo calcolo, da parte del Giudice di appello, del numero dei dipendenti, in realtà, inferiore ai quindici all’epoca del licenziamento.

Anche tale censura non può trovare accoglimento, avendo il Giudice di appello adeguatamente motivato la sua convinzione senza incorrere in alcuna violazione di legge.

Invero, ha osservato che la doglianza relativa alla insussistenza del requisito dimensionale per l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, era da ritenersi priva di fondamento, a seguito dell’acquisizione – in estratto – del libro giornale, dal quale emergeva che, nel 1997, la società aveva alle sue dipendenze n. 18 dipendenti, dovendosi includere, ai suddetti fini, sia il lavoratore, il cui rapporto di lavoro era cessato il 1^ gennaio 1997, in applicazione del principio secondo il quale, per la verifica del dato numerico, occorreva aver riguardo non già al numero dei lavoratori occupati alla data del licenziamento, ma al criterio della normale occupazione (Cass. 10 settembre 2003 n. 13274), e sia l’altro lavoratore, la cui assunzione portava la data del 24 marzo 1997, quindi, antecedente alla intimazione dei licenziamenti in danno degli appellati. Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 18,00 oltre Euro 3.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

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