Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9375 del 17/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9375 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: CURZIO PIETRO

ORDINANZA

sul ricorso 5942-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio
unico – in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,
presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale a margine
del ricorso;
– ricorrente –

2013
contro

956

PECIOLA

MICHELA

PCLMHI77R47H501S)

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta procura

speciale a margine del

Data pubblicazione: 17/04/2013

controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

9479/2009 della CORTE D’APPELLO

di ROMA del 2/12/2009, depositata il 26/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

PIETRO CURZIO;
è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI.

consiglio del 31/01/2013 dal Consigliere Relatore Dott.

Ordinanza

Poste italiane propone un ricorso articolato in quattro motivi, i primi tre concernenti
la legittimità della apposizione del termine in base a quanto previsto dalla
contrattazione collettiva.
Con l’ultimo motivo si impugna invece la pronuncia in materia di risarcimento del
danno e si chiede poi l’applicazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
La lavoratrice si difende con controricorso, in cui mette in evidenza che la sentenza di
appello non si era pronunciata sulla entità del risarcimento del danno in quanto la
materia non era stata oggetto di gravame.
La lavoratrice ha anche depositato una memoria.
La posizione articolata da Poste italiane in ordine ai primi tre motivi non è conforme
alla giurisprudenza costante di questa Corte in controversie del tipo di quella in
esame: contratto a termine, stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25
settembre 1997, dopo la data del 30 aprile 1998.
Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni
ricordano che l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, nel demandare alla
contrattazione collettiva la possibilità di individuare -oltre le fattispecie
tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 e successive
modifiche nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito con
modificazioni dalla legge 15 marzo 1983 n. 79- nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione
di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge
(principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo
2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive
hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato
accordo integrativo del 25 settembre 1997.
Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadite la
legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzat , in
Ricorso n. 5942.11
Adunanza del 31 gennaio 2013

Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma,
pubblicata il 26 febbraio 2010, che ha confermato la decisione di primo grado di
declaratoria di nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato
con Michela Peciola, per ‘esigenze eccezionali’, il 21 febbraio 2000 (con scadenza 30
giugno 2000), con i provvedimenti consequenziali.

Ricorso n. 5942.11
Adunanza del 31 gennaio 2013

particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate
le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente
ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante
degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere
a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono
discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di
quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad
assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al
30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio
secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto
comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si
deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e,
quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i
quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il
contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass.
n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di
una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale,
nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui
possano avere qualche effetto, anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed
infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti
temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la
conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza
senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n.
18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti
come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio
2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e
cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le
parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti,
con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la
suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris
dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere
che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento
dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro
pubblico, secondo la disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare
retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto
della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento alla
controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 euro,
nonché 3.000,00 euro per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
distrae in favore dell’avv.to Roberto Rizzo, dichiaratosi anticipatario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 31 gennaio 2013
Il presidente

La richiesta di rideterrninazione del risarcimento del danno in forza dell’ultimo
motivo e della conseguente richiesta ai sensi dell’art. 32 legge 183 del 2010 non potrà
essere accolta poiché il relativo capo della domanda, accolto in primo grado, non è
stata oggetto di motivo di appello, come sottolinea la Corte d’appello a pag. 4 della
sua sentenza. Sul punto si è formato il giudicato.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle
spese.

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