Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9373 del 27/04/2011

Cassazione civile sez. I, 27/04/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 27/04/2011), n.9373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5212/2007 proposto da:

R.F. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CATTARO 28, presso l’avvocato COSENTINO

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato QUATTRONE MARIA

ANGELA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 48/2007 del TRIBUNALE di LA SPEZIA, depositata

il 22/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato M.A. QUATTRONE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tra R.F. e D.B., intervenne separazione consensuale omologata dal Tribunale di La Spezia in data 16-07-2003, ove si prevedeva la corresponsione da parte del D. di assegno mensile di mantenimento per la R. e per i figli minori.

Con ricorso ex art. 710 c.p.c., il D. chiedeva riduzione dell’importo dell’assegno. Il Tribunale di La Spezia, con decreto 13- 9-2004, riduceva tale importo ad Euro 700,00 mensili.

In data 18/03/2005, la R. notificava al D. atto di precetto; successivamente, in data 29-09-2005, atto di pignoramento verso terzi, convenendo in giudizio davanti al Giudice dell’Esecuzione la Direzione Commissariato Marina Militare di La Spezia nonchè il D.; il terzo rendeva la dichiarazione ex art. 547 c.p.c..

Il D. proponeva opposizione all’esecuzione, eccependo l’assenza di titolo esecutivo. Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la R. chiedeva rigettarsi l’opposizione. Il Tribunale di La Spezia, in composizione monocratica, con sentenza 13- 12-2006/29-01-2007, accoglieva l’opposizione, affermando l’inesistenza del titolo esecutivo.

Avverso la sentenza, non impugnabile ex art. 14 legge n. 52 del 2006, che ha riformato l’art. 616 c.p.c., la R. propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di un unico, articolato motivo.

Non ha svolto attività difensiva la controparte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo, la ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 14, novellato, e L. n. 74 del 1977, art. 23.

Afferma che, dal combinato disposto dei predetti articoli, deriverebbe l’efficacia immediata, senza necessità di una clausola di esecutorietà, del provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, che dunque potrebbe valere come titolo esecutivo. La questione sollevata si inserisce nell’ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle differenze e le consonanze – dei procedimenti di separazione e divorzio.

La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione, quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 c.c. e ss.), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 c.p.c. e ss.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla L. n. 898 del 1970. Le successive modifiche normative, la L. n. 151 del 1975, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali della separazione e le L. n. 436 del 1978, e L. n. 74 del 1987, sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che la richiamata L. n. 74 del 1987, art. 23, prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51 del 2006 (di conversione del D.L. n. 273 del 2005) e n. 80/2005 (di conversione del D.L. n. 35 del 2005, che ha pure novellato il testo della L. n. 898, art. 6); a sua volta la L. n. 54 del 2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma, all’art. 708 c.p.c., ed introdotto ex novo l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, dei legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline (processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.

In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nella citata L. n. 74 del 1987, art. 23, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.

L’art. 710 c.p.c., regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (L. n. 331 del 1985, art. 1, si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano l’art. 737 c.p.c. e ss..

La predetta L. n. 74 del 1987, art. 23, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole della L. n. 898, art. 4, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4, comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla L. n. 353 del 1990.

Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nella L. n. 898, art. 9, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c.. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 c.p.c. e ss.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 744 c.p.c.).

E’ da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.

Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa.

Difficile peraltro ipotizzare una questione di legittimità costituzionale al riguardo: i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in Camera di consiglio. Toccherebbe dunque al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina.

Nella specie, dunque, mancando una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non poteva valere come titolo esecutivo.

Il ricorso va rigettato, in quanto infondato.

Nulla sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2011

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