Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9373 del 20/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 20/04/2010), n.9373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN REMO 1,

presso PETTORINO, rappresentata e difesa dagli avvocati DI MEGLIO

VITTORIO, ZANGHI RAFFAELE, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6552/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/02/2005 R.G.N. 2433/03+1;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 25 febbraio 2005, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda nei confronti della s.p.a. Poste Italiane proposta da M.C.. Costei, sulla premessa di essere stata assunta da quella società con ripetuti contratti a termine, nel periodo da gennaio 1994 a luglio 1995 e poi dal 27 giugno 1998 al 30 aprile 1999, e con le mansioni di portalettere, aveva agito in giudizio, perchè fosse dichiarata l’illegittimità della clausola di apposizione del termine dei suddetti contratti, in contrasto con la disciplina dettata dalla L. 18 aprile 1962, n. 230.

Nel disattendere l’impugnazione della soccombente, la Corte territoriale ha innanzitutto osservato che nessuna censura era stata rivolta circa la validità della anzidetta clausola del primo contratto con scadenza 8 luglio 1995. Quanto ai successivi rapporti di lavoro, ha rilevato che in primo grado la lavoratrice, nel dedurre l’illegittimità del termine, si era riportata alla disciplina dettata dalla L. n. 230 del 1962, sollevando soltanto in appello la questione della nullità della clausola per la violazione del limite temporale autorizzatorio di cui agli accordi integrativi del 25 settembre 1997 e a quelli successivi, in relazione alle nuove ipotesi di contratto di lavoro a tempo determinato, individuate dalla contrattazione collettiva in base alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23. I contratti concernenti i periodi dal giugno 1998 all’aprile 1999, ha sottolineato il giudice del gravame, erano stati stipulati “ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. 25 novembre 1994, così come modificato dall’accordo del 25 settembre 1997, in conseguenza degli avviati processi di riorganizzazione e di ristrutturazione aziendale, finalizzati alla realizzazione degli obiettivi e degli indirizzi strategici di cui al piano d’impresa”, esigenze ritenute sussistenti dal primo giudice, così come in numerose altre analoghe controversie instaurate da diversi lavoratori assunti a tempo nei confronti della medesima azienda. La Corte territoriale ha inoltre affermato la risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 100 cod. proc. civ., e critica la sentenza impugnata per avere l’esaminato la questione della risoluzione del contratto per mutuo consenso, riproposta dalla società con la memoria di costituzione in appello, pur in mancanza di interesse, dopo che era stata rilevata l’inammissibilità della eccezione di nullità parziale del contratto a termine del 26 ottobre 1998, perchè stipulato oltre il limite di efficacia degli accordi integrativi.

Il motivo è infondato. Non sussiste il vizio di ultrapetizione, atteso che come riconosce la stessa M. l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso, sollevata tempestivamente dalla società in primo grado era stata riproposta ritualmente in appello. Nè può escludersi l’interesse dell’appellata a contraddire con la suesposta eccezione, trattandosi di questione preliminare idonea a far rigettare la domanda della lavoratrice, ove definita nel senso voluto dalla società.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1.

Addebita al giudice del merito di avere ritenuto sussistente il mutuo consenso delle parti alla risoluzione, soltanto in base al periodo di tempo intercorso tra la cessazione di fatto del rapporto e la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, senza che il datore di lavoro avesse fornito la prova di altre circostanze dalle quali poter ricavare la volontà chiara e certa delle parti di porre fine ad ogni rapporto di lavoro.

Il motivo è inammissibile. La valutazione del comportamento delle parti con riferimento all’efficacia solutoria del contratto costituisce un apprezzamento di fatto che, se congruamente motivato sul piano logico-giuridico, si sottrae a censure in sede di legittimità (v. Cass. 6 luglio 2007 n. 15264), e qui la valorizzazione del decorso del tempo fatta dalla sentenza impugnata per desumere la volontà delle parti di non procedere oltre nella attuazione del rapporto, non è congruamente censurata dalla parte:

questa, invero, non ha neppure specificato quale il periodo di tempo decorso, posto dal giudice del merito a base del proprio convincimento sul punto, e si è limitata a sostenere la necessità di ulteriori elementi a conferma di una volontà di non proseguire nel rapporto.

Ed inammissibile è pure il profilo di censura concernente la violazione della citata L. n. 230 del 1962, art. 1, nessuna ragione avendo esplicitato al riguardo la ricorrente.

Il terzo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23. Deduce che la Corte di merito, nonostante la ritenuta novità della questione relativa alla nullità della clausola di apposizione del termine ai contratti di lavoro stipulati il 26 ottobre 1998 e il 31 gennaio 1999, ha ritenuto che tali contratti integravano ipotesi diverse da quelle legali, senza considerare che gli accordi collettivi in subiecta materia avevano cessato di avere efficacia all’epoca della stipula dei menzionati, come già rilevato da consolidata giurisprudenza.

Neppure questo motivo può essere accolto. La mancanza di censura da parte della ricorrente sulla statuizione del giudice di merito di novità della questione di nullità del termine dei contratti stipulati dopo il limite di tempo previsto dagli accordi integrativi del 25 settembre 1997 e da quelli successivi per l’esercizio della facoltà riconosciuta all’azienda di procedere ad assunzione di lavoratori a tempo, è preclusiva della questione di nullità dedotta.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 19,00 e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

 

 

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