Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9373 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, (ud. 24/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10105/2014 proposto da:

N.A.A., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNA CARUSO giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

N.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 461/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania con sentenza 28.2.2013 n. 2283, confermava la decisione di prime cure ritenendo infondata la domanda di condanna al risarcimento del danno biologico e non patrimoniale, derivante dalla grave violazione dei doveri genitoriali, proposta dalla appellante N.A.A. nei confronti del padre N.C..

Il Giudice di appello ha ritenuto corretta la valutazione compiuta dal primo giudice del materiale istruttorio desunto dagli atti del procedimento penale svoltosi nei confronti del padre, e definito con pronuncia di assoluzione dalla imputazione del reato ex art. 570 c.p., escludendo altresì, nel periodo successivo a quello oggetto di accertamento in sede penale, un inadempimento degli obblighi di mantenimento, avendo a ciò provveduto il padre mediante corresponsione diretta dell’assegno ai figli, se pure in misura ridotta, e ritenendo insussistente la prova del nesso eziologico tra i danni psicofisici lamentati e la condotta tenuta dal padre avuto riguardo alla accesa conflittualità che aveva caratterizzato la separazione familiare dei coniugi e che aveva inevitabilmente coinvolto in modo grave anche i figli.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione con un unico motivo articolato in più censure da N.A.A..

Non ha svolto difese l’intimato N.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 147 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio di “insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura è supportata dalla seguente critica:

– asserita contraddittorietà logica della motivazione della sentenza nella parte in cui da un lato non ammette le prove richieste dalla attrice in primo grado e reiterate in secondo grado, dall’altro definisce il giudizio per difetto di prova del danno;

– prevalenza attribuita alle risultanze del procedimento penale e non anche alla sentenza n. 1171/2005 di separazione dei coniugi da cui emergeva che la madre non aveva frapposto ostacoli alla frequentazione padre-figli, ostacoli invece posti dal padre.

Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in quanto intende richiedere alla Corte una non consentita rivalutazione delle emergenze istruttorie.

Occorre premettere che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012 – applicabile alla sentenza impugnata, in quanto pubblicata successivamente alla data 11.9.2012 di entrata in vigore della norma modificativa -, non trova più accesso al sindacato di legittimità della Corte il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze probatorie, qualora dalla sentenza sia comunque dato evincere una “regula juris” che non risulti totalmente avulsa dalla relazione “premessa(in fatto) – conseguenza(in diritto)” che deve giustificare il “decisum”.

Rimane quindi estranea al vizio di legittimità “riformato”, tanto la censura di “contraddittorietà” della motivazione (peraltro attinente ad una incompatibilità logica intrinseca al testo motivazionale, in quanto determinata dalla reciproca elisione di affermazioni oggettivamente contrastanti, non altrimenti risolvibile, che impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto: cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010), quanto la censura che, anteriormente alla modifica della norma processuale, veicolava il vizio di “insufficienza” dello svolgimento argomentativo, con il quale veniva imputato al Giudice di merito 1 – di avere tratto, dal materiale probatorio esaminato, soltanto alcune delle conseguenze logiche che il complesso circostanziale avrebbe consentito di desumere, pervenendo ad un accertamento meramente parziale della “res litigiosa”, ovvero 2 – di non avere considerato elementi costituenti “fatti secondari” che se pur non decisivi, da soli, a fornire la prova contraria favorevole al ricorrente tuttavia – erano idonei ad inficiare o quanto meno a revocare in dubbio la efficacia dimostrativa (dei fatti costitutivi della pretesa) attribuita ai diversi elementi indiziari utilizzati dal Giudice a fondamento della decisione, ovvero erano idonei ad evidenziare eventuali lacune o salti logici dello stesso ragionamento rispetto alla corretta applicazione dei criteri induttivo – deduttivo della logica formale.

La nuova formulazione del testo normativo introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), ha infatti limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.

Pertanto, laddove non si contesti la “inesistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Esula del tutto, quindi, dal vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ed operando il conseguente giudizio di prevalenza delle risultanze istruttorie (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Occorre opportunamente precisare, in proposito, che non è evidentemente – consentito riproporre, sotto altra forma paradigmatica, attraverso la denuncia del combinato disposto dell’art. 116 c.p.c., e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la medesima censura dei “vizi di logicità” eliminati dall’attuale testo normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che per giurisprudenza consolidata il principio del “libero convincimento” ex art. 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, riservato in via esclusiva al Giudice di merito, e come tale è insindacabile in sede di legittimità: deve ritenersi, infatti, assolutamente pacifico in giurisprudenza che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio motivazionale, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 12912 del 13/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013), essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (cfr. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).

Conseguentemente la censura di violazione delle norme processuali in questione non è idonea ex se a “recuperare” il precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” come vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente denunciabili per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., asseriti errori di “convincimento” attinenti alla valutazione della preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), comportando una tale censura pur sempre l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori, che non trova accesso nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Nella specie la ricorrente si è limitata a rilevare un’asserita illogicità che non incide, tuttavia, sulla esistenza del “minimo costituzionale” richiesto per riconoscere la esistenza del requisito della motivazione, essendo agevolmente comprensibile il percorso logico sviluppato nella sentenza, laddove da un lato argomenta la non ammissione dei mezzi di prova richiesti dalla N. in quanto superflui (in quanto relativi a circostanze già provate) o irrilevanti (accertamento della condotta della madre) o “esplorativi” (istanza di espletamento di c.t.u. medico-legale); dall’altro ritiene – comunque – non provato con certezza il nesso di derivazione causale tra i danni non patrimoniali lamentati e la condotta tenuta dal padre in quanto inserita nel più devastante quadro familiare venutosi a determinare a causa del deterioramento dei rapporti coniugali e della elevatissima conflittualità che aveva caratterizzato la separazione personale dei coniugi risalente all’anno 1995 (cfr. sentenza, in motiv. pag. 6) ed idoneo ex se a giustificare i pregiudizi non patrimoniali allegati dalla figlia.

Il motivo non supera il vaglio di ammissibilità neppure in relazione al dedotto omesso esame della sentenza di separazione n. 1171/2005, ovvero del fatto – che risulterebbe dalla sentenza – secondo cui il padre non aveva utilizzato le occasioni di incontro con i figli. Ed invero: 1 – non viene specificato se, quando ed in che fase processuale, sia stata prodotta nel giudizio di merito la sentenza di separazione personale dei coniugi, della quale peraltro non viene trascritto il contenuto, con conseguente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6); 2 – laddove la predetta sentenza di separazione debba ritenersi fondante la censura, non viene assolto il requisito di procedibilità del ricorso prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4); 3 – non viene in ogni caso specificata la “decisività” del fatto omesso e cioè la sua capacità – ove fosse stato considerato dal Giudice di merito – di prevalere sulle altre risultanze probatorie e sovvertire l’esito della lite a favore della ricorrente.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese di lite, non avendo svolto difese l’intimato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso principale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della assistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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