Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 937 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 17/01/2020), n.937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25399/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VALMAN s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dagli Avv.ti

Roberto Gorgazzini, Michele Novembre, Raffaella Chiumento, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ ultima in Roma, via

Salaria 103;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di

Trento,” n. 6/02/12, depositata in data 13 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate ha emesso, nei confronti della Valman s.p.a., avviso di accertamento induttivo, relativo all’anno d’imposta 1985, con cui ha rettificato l’imponibile dichiarato ai fini Irpeg ed Ilor, determinando le maggiori imposte dovute, con i relativi interessi, e comminando le correlate sanzioni.

2. La contribuente ha impugnato l’accertamento e l’adita Commissione tributaria di primo grado di Trento ha accolto il ricorso.

3. Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento lo ha rigettato.

4. Avverso la sentenza d’appello l’Ufficio ha proposto ricorso innanzi la Commissione tributaria centrale, che lo ha accolto ed ha rinviato ad altra sezione della medesima Commissione tributaria di secondo grado di Trento.

5. La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria centrale e questa Corte, con la sentenza del 21 dicembre 2007, n. 27063, lo ha rigettato.

6. Nel giudizio riassunto all’esito della sentenza della Commissione tributaria centrale, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento, con la sentenza n. 28/1/2009, pronunciata il 26 gennaio 2009, ha accolto l’appello dell’Ufficio, confermando la legittimità dell’accertamento controverso.

7. La contribuente ha proposto ricorso, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), per la revocazione della predetta sentenza resa dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, assumendo che la decisione impugnata era affetta da errore percettivo rilevante, consistente nell’affermazione che la Valman s.p.a. non aveva assolto l’onere di provare l’effettiva sussistenza e fondatezza delle proprie asserzioni, che avrebbe dovuto adempiere depositando documentazione, mentre si era limitata a produrre una perizia di parte che, in assenza della documentazione necessaria, non poteva costituire un elemento di prova.

Assumeva invece la contribuente di aver depositato, in forma cartacea ed informatica, nel corso del giudizio presso la Commissione tributaria di secondo grado di Trento, alla quale aveva rinviato la Commissione tributaria centrale, la documentazione di supporto alla propria perizia di parte.

L’adita Commissione tributaria di secondo grado di Trento, con la sentenza n. 6/02/12, depositata in data 13 febbraio 2012, ha:

– accolto il ricorso della contribuente e revocato la sentenza impugnata;

– deciso ne merito la controversia, annullando e dichiarando inefficace l’atto impositivo e gli “atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali”.

8. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 6/02/12, depositata in data 13 febbraio 2012, resa, all’esito del giudizio di revocazione, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento.

9. La contribuente si è costituita con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente Ufficio denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 64, comma 1.

Assume infatti il ricorrente che l’asserito errore di fatto che avrebbe viziato la sentenza revocata, ove anche sussistesse, non sarebbe stato comunque decisivo, atteso che avrebbe contaminato esclusivamente una delle diverse rationes decidendi emergenti dalla motivazione, restandone immune quella con la quale il medesimo collegio giudicante ha rilevato che il contribuente si era, dichiaratamente ma erroneamente, ritenuto assolto dall’onere di dare prova, nel contesto della ricostruzione della propria situazione contabile relativa all’anno d’imposta accertato, anche dei ricavi dichiarati, sul presupposto che l’Ufficio non li avesse contestati.

Pertanto, non sarebbe stata ammissibile la revocazione, non essendo decisivo ii dedotto errore di fatto, relativo all’avvenuta produzione della documentazione di supporto alla perizia di parte del contribuente. Inoltre, secondo lo stesso Ufficio ricorrente, l’errore revocatorio neppure sussisteva, atteso che la sentenza revocata non aveva affermato che la documentazione non era stata materialmente prodotta dal contribuente, ma solo che non era stata prodotta documentazione idonea a dare la prova anche dei ricavi, come doveva ritenersi necessario anche per effetto della già citata sentenza del 21 dicembre 2007, n. 27063, di questa Corte.

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente Ufficio denuncia l’omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata su punti di fatto decisivi.

Assume infatti l’Ufficio ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata, nonostante le relative deduzioni erariali, non prende in sufficiente considerazione la circostanza che nella motivazione della sentenza revocata si leggono passi dai quali risulta invece che il collegio giudicante ha preso in esame la documentazione prodotta dalla contribuente, rilevando la carenza di specifici documenti (conti di mastro e libri di magazzino) e comunque menzionando specificamente alcuni dei documenti allegati alla perizia.

La circostanza che, dunque, la documentazione in questione sia stata di fatto esaminata, tanto da individuare l’insufficienza probatoria di singoli specifici documenti allegati alla perizia, risulterebbe dalla motivazione della stessa sentenza revocata. Nè, aggiunge l’Ufficio ricorrente, la rilevanza di tale ultima circostanza sarebbe elisa, come si assume nella motivazione della sentenza impugnata, dalla valutazione che i documenti dei quali è puntualmente individuata la carenza nella sentenza revocata “costituiscono una parte del tutto risibile e trascurabile dell’intero bilancio”, atteso che il punto decisivo non era il valore economico dei dati rappresentati dai documenti menzionati, ma se il giudice che ha emesso la sentenza abbia ritenuto totalmente omessa la produzione di documentazione a supporto della perizia, o invece abbia valutato le carenze e l’inadeguatezza di quella prodotta. Solo nel primo caso, infatti, potrebbe configurarsi un ipotetico errore percettivo del giudicante, mentre nel secondo caso si tratterebbe eventualmente di un errore di giudizio.

Assume poi l’Ufficio che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente anche con riferimento all’apprezzamento della natura decisiva dell’errore, non sorretto da adeguata valutazione della circostanza che la motivazione della sentenza revocata aveva comunque rilevato il cosciente inadempimento della contribuente rispetto all’onere di ricostruzione della propria situazione contabile, con particolare riferimento ai ricavi.

3. Con il terzo, composito, motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente Ufficio denuncia:

– la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice a quo, nel capo rescissorio della sentenza impugnata, ritenuto assolto dalla contribuente l’onere probatorio, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio avente ad oggetto esclusivamente l’entità dei costi sostenuti, ma non anche i ricavi ottenuti nel periodo accertato;

– la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nella quale il giudice a quo, dopo aver chiesto al c.t.u. di determinare l’imponibile – ovvero il differenziale tra ricavi e costi – ha affermato che la componente dei ricavi era esclusa dall’oggetto della consulenza tecnica d’ufficio e dalla decisione.

4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, il ricorrente Ufficio denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., e l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, per avere il giudice a quo, nel capo rescissorio della sentenza impugnata che ha per oggetto le sanzioni, applicato il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 2, comma 3, relativo all’improduttività di interessi per la sanzione irrogata, e l’art. 12 dello stesso decreto, in tema di continuazione e cumulo giuridico tra sanzioni, nonostante sulla questione fosse già maturato il giudicato, non avendo la contribuente proposto la relativa domanda nel giudizio di Cassazione che ha rigettato il suo ricorso contro la sentenza della Commissione tributaria centrale e, pertanto, non essendo più invocabile, nel giudizio di revocazione, neppure lo ius superveniens, in ipotesi rappresentato dal predetto D.Lgs. n. 472 del 1997, rispetto all’anno d’imposta (1985) controverso.

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la controricorrente contribuente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere compensato le spese di lite con argomentazioni insufficienti e contraddittorie.

6.1 primi due motivi del ricorso principale, per la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente e sono fondati.

Infatti, a proposito della necessaria natura decisiva dell’errore di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), è stato chiarito da questa Corte che l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti, concretatasi in una svista materiale o in un errore di percezione, ma deve anche avere carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione (Cass. 14/11/2014, n. 24334).

Premesso che il giudizio sulla natura essenziale e decisiva dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto (Cass. 29/11/2006, n. 25376), è stato puntualizzato, in ordine al criterio da utilizzare per verificare che l’errore di fatto invocato sia stato decisivo, che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica (Cass. 29/03/2016, n. 6038).

In coerenza con tali principi, è stato quindi precisato che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto, nel caso in cui la declaratoria di inammissibilità, contenuta nella sentenza revocanda, si regga su due autonome rationes decidendi, una sola delle quali revocabile perchè viziata da errore percettivo, la permanenza della seconda comporta il venir meno del requisito indispensabile della decisività dell’errore revocatorio, ossia dell’idoneità a travolgere la ragione giuridica sulla quale si regge la sentenza impugnata, che, ex art. 395 c.p.c., n. 4, è richiamato dall’art. 391 – bis c.p.c. per la revocazione delle sentenze della Cassazione (Cass., 31/10/2017, 25871).

6.1. Tanto premesso, deve rilevarsi che l’Ufficio ricorrente non contesta specificamente che la contribuente, nel giudizio concluso con la sentenza revocata, abbia effettivamente e ritualmente prodotto documentazione contabile, in forma cartacea e digitale (“cd” e “chiavi usb”).

Si tratta di un dato, oggettivo, assunto come pacifico nella sentenza (pag. 14; pag. 16) qui impugnata, dopo essere stato anticipato dall’ordinanza del giudice a quo del 15 marzo 2010, trascritta nel controricorso (pag. 5), e non contraddetto dall’attuale ricorrente.

Ciò che è invece controverso è se la Commissione tributaria di secondo grado, al fine di emettere la decisione impugnata, abbia erroneamente presupposto che la contribuente avesse prodotto unicamente una perizia di parte, e non anche la documentazione contabile effettivamente versata in atti.

La circostanza del verificarsi di tale erronea presupposizione è argomentata nella sentenza impugnata (pag. 15) richiamando e trascrivendo il dato testuale ricavabile dalla sentenza revocata (e conforme a quello trascritto nel ricorso, pagg. 10-15), nel quale è affermato che la contribuente si è limitata a produrre una perizia di parte, dalla quale risulta la presunta “ma in vero non documentata, congruenza tra documenti di costo e loro indicazione nelle scritture contabili”, e che tale atto peritale, “per l’assenza della documentazione necessaria”, non può costituire un elemento di prova.

A fronte di tale contenuto della sentenza revocata, dal quale la sentenza qui impugnata ricava la conclusione che il giudice che l’ha emessa ha presupposto che la contribuente non avesse prodotto documenti ulteriori rispetto alla perizia di parte, l’Ufficio ricorrente contrappone, come vizio motivazionale (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012), l’omesso o insufficiente esame della circostanza che, nel prosieguo della motivazione della stessa decisione revocata, venivano presi in considerazione singolarmente alcuni documenti, indicandoli come allegati alla perizia di parte, e valutandone specificamente le carenze istruttorie relative a singole risultanze della perizia di parte. Premesso che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in caso di errore vertente su fatto probatorio, il fatto controverso rispetto al quale può configurarsi il vizio motivazionale è il fatto probatorio stesso e non quello oggetto della prova (Cass. 27/01/2014, n. 1657), l’Ufficio ricorrente sostiene quindi che dalla circostanza che siano stati valutati, ai fini istruttori, singoli documenti allegati alla perizia di parte, dovrebbe logicamente presumersi che il giudice che ha emesso la sentenza revocata non ha presupposto erroneamente che nessuna documentazione fosse mai stata prodotta dalla contribuente, posto che ha invece esplicitato un giudizio di inadeguatezza istruttoria, rispetto alle difese della parte privata, riferito proprio a singoli documenti che alla perizia erano allegati.

Si tratterebbe, quindi, al più di un ipotetico errore di giudizio, di fatto o di diritto, ma non di errore percettivo, con conseguente inammissibilità della revocazione.

La censura è fondata.

Infatti, già sotto il profilo logico, il dato nel quale dovrebbe concretarsi l’assunto errore percettivo (ovvero la convinzione erronea che nessun documento sia stato prodotto dalla contribuente a sostegno della perizia de qua), è oggettivamente inconciliabile con l’esplicito riferimento, contenuto nella sentenza revocata (come risulta dalle conformi trascrizioni di cui al ricorso ed alla sentenza qui impugnata), a singoli documenti allegati alla stessa perizia, ed in particolare ai “libri di magazzino (allegati ai nn. 1.6.2, 1.6.3., 3.1.3.1., 3.2.3.2 alla perizia di parte)”, che “non provano l’effettiva esistenza di tali giacenze nè la loro corretta valorizzazione”.

Non si vede, infatti, come possa supporsi erroneamente l’integrale assenza di allegazioni documentali alla perizia, quando se ne citano specificamente alcune, richiamandone anche la numerazione (peraltro già di per sè sintomatica della percepita sussistenza di ulteriori allegati, quanto meno di quelli con numeri intermedi a quelli trascritti) di cui al relativo indice.

Non vale a sminuire tale rilievo l’argomentazione del giudice a quo circa la ridotta importanza, numerica e di valore economico, dei dati relativi ai documenti allegati presi in considerazione espressamente nella motivazione della sentenza revocata, perchè quello che qui rileva è esclusivamente la rilevanza sintomatica della loro menzione, rispetto all’inesistenza dell’errore percettivo controverso.

Neppure rileva l’ulteriore argomentazione, esposta nella motivazione della sentenza qui impugnata, secondo cui i riferimenti, contenuti nella motivazione della sentenza revocata, a documenti allegati alla relazione peritale di parte, sono il risultato della mera trasfusione della memoria illustrativa depositata dall’Ufficio nel corso del giudizio.

Si tratta invero di un dato che, oltre a non essere evincibile immediatamente dal contenuto della sentenza revocata, non esclude comunque che il giudice, nella sentenza revocata, abbia dato atto della consapevolezza dell’esistenza di una produzione documentale di supporto alla perizia, dimostrando pertanto di non ritenere erroneamente che la contribuente non avesse prodotto alcuna documentazione, come invece accertato nella sentenza qui impugnata. Escluso quindi che la sentenza revocata si fondi sull’erroneo presupposto fattuale che la contribuente non abbia prodotto alcun documento, oltre alla perizia di parte, a sostegno della sua difesa, le predette valutazioni relative alla non documentata congruenza tra documenti di costo e loro indicazione nelle scritture contabili, o all’assenza di documentazione necessaria a dare prova delle allegazioni della contribuente, esulano dall’ambito dell’errore percettivo di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, rientrando piuttosto, eventualmente, tra gli errori di giudizio, tra i quali va annoverata anche l’omessa o erronea valutazione di singole fonti di prove precostituite.

7. Vanno quindi accolti i primi due motivi di ricorso, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va inoltre deciso nel merito e dichiarato inammissibile ii ricorso proposto, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, dalla contribuente.

8. Restano assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso principale ed i ricorso incidentale.

9. Le spese del giudizio di merito si compensano, avuto riguardo alla peculiarità del caso.

PQM

Le spese di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti il terzo ed il quarto;

dichiara assorbito il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso per revocazione;

compensa le spese del giudizio di merito;

condanna la controricorrente a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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