Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9368 del 12/04/2017

Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, (ud. 10/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12575-2014 proposto da:

V.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 15,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO MASTROLILLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA DI MICCO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE EGEO 61,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARCELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE FABRIZIO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1712/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA DI MICCO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE FABRIZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza resa pubblica il 26 marzo 2013, la Corte di appello di Roma rigettava l’impugnazione proposta da V.E. avverso la decisione del Tribunale di Latina che lo aveva condannato al pagamento della somma di Euro 3.906,00, oltre accessori, in favore di C.C., a titolo di risarcimento del danno da quest’ultimo patito a seguito di aggressione da parte dello stesso V. in data (OMISSIS).

2. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre V.E. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso C.C..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, avanzata dal controricorrente in ragione della mancata impugnazione della sentenza di appello nel termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 69 del 2009, giacchè detto termine è applicabile ai soli giudizi pendenti dopo la sua entrata in vigore (tra le altre, Cass., 14 marzo 2016, n. 4987) e, dunque, non può operare ai fini della presente impugnazione (per la quale si applica, dunque, il termine annuale di cui al previgente citato art. 327, con l’aggiunta del periodo feriale), essendo il giudizio stato introdotto con citazione del marzo 1995.

2. – Con l’unico mezzo è denunciata “violazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso, insufficiente e contraddittorio esame su un fatto decisivo per il giudizio”, addebitandosi alla Corte territoriale una “fuorviante ed erronea” valutazione “dei fatti decisivi del giudizio” in contrasto con le risultanze processuali, in base a motivazione carente, illogica e contraddittoria (circa l’apprezzamento delle deposizioni testimoniali e il giudizio di attendibilità dei testi escussi; sulla valenza data alla mancata risposta di esso V. all’interrogatorio formale; sulla portata della consulenza tecnica d’ufficio in contrasto con la documentazione medica in atti).

3. – Il motivo è inammissibile.

3.1. – Nel presente giudizio, essendo la sentenza di appello impugnata in questa sede stata pubblicata il 26 marzo 2013, trova applicazione la disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), che, come previsto dal comma 3 dello stesso art. 54, si applica alle sentenze pubblicate dall’il settembre 2012 (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione di detto D.L., avvenuta con L. n. 134 del 2012).

Sicchè, occorre rammentare, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (anzitutto Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), che il vizio veicolabile in base alla predetta norma processuale è “relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Con l’ulteriore puntualizzazione per cui “la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili” (tra le altre, Cass., 9 giugno 2014, n. 12928), esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione o di contraddittorietà della stessa (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., sez. un., 23 gennaio 2015, n. 1241; Cass., 6 luglio 2015, n. 13928).

3.2. – Nella specie, il ricorrente si è discostato palesemente dal paradigma anzidetto, insistendo (e così anche nella memoria ex art. 378 c.p.c.) a denunciare (non solo in ragione delle indicazioni di cui alla rubrica del motivi, ma anche, e segnatamente, nella sostanza del motivo, in forza dello sviluppo argomentativo che lo sorregge: in tale prospettiva, Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931) un vizio di insufficienza e/o contraddittoria della motivazione della sentenza impugnata alla stregua della disposizione processuale di cui all’abrogato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 inapplicabile ratione temporis, là dove, peraltro, le critiche sono orientate, piuttosto, ad accreditare una versione dei fatti alternativa a quella accertata dal giudice del merito, così da veicolare una prospettazione inammissibile anche nel previgente regime.

3.3. – Peraltro, avendo la Corte territoriale, in base a motivazione pienamente intelligibile, esaminato direttamente i “fatti storici” controversi (ossia le circostanze relative all’aggressione e agli esiti lesivi della stessa in danno del C.) – e, come detto, non potendo con essi confondersi, di per sè, l’omesso esame di elementi istruttori – neppure potrebbe, in ipotesi, ravvisarsi un vizio della sentenza impugnata riconducibile al vigente citato art. 360, n. 5.

3.4. – Da ultimo, va ribadito che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche (come nella specie) che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti e nello scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10 giugno 2016, n. 11892).

4. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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