Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9368 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. II, 08/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 08/04/2021), n.9368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio Consiglie – –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27099/2019 proposto da:

K.I., rappresentato e difeso dall’avvocato SARA DE LUCA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 1506/2019 del TRIBUNALE di

TRENTO, depositato il 08/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Trento rigettò l’opposizione proposta da K.I. avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione avanzata dal medesimo;

– il richiedente aveva narrato di essere fuggito dalla Guinea perchè, a seguito di scontri interetnici, i suoi genitori erano stati uccisi e la casa distrutta;

ritenuto che quest’ultimo ricorre sulla base di due motivi avverso il provvedimento del Tribunale e che il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:

– il Tribunale aveva svolto una “valutazione istruttoria degli elementi della vicenda (…) in maniera incongruente”, sia perchè lo stesso Giudicante era stato in grado di collocare l’accadimento in un contesto più generale di scontri interetnici, sia perchè aveva preteso dal richiedente l’assolvimento di una prova diabolica;

– aveva ignorato che la gran parte dei fatti di coloro che fuggono da situazioni di violenza non sono documentabili;

– aveva violato le regole probatorie di cui all’art. 3, comma 5, citato, e i criteri di cui all’art. 2729 c.c., in quanto le dichiarazioni del richiedente si collocavano su uno “sfondo di verità”, erano coerenti e plausibili e non aveva rilievo che egli non fosse rimasto coinvolto negli scontri;

considerato che la censura non supera il vaglio d’ammissibilità, valendo quanto segue:

a) il Tribunale ha giudicato inattendibile il narrato in ragione di una pluralità convergente di contraddizioni, mancanza di specificità, e incongruenze con le verifiche esterne; quanto alle prime, il richiedente aveva raccontato di questo scontro interetnico senza fornire alcun elemento di dettaglio, anche la morte dei genitori era frutto di una sua supposizione, che a quegli scontri non aveva preso parte, inoltre nella prima audizione davanti alla Commissione aveva dichiarato di non avere nè fratelli e nè sorelle, mentre in quella davanti al Giudice aveva riferito di avere un fratello; quanto al secondo profilo, dagli accertamenti svolti era stato appurato che l’unico, anche se grave, episodio di scontri interetnici, accaduto nella zona di provenienza, risaliva a cinque anni prima; senza contare che era stato lo stesso istante, rispondendo a precisa domanda, a dichiarare che non poteva tornare perchè non aveva una famiglia che potesse prendersi cura di lui;

b) non sussiste, di conseguenza la violazione di legge enunciata, in quanto il Tribunale, seguendo i dettami della legge, ha esercitato i propri poteri istruttori, adempiendo al dovere di cooperazione istruttoria e anche in base al risultato di esso esercizio, ha concluso per la non credibilità della narrazione, la quale, oltre che soggettivamente lacunosa e contraddittoria, non trovava conferma nel riscontro nel riscontro esterno; inoltre dalle COI consultate non emergeva che nella zona di riferimento (N’zerokere) vi fosse in atto una situazione di violenza diffusa e incontrollata; infine, in caso di rientro, l’immigrato con avrebbe corso pericolo individuale di sorta;

c) in conclusione, piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459);

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non essergli stato riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, è del pari inammissibile, dovendosi osservare che costui, piuttosto che contrapporre alla decisione del Giudice, il quale ha escluso la sussistenza di soggettiva vulnerabilità (non apparendo utili a ciò i due assai brevi periodi lavorativi e la partecipazione a corsi di formazione e la circostanza di non avere genitori in vita), specifiche censure, tali da minare la decisione sul punto, limitandosi a evidenziare la giovane età dello stesso e la situazione interna nel Paese d’origine e a sostenere la non effettuata comparazione, che avrebbe dovuto tenere conto che il medesimo da circa sei anni aveva abbandonato la Guinea;

che una tale critica, per un verso, come si è anticipato è priva di efficacia censuratoria, per altro verso richiama una realtà fattuale smentita dal Tribunale e, per altro verso ancora, invece che individuare puntualmente le emergenze pretermesse nella comparazione, rivendica il diritto alla protezione umanitaria con motivazioni estranee alla legge;

che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 4455/2018, ha affermato il principio secondo il quale il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Rv. 647298);

che a tale principio il Tribunale si è attenuto, avendo effettuato il giudizio di comparazione, all’esito del quale ha escluso la sussistenza del presupposto della vulnerabilità; non si tratta, all’evidenza, di garantire all’immigrato una qualità di vita del tutto equivalente a quella fruibile in Italia, ma, ben diversamente, d’impedire che al rientro possa ritrovarsi in una condizione d’intollerabile – cioè al di sotto del minimo comune imposto dagli strumenti internazionali deprivazione di tali diritti; inoltre, l’integrazione deve essere tale da assicurare all’interessato autosufficienza economica e piena condivisione del modello sociale; è appena il caso di soggiungere che, nel caso in esame, le condizioni predette non sussistono;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre statuire sul capo delle spese poichè il Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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