Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9367 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. III, 26/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 26/04/2011), n.9367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5380/2010 proposto da:

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MANCINI

Andrea, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CAMISASSI MARCO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M. (OMISSIS), C.R.

(OMISSIS), T.P.A. (OMISSIS),

T.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato

MICCINI BARBARA, rappresentati e difesi dall’avvocato MAGASSERO

Franco, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 491/2009 della CORTE D’APPALLO di TORINO del

19/12/08, depositata l’01/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Piccini Barbara, (delega avvocato Franco Manassero),

difensore dei controricorrenti che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO che nulla

osserva.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 18 febbraio 2010 R.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 20 marzo 2009 dalla Corte d’Appello di Torino che, in riforma della sentenza del Tribunale di Pinerolo, l’aveva condannata a pagare Euro 37.030,90 in favore di T.C., C.R., T.M. e T.P.A. quale quota parte del debito dell’impresa familiare.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

2 – I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c.. Il tema è l’azione di ripetizione dell’indebito, ma il quesito è inidoneo poichè non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, prescinde totalmente dalla motivazione addotta dalla Corte territoriale, chiede, sostanzialmente, una verifica della (negata) correttezza della sentenza impugnata.

Il secondo motivo ipotizza violazione e/o falsa applicazione della L. n. 202 del 1982, art. 48 e art. 230 bis c.c.. La questione prospettata è l’asserito carattere autonomo e indipendente dal titolo giudiziale dell’obbligazione restitutoria nascente dal pagamento indebito, ma anche questo motivo presenta un quesito assolutamente astratto poichè prescinde dai necessari riferimenti al caso concreto.

Il terzo motivo lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta partecipazione di R. A. all’impresa familiare. La censura è inammissibile sia perchè implica esame delle risultanze processuali e apprezzamenti di fatto, attività inibite al giudice di legittimità, sia poichè non presenta un momento di sintesi idoneo non solo a circoscrivere il fatto controverso, ma anche specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza si riveli, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; i resistenti hanno chiesto d’essere ascoltati in Camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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