Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9364 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, (ud. 31/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26495-2014 proposto da:

C.G., C.C., C.M., considerati

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato C.M. anche

difensore di sè medesimo;

– ricorrenti –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO ALAJMO,

rappresentato e difeso dall’avvocato Massacci Giampiero difensore di

sè medesimo;

– controricorrente –

e contro

CA.MA., P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 374/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 28/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato C.M. anche in proprio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con la sentenza impugnata, pubblicata il 9 giugno 2014, la Corte di Appello di Cagliari ha rigettato l’appello proposto da C.C., C.G. e C.M. contro la sentenza del Tribunale di Cagliari del 22 settembre 2008. Con questa sentenza, pronunciata in un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo introdotto da M.G. e dallo Studio legale associato M., quali creditori, nei confronti dei predetti, oltre che di Ca.Ma., quali terzi pignorati, e del debitore esecutato P.A., era stato accertato il credito vantato verso i germani C. ( C., G., M. e Ma.), quali eredi di C.E. e Ca.Ra., da P.A., quantificato nell’importo di Euro 73.423,48 in linea capitale, oltre interessi legali dal 12 luglio 2000.

Gli appellanti avevano posto a fondamento del gravame che il fatto estintivo del credito del P. sarebbe consistito in una transazione anteriore all’atto di pignoramento presso terzi (notificato il 7 novembre 2005), stipulata con scrittura privata non autenticata (apparentemente in data 24 novembre 2004) tra Ca.Ra. (dante causa dei C., deceduta dopo il pignoramento) ed il suo creditore P.; che con detta scrittura, quest’ultimo aveva rinunciato agli effetti della sentenza emessa in suo favore dal Tribunale di Cagliari n. 294/2000, frattanto appellata, fonte del credito vantato dal P.; che questi si era dichiarato soddisfatto di quanto già ricevuto dalla stessa Caria e da C.E. (altro dante causa dei germani C., deceduto nelle more) in occasione di altro accordo stipulato il 12 luglio 2000 (col quale gli sarebbe stato versato un importo di lire 250.000.000 al fine di evitare gli atti esecutivi della sentenza del 2000, in pendenza del giudizio di appello); che, proprio a seguito e nel contesto di questa transazione, le parti si erano accordate per far estinguere il giudizio di appello pendente tra il P. e gli eredi di C.E.; che questo infatti non era stato riassunto dopo la dichiarazione di interruzione per la morte di quest’ultimo pronunciata il 28 gennaio 2005; che l’estinzione per mancata riassunzione ed i precedenti numerosi rinvii della trattazione dell’appello avrebbero fornito il riscontro della pendenza delle trattative e della data della scrittura privata, come precedente il pignoramento.

La Corte di appello ha ritenuto, invece, inopponibile al M. ed allo Studio legale la scrittura privata di transazione, ritenendo che non ne fosse stata provata dai C. l’anteriorità rispetto al pignoramento.

Ha perciò confermato la sussistenza dell’obbligo degli eredi di C.E. e Ca.Ra. nei confronti di P.A., come accertato in primo grado.

Rigettato il gravame, ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese d’appello.

2. C.C., C.G. e C.M. propongono ricorso con quattro motivi.

L’avv. M.G. e lo Studio Legale Associato M. si difendono con unico controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Gli altri intimati non si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 161 e 543 cod. proc. civ. e nullità della sentenza e del procedimento per violazione delle norme sul contraddittorio, perchè dalla sentenza risulterebbe “omessa la presenza nel giudizio di appello” dei litisconsorti necessari Ca.Ma. e P.A..

1.1. Il motivo è infondato, alla stregua del principio di diritto per il quale l’omessa indicazione nell’epigrafe della sentenza del nome di una delle parti rende nulla la sentenza quando nè dallo “svolgimento del processo”, nè dai “motivi della decisione”, sia dato desumere la sua effettiva partecipazione al giudizio, con conseguente incertezza assoluta nell’individuazione del soggetto nei cui confronti la sentenza è destinata a produrre i suoi effetti (così Cass. n. 16535/12; cfr., nello stesso senso, Cass. n. 22918/13 e n. 5660/15, tra le altre).

Nel caso di specie, già il ricorso dà atto dell’avvenuta rinnovazione della notificazione dell’atto di appello nei confronti del debitore esecutato P.A.. Inoltre, sia quest’ultimo che Ca.Ma. sono stati dichiarati contumaci dalla Corte d’appello, con ordinanza data in corso di causa, previa verifica della regolarità del contraddittorio. Anche se la relativa dichiarazione non è riportata nella sentenza, nessuna incertezza vi è nell’individuazione dei soggetti nei cui confronti è stata pronunciata.

Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.

2. Col secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 548 e 549 cod. proc. civ., sostenendosi che, non avendo il P. disconosciuto nè contestato la scrittura privata di transazione, la stessa avrebbe dovuto essere ritenuta opponibile pure nei confronti dell’avv. M. ed anche quanto alla data dell’accordo. Perciò, il giudice avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova, ponendo a carico dei convenuti l’onere di dimostrare che l’accordo transattivo era antecedente al pignoramento.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

La natura del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (e la sua differenza rispetto all’azione surrogatoria, sulla quale confusamente si intrattengono i ricorrenti) è chiaramente evidenziata dalla sentenza di questa Corte n. 6449/2003, con la quale si è affermato che “In tema di esecuzione con espropriazione presso terzi, il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 cod. proc. civ. – che costituisce un autonomo giudizio di cognizione il cui oggetto solo in senso approssimativo è il diritto di credito del debitore esecutato verso il terzo debitore in quanto il diritto di credito pignorato si “autonomizza” al momento in cui viene effettuato il pignoramento mediante la notificazione dell’atto ex art. 543 cod. proc. civ. – sorge incidentalmente nel corso del procedimento esecutivo ed è funzionalizzato all’individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione all’esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione del terzo. Ne consegue che unico legittimato a richiedere il giudizio di cognizione di cui all’art. 548 cod. proc. civ. è il creditore esecutante il quale, pur perseguendo lo scopo di ottenere dal terzo debitore l’adempimento che costui doveva all’escusso, agisce non già in nome e per conto di quest’ultimo – come chi esercita l’azione surrogatoria -, nè chiede di sostituirsi nella posizione di (originario) creditore di quest’ultimo, bensì agisce “iure proprio” e nei limiti del proprio interesse. (…)”.

Sebbene il precedente sia citato dai ricorrenti a sostegno del motivo di ricorso, esso, come notano i resistenti, ne palesa l’infondatezza.

L’autonomia del credito così come pignorato, rispetto al credito così come effettivamente vantato dal debitore esecutato nei confronti del suo debitore, sta a base dell’art. 2917 cod. civ., per il quale “se oggetto del pignoramento è un credito, l’estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione”.

Nel caso in cui il fatto costitutivo del credito pignorato risulti da un titolo di formazione giudiziale anteriore al pignoramento, come nella specie, spetta al terzo pignorato, debitor debitoris, che ha reso dichiarazione negativa e, convenuto nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ne abbia eccepito l’estinzione, dare la prova, non solo della causa estintiva del credito, ma anche della sua anteriorità rispetto al pignoramento. Infatti, è onere del convenuto, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., comma 2, provare i fatti estintivi oggetto di eccezione.

Si attaglia perfettamente al caso di specie il principio di diritto per il quale “In tema di esecuzione presso terzi, il creditore procedente non agisce in nome e per conto del proprio debitore ma “iure proprio” e nei limiti del proprio interesse; ne deriva che nel giudizio di cognizione per accertamento dell’obbligo del terzo, conseguente alla mancata dichiarazione o alla sua contestazione, il creditore pignorante ha la qualità di terzo ed è tenuto a provare l’esistenza del credito del proprio debitore o l’appartenenza a questi della cosa pignorata, mentre il terzo pignorato, che eccepisca di avere soddisfatto le ragioni creditorie del debitore esecutato, dovrà provare non solo il fatto estintivo dedotto, ma anche l’anteriorità di esso al pignoramento, con í limiti di opponibilità, rispetto al creditore, della data delle scritture sottoscritte dal debitore.” (così Cass. ord. n. 6760/14, cui adde Cass. n. 23324/10).

2.2. Non essendo in discussione il fatto costitutivo del credito pignorato, vantato dal P. nei confronti di C.E. e Ca.Ra., in quanto rinveniente la sua fonte nella sentenza del Tribunale di Cagliari n. 294/2000, l’onere di provare che questo credito si era estinto per una causa precedente l’atto di pignoramento gravava sui terzi pignorati, Ca. (quindi sui suoi eredi, germani C., essendo la Ca. deceduta dopo il pignoramento) e C.M., C., G. e Ma. (già pignorati quali eredi di C.E.), così come affermato dal giudice.

Corretta è altresì la sentenza laddove ha presupposto che la prova costituita dalla scrittura privata di transazione, in quanto sottoscritta dal P., e da questi non disconosciuta, potrebbe valere a dimostrare tutt’al più che il credito si sia estinto (sicchè sono irrilevanti le considerazioni svolte nella memoria dei ricorrenti circa la loro posizione nei confronti del P.), non anche a provare -nei confronti del creditore procedente, attore nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo- che la causa di estinzione sia anteriore all’atto di pignoramento come richiesto dal citato art. 2917 cod. civ..

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, il mancato disconoscimento da parte del sottoscrittore P. non vale ad attribuire data certa nei riguardi del terzo, considerati i limiti di opponibilità delle scritture private nei confronti dei terzi quali fissati dall’art. 2704 cod. civ..

Il secondo motivo di ricorso va perciò rigettato.

3. Col terzo motivo si addebita al giudice di merito, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., di “non aver esaminato compiutamente il contenuto dei documenti allegati”, in particolare gli atti del giudizio di appello, iscritto col n. 156/2000, intercorso tra C.E. e Ca.Ra. ed il P., dai quali sarebbero dovute risultare -secondo i ricorrenti- le trattative all’esito delle quali sarebbe stata stipulata la transazione in data 24 novembre 2004.

3.1. Col quarto motivo si deduce falsa applicazione degli artt. 300 cod. proc. civ. e segg., in riferimento all’affermazione del giudice a quo secondo cui il processo di appello (di cui sopra) nella sostanza si era già estinto per la decorrenza del termine di sei mesi dall’evento interruttivo costituito dalla morte dell’appellante C.E., sicchè la sua riassunzione oltre questo termine sarebbe stata inutile per gli eredi, a prescindere dal fatto che fosse stata o meno stipulata la transazione.

4.- I motivi vanno esaminati congiuntamente poichè attengono al giudizio di fatto circa il mancato assolvimento da parte dei C. dell’onere della prova dell’opponibilità al terzo della scrittura privata mancante di data certa.

Secondo i ricorrenti vi sarebbe stata comunque la prova di fatti -costituiti dalle trattative e poi dall’estinzione del giudizio di appello avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Cagliari fonte del credito del P. verso i C.- dai quali il giudice avrebbe dovuto trarre la prova dell’anteriorità della formazione del documento.

Entrambi i motivi sono inammissibili.

4.1. Il primo attiene alla valutazione della prova documentale, del cui esame la Corte di merito ha dato atto con motivazione insindacabile nei termini prospettati dai ricorrenti (cfr., sulla portata dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, tra le altre Cass. S.U. n. 8053/14).

4.2. Il secondo è volto a censurare, in diritto, un’affermazione della Corte di merito della quale i ricorrenti non dimostrano la decisività, in fatto, nel contesto dell’articolata motivazione. Con questa si dà atto che è rimasto accertato che -esclusa l’anteriorità della morte di Ca.Ra. rispetto alla data del pignoramento (unico fatto idoneo a provare con certezza che la data della scrittura privata da lei sottoscritta fosse precedente:cfr. pag. 5 della sentenza)- non sia emerso in giudizio alcun altro fatto che stabilisse in modo certo, così come richiesto dall’art. 2704 cod. civ., l’anteriorità della formazione della scrittura privata di transazione rispetto alla data di notificazione del pignoramento presso terzi. Il quarto motivo di ricorso, come formulato, non consente di superare questo accertamento in fatto.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore dei controricorrenti, in solido, nell’importo di Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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