Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9363 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. II, 08/04/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 08/04/2021), n.9363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25068/2019 proposto da:

B.T., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE UNIVERSITA’ 11,

presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI TORINO, SEZIONE GENOVA, PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 902/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Genova disattese l’opposizione proposta da B.T. avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata e la Corte d’appello di Genova, con la sentenza di cui epigrafe, ne rigettò l’impugnazione;

– avverso quest’ultima decisione il richiedente ricorre sulla base di due motivi e il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione, errata e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, nonchè “erronea, carente e contraddittoria motivazione a riguardo alla valutazione della mancata sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria”, non supera il vaglio d’ammissibilità in quanto:

– l’esponente prospetta, anche sulla base di un “report” attribuito ad Amnesty International, di cui non specifica gli estremi, che nella zona di provenienza del richiedente (Casamance, Senegal) le libertà fondamentali risultavano conculcate e la polizia si era resa spesse volte responsabile di arresti illegali e omicidi;

– la Casamance (in effetti il ricorrente viveva in una città posta al confine con la predetta regione), chiarisce la sentenza, sulla base delle aggiornate COI consultate, dal 2016 aveva visto drasticamente ridursi il conflitto tra i gruppi separatisti e le forze governative, sicchè il rientro in tale area non poteva più considerarsi di pregiudizio per l’appellante;

– di conseguenza va escluso versarsi attualmente in situazione di violenza indiscriminata, sulla base dell’indagine officiosa esperita, in conformità all’orientamento di questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

– con il motivo si contesta la decisione, senza tuttavia, proporre una critica coerente e alternativa al ragionamento della Corte d’appello, limitandosi a contrapporre, “tout court”, all’istruttoria del Giudice, l’opinione del ricorrente, corredata da uno stralcio di “report” non individuato, nè corredato di data, oltre a talune citazioni di pronunce di merito;

– piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, inoltre, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459);

considerato che anche il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2 Cost., dell’art. 11 Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’O.N.U. del 1966 (ratificato con la L. n. 881 del 1977), dell’art. 8 Carta edu, dell’art. 5, comma 6, T.U. Immigrazione, nonchè violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; violazione dell’art. 19 T.U. Immigrazione, non supera il vaglio d’ammissibilità, dovendosi osservare che:

– il ricorrente contrappone al giudizio di non vulnerabilità espresso dalla Corte territoriale (persona di giovane età, senza problemi di salute, senza particolari legami con l’Italia, che non aveva documentato lo svolgimento di attività lavorativa), in uno alla non riscontrata situazione personale che possa essere d’ostacolo al rientro in Patria (la vicenda narrata è stata giudicata inverosimile), l’avvenuta integrazione in Italia, dimostrata dal contratto di lavoro e dagli attestanti di svolgimento di corsi di formazione, che la Corte d’appello non aveva preso in esame, e lamenta un difetto d’istruttoria, ribadendo, infine, la situazione di grave instabilità politica del Paese d’origine;

– la censura, per un verso, evoca documenti in questa sede non conoscibili, poichè non messi a disposizione della Corte, la cui produzione risulta essere stata espressamente negata dal Giudice d’appello; nè il ricorrente si cura d’indicare dove e quando dei detti sia stata chiesta la produzione in giudizio (perciò è inammissibile in questa sede il CUD 2019 allegato al ricorso, del quale, peraltro, non è stato neppure chiarito se trattasi della certificazione di redditi relativi ad attività lavorativa svolta anteriormente o successivamente alla conclusione del giudizio d’appello);

– per altro verso, si insiste nel descrivere la situazione del Senegal, con particolare riferimento alla zona di residenza, come caratterizzata da violenza diffusa e incontrollata, descrizione questa, per come già detto, motivatamente smentita dalla Corte locale;

– anche in questo caso non può che ribadirsi trattarsi di doglianza che, sotto l’usbergo della violazione di legge o ipotizzando l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), insta per un inammissibile riesame di merito;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che il soccombente ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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