Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9362 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. III, 26/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 26/04/2011), n.9362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2805/2010 proposto da:

F.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE CASTRENSE 7, presso lo STUDIO LEGALE ASSOCIATO CIRILLI –

PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato PETRELLA Francesco,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VAL CHISONE, 35, presso io studio dell’avvocato FORTE

VINCENZO, rappresentata e difesa dall’avvocato SCIAUDONE Michele,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.A., F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 446/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

2/07/08, depositata il 09/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Petrella Francesco, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti e chiede la trattazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO che nulla

osserva.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 23 gennaio 2010 F.P. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 9 febbraio 2009 dalla Corte d’Appello di Napoli, confermativa della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva rigettato la domanda di declaratoria della inefficacia dell’atto di compravendita di terreno agricolo intervenuto tra A. S.I. e i coniugi Fu.Gi. (successivamente deceduto) e C.F. in violazione del proprio diritto di prelazione agraria.

La C., in proprio e quale erede di Fu.Gi., ha resistito con controricorso, mentre F.G., altro erede di Fu.Gi., non ha espletato attività difensiva.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 176 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Si assume che i convenuti non avevano mai contestato alcunchè in ordine alla mancata alienazione biennale di fondi rustici e all’ipotetica esistenza di altri terreni in godimento al F..

Il quesito finale si rivela astratto poichè non postula tanto l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulle norme indicate, quanto piuttosto una verifica della correttezza della sentenza impugnata, peraltro prescindendo e non censurando specificamente il suo punto nodale, cioè l’affermazione che le condizioni oggettive e soggettive, previste dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, integranti il fatto giuridico costitutivo del diritto agrario, devono essere accertati di ufficio dal Giudice, indipendentemente da eccezioni della controparte.

D’altra parte l’affermazione della Corte d’Appello è conforme all’orientamento giurisprudenziale della Corte Suprema, secondo cui Cass. Sez. 3^, n. 3757 del 2007) i requisiti indicati dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, perchè possa trovare accoglimento una domanda di riscatto agrario costituiscono condizioni dell’azione e devono essere accertati dal giudice d’ufficio e anche il giudice d’appello ha detto potere allorchè la questione non sia stata espressamente esaminata dal giudice di primo grado, mentre nel caso in cui tale esame sia avvenuto è onere della parte soccombente proporre specifici motivi d’appello, onde evitare la formazione del giudicato.

Il secondo motivo lamenta contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. La censura è inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo non presenta il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quale parti e per quali ragioni la motivazione si riveli contraddittoria. In secondo luogo si basa su documenti (dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio), nei cui confronti non è stato rispettato il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. E’ appena il caso di aggiungere che il codice di rito stabilisce che la causa deve essere istruita in primo grado e che l’ammissione in appello di una consulenza tecnica è inusuale e, comunque, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d’essere ascoltato in Camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non inducono a ritenere rispettato l’art. 366 bis c.p.c..

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; inoltre ha rilevato: 1) le argomentazioni del ricorrente non dimostrano la denunciata violazione di legge ma, semmai, la mancata lettura degli atti; 2) vi era stata contestazione in quanto la controparte aveva eccepito la carenza dei requisiti soggettivi, che sono la vendita del fondo e la capacità lavorativa;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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