Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9360 del 28/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9360 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 2341-2012 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00488410010, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMAA- .L.G. FARAVELLI

22,

presso lo

studio degli avvocati MARESCA ARTURO, BOCCIA FRANCO
RAIMONDO, ROMEI ROBERTO,
2014

che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –

711
contro

t.

ORLICH ELIANA C.F.

RLCLNE56C46L424D, VIRONE SANTO,

I
domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio

#

Data pubblicazione: 28/04/2014

dell’avvocato ANDREONI AMOS, che li rappresenta e
difende unitamente agli avvocati MAGALINI GIANFRANCO,
FONTANOT LIVIO, giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 90/2011 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 20/07/2011 r.g.n. 453/2007+4;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2014 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;
udito l’Avvocato ANDREANO AMOS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

TELEPOST S.P.A.;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Trieste Orlich Eliana e Virone
Santo, dipendenti della Telecom Italia S.p.a., premesso di
aver prestato servizio presso struttura organizzativa
denominata “FACILITY MANAGEMENT” e successivamente, al settore
denominato Document Management trasferito dal 1 0 marzo 2004

cessione, contestando l’esistenza dei presupposti previsti
dall’art. 2112 cod. civ. e chiedendo la declaratoria della
nullità di quest’ultima e la reintegra nel posto di lavoro,
accertata la ininterrotta sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato con la Telecom Italia spa. Costituito il
contraddittorio con Telecom Italia S.p.a. e Telepost S.p.a.,
all’esito dell’attività istruttoria espletata mediante
acquisizioni documentali ed espletamento di prova
testimoniale, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trieste
accoglieva le domande con pronuncia che veniva confermata
dalla Corte d’appello. A sostegno del

decisum

la Corte

territoriale ripercorreva l’evoluzione normativa dell’art.2112
c.c. accertando l’applicazione alla fattispecie, della
disposizione come novellata dal d.lgsl. n.276/03 e, fatto
richiamo ai dicta giurisprudenziali elaborati sul punto dalla
Corte di legittimità e dalla Corte di Giustizia Europea,
osservava essenzialmente come le varie attività svolte dai
dipendenti transitati in Telepost non rientrassero nella
nozione di trasferimento d’azienda in quanto non si inserivano
nell’ambito di una struttura stabilmente organizzata e diretta
ad un omogeneo risultato produttivo. Indici significativi
potevano identificarsi nella circostanza che la dirigenza
preposta al servizio era priva di poteri decisionali e di
spesa occorrenti per avviare un effettivo e concreto sviluppo
del settore Document Management, creato del resto, a seguito
dell’accorpamento di funzioni eterogenee e parziali (quale la
gestione della corrispondenza) unificate solo dal nome e dalla
1

alla Telepost s.p.a., lamentavano l’illegittimità della

formale presenza di un responsabile unico a livello nazionale.
Tanto era emerso all’esito della attività istruttoria
espletata, significativa anche nel senso di delineare
l’insufficienza in capo al settore ceduto, di mezzi materiali
e know how idonei a rendere in favore della stessa azienda da
cui proveniva, un servizio valido e concorrenziale, di guisa
che poteva fondatamente ipotizzarsi nella specie, l’avvenuta

funzionali e operativi in ispregio alla disposizione
codicistica disciplinante la materia.
Avverso questa decisione interpone ricorso per cassazione la
Telecom Italia S.p.a. affidato a quattro motivi. Resistono con
controricorso illustrato da memoria la Orlich e il Virone.
Telepost spa non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società Telecom denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e degli artt. 1406,
2094 e 2112 c. c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
rilevando che, non essendo nella specie il rapporto di lavoro
caratterizzato

dall’intultus personae

e da un particolare

elemento fiduciario, non sussisteva l’interesse dei lavoratori
a contrastare il mutamento del datore di lavoro, al pari che
nella cessione contrattuale di cui all’art. 1406 c.c.,
fenomeno diverso dal subentro del cessionario nel rapporto di
lavoro con il lavoratore per effetto del 2112 c.c., che non
richiede il consenso del lavoratore, con impossibilità di
confrontare le due situazioni.
La censura è infondata.
Non può ritenersi sia venuto meno l’interesse del lavoratore
alla prosecuzione del rapporto con la Telecom Italia spa e
quindi, l’interesse ad agire per conseguire l’accertamento
della illegittimità della cessione del ramo d’azienda cui
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ÌE

esternalizzazione di servizi non collegati fra loro da aspetti

erano stati assegnati. Nel rapporto obbligatorio il debitore,
è infatti, di regola, indifferente al mutamento della persona
del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore
può ledere l’interesse del creditore. In base a questo
principio – espresso negli artt. 2740, 1268 comma 1 0 , 1272
comma 1 0 , 1273 comma 1 0 , 1406 cod. civ. – deve considerarsi
inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il

prestato il consenso di cui all’art.1406 cod. civ. L’art.2112
cod. civ., che permette all’imprenditore il trasferimento
dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi
del cedente e senza necessità di consenso del lavoratore,
costituisce eccezione al detto principio e non si applica se
non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento,
un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità economica
organizzata in maniera stabile e con idoneità alla produzione
o allo scambio di beni o di servizi.
Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad
accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo
d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e
perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza
di consenso. Né questo interesse è escluso dalla solidarietà
di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art.2112
c.c. la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore
ceduto “esistenti” al momento del trasferimento e non quelli
futuri, onde ben può considerarsi un pregiudizio a carico del
ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno
solvibile.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando vizio di
violazione e falsa applicazione dell’art.2112 c.c., si duole
che la Corte territoriale abbia declinato il requisito della
autonomia funzionale del ramo alienato, avendo a riferimento
esclusivamente il versante organizzativo e tralasciando di
3

lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia

considerare l’aspetto decisivo della idoneità del ramo ceduto
alla produzione di un bene o servizio.
A tal fine sottolinea altresì l’irrilevanza della circostanza
pur posta in rilievo dalla sentenza impugnata, concernente la
conservazione in capo alla cedente di alcune funzioni, posto
che il ramo ceduto anche se privato di talune attività, non

per il quale è stato creato. Né osterebbe a tali conclusioni
la eterogeneità delle funzioni inserite nel ramo ceduto, pur
rimarcata dai giudici di merito quale elemento sintomatico
della assenza di autonomia funzionale del settore oggetto di
traslazione.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando vizio di
motivazione, deduce che doveva riconoscersi poca rilevanza al
fatto che i beni componenti il ramo trasferito fossero di
esigua entità, osservando invece come nella specie il ramo
stesso fosse in grado di produrre un servizio o un bene;
erroneamente, inoltre, la Corte territoriale aveva ritenuto
che alla esiguità dei beni materiali potesse sopperirsi solo
ove le professionalità dei lavoratori fossero tali da
richiedere un elevato livello di conoscenze, in concreto
insussistente.
Con il quarto motivo lamenta che la sentenza, nella stessa
parte in cui incorre nel vizio di insufficiente motivazione,
realizza anche vizio di violazione dell’art.2112 c.c.
ribadendo che ciò che rileva ai fini della definizione di un
legittimo trasferimento di ramo aziendale, è esclusivamente la
circostanza che il ramo ceduto sia in grado di svolgere il
servizio cui è deputato.
I motivi, che in quanto strettamente connessi vanno trattati
unitariamente, sono infondati.

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perde per ciò stesso l’idoneità a produrre il bene o servizio

Deve premettersi che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, l’art. 2112 c.c. presuppone che vengano trasferiti,
nella loro funzione unitaria e strumentale, beni materiali
destinati all’esercizio dell’impresa, ovvero strutture a tal
fine organizzate (cfr.,

ex plurimis,

Cass. n.16641 del 1 0

ottobre 2012, Cass. n.18385 del 19 agosto 2009); ciò in
quanto, seppure un’azienda (o un ramo d’azienda) possa

solo ad essi, posto che la stessa nozione di azienda (art.
2555 c.c.) postula la necessità di beni materiali organizzati
fra loro in funzione dell’esercizio dell’impresa, di fatto
impossibile in totale assenza di strutture fisiche, per quanto
modeste le stesse siano.
anche

Peraltro,

laddove

i

beni

immateriali

assumano

preponderante rilevanza, è d’uopo, ad evitare la realizzazione
di un mero trasferimento di mano d’opera, che il ramo
d’azienda trasferito sia caratterizzato dall’organizzazione e
dal coordinamento, in modo stabile, di dipendenti la cui
capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati
di un particolare know how, o, comunque, dall’utilizzo di
copyright, brevetti, marchi, o altro (cfr, Cass. n.5678 del 7
marzo 2013).
Sempre in virtù dell’art. 2112 c.c., deve intendersi per ramo
autonomo d’azienda, come tale suscettibile di trasferimento,
ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in
occasione del trasferimento, conservi la propria identità; il
che presuppone però una preesistente realtà produttiva
funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva
creata

ad hoc

plurimis,

in occasione del trasferimento (cfr.,

ex

Cass. 3 ottobre 2013 n. 22613, Cass., n. 20422 del

21 novembre 2012, Cass.n. 21697 del 13 ottobre 2009).
‘ Nell’ottica descritta questa Corte ha infatti già osservato,
in linea con la prevalente dottrina formatasi sul punto, che
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comprendere anche beni immateriali, non può tuttavia ridursi

in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda,
tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e
2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma
quinto, cod. civ., sostituito dall’art. 32 del d.lgs. 10
ratione temporis

alla

settembre 2003, n. 276 ed applicabile

fattispecie considerata), perseguono il fine di evitare che il
trasferimento

si

trasformi

in

semplice

strumento di

rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano
riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia
dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività
produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto,
che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca
un’entità economica con propria identità, intesa come insieme
di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o
accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, quinto coma,
cod.civ. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica
organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica
organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di
una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24
gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale
legame funzionale che renda le attività dei lavoratori
interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati
(Cass. 4 dicembre 2012 n.20422, Cass. 8 giugno 2009 n. 13171).
Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai
descritti principi avendo accertato, nei termini in precedenza
esposti, con motivazione esauriente ed esente da vizi logici o
giuridici, l’assenza d’un legittimo trasferimento di ramo
d’azienda essenzialmente perché il ramo d’azienda, così come
individuato nel contratto, era privo di una adeguata autonomia

funzionale come definita alla luce dei principi enucleati

dalla giurisprudenza di legittimità ai quali si è fatto
richiamo, esaurendosi in

una entità costituita
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ad hoc con

sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di

consistenza minima di beni strumentali nella quale è stato
fatto confluire personale eterogeneo, senza alcuna
specializzazione e coordinamento per una molteplicità di
servizi.
Con motivazione congrua la Corte territoriale ha quindi
individuato nella esiguità dei beni trasferiti, nella

produttività del servizio, indici significativi di una forma
di espulsione di frazioni non coordinate fra loro di
articolazioni aziendali sostanzialmente non autonome,
unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non
dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già
costituito, in coerenza con la ratio legis della disposizione
codicistica come enucleata dalla esegesi offerta dalla
giurisprudenza di questa Corte alla quale si è fatto richiamo.
Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata, per
quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente
coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono
la struttura argomentativa, e va pertanto confermata, essendo
precluso a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.
Alla luce delle sinora esposte argomentazione, il ricorso va,
in conclusione, respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
nei confronti delle parti resistenti costituite nella misura
in dispositivo liquidata. Nulla per le spese nei confronti di
Telepost s.p.a. che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la Telecom Italia spa
al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi
professionali oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei
confronti di Telepost s.p.a.

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eterogeneità delle professionalità utilizzate, nella scarsa

Così deciso in Roma il giorno 26 febbraio 2014.

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