Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9359 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. II, 08/04/2021, (ud. 02/07/2020, dep. 08/04/2021), n.9359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26067/2015 proposto da:

P.S., M.C., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio “TORINO DI LODOVICO &

ASSOCIATI”, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO TORINO;

– ricorrenti –

e contro

M.Q., M.M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4152/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. Con atto di citazione dell’11 febbraio 2009 M.Q. conveniva in giudizio la cugina M.C., la zia P.S., la madre F.L. e la sorella M.M.A., chiedendo che venisse accertato in suo favore l’intervenuto acquisto per usucapione dell’intera proprietà di un immobile sito in (OMISSIS), immobile di cui l’attore e le convenute erano comproprietari pro indiviso e iure hereditario. Costituendosi in giudizio, M.C. e P.S. chiedevano in via riconvenzionale di accertare l’illegittima occupazione dell’immobile da parte dell’attore e la sua condanna al pagamento dell’indennità dovuta per l’occupazione abusiva. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15699/2010, rigettava sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale delle convenute.

2. La sentenza era impugnata da M.Q.. La Corte d’appello di Roma, con pronuncia 10 luglio 2015, n. 4152, ha accolto il gravame e, in totale riforma dell’impugnato provvedimento, ha dichiarato M.Q. “esclusivo proprietario, per intervenuta usucapione, dell’appartamento sito in (OMISSIS)”.

3. Contro la sentenza d’appello ricorrono per cassazione M.C. e P.S..

Gli intimati M.Q. e M.M.A. non hanno proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in tre motivi, tra loro strettamente connessi.

a) Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 167 e 183 c.p.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., in tema, rispettivamente, di onere di contestazione dei fatti in capo al convenuto e di fatti suscettibili di fondare la decisione del giudice di merito”: la Corte d’appello ha riformato la decisione di primo grado, valorizzando ai fini probatori una singola circostanza (la non disponibilità da parte delle ricorrenti delle chiavi dell’immobile) che era stata dedotta dall’originario attore soltanto in sede di memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, ed erroneamente applicando a tale circostanza l’onere di contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., disposizione che peraltro, nella versione novellata dalla L. n. 69 del 2009, non troverebbe applicazione nel caso di specie, essendo il processo stato introdotto prima della sua entrata in vigore.

b) Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1158 e 2697 c.c., in tema, rispettivamente, di usucapione ventennale di immobili e relativo onere probatorio”: la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto sufficiente ai fini della sussistenza dell’animus excludendi la mancata disponibilità della chiavi in capo alle ricorrenti.

c) Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1140 e 1144 c.c., in tema, rispettivamente, di possesso e di tolleranza”: la Corte d’appello ha erroneamente affermato che il possesso esercitato da M.Q. non poteva essere conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, non solo perchè ciò doveva essere provato da questi ultimi, ma anche perchè l’uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la tolleranza.

I motivi sono fondati. A prescindere dalla applicazione al caso di specie dell’art. 115 c.p.c., come novellato nel 2009 (secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell’art. 115 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, è infatti applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, cfr. da ultimo Cass. 5429/2020) va precisato che “la mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova perchè non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari – la cui allegazione “non è soggetta alle preclusioni dettate per i fatti principali, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2″ (Cass. 8525/2020) – consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2” (Cass. 19709/2015, v. anche Cass. 5191/2008). Pertanto il giudice d’appello ha errato nell’affermare che la mancata contestazione della circostanza della mancata disponibilità delle chiavi dell’appartamento da parte delle ricorrenti ha comportato “effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto”.

La circostanza, poi, non poteva essere ritenuta “elemento di per sè sufficiente ad attestare il possesso” necessario per l’acquisto per usucapione della proprietà del bene. E’ vero che secondo questa Corte “il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso” (ex multis, Cass. 966/2019). A tal fine, però “egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus” (Cass. 10734/2018, Cass. 7221/2009, Cass. 13921/2002), “non essendo sufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune” (Cass. 966/2019). Pertanto, il fatto che M.Q., che già abitava con il padre l’appartamento e quindi aveva le chiavi del medesimo, abbia continuato ad essere il solo ad averne la disponibilità non indica, di per sè, il possesso esclusivo dell’immobile.

Diverso valore, invece, può avere secondo la giurisprudenza di questa Corte “la sostituzione della serratura – della quale tutti i coeredi hanno però la chiave – anche se, per tale ipotesi, devesi, comunque, provare che l’azione sia stata voluta e manifestata al fine d’escludere il compossesso dei coeredi e non piuttosto a fini d’ordinaria manutenzione o di migliore preservazione dell’immobile e di quanto in esso contenuto” (Cass. 1370/1999).

Quanto, infine, al riferimento operato dalla Corte d’appello alla tolleranza da parte degli altri compossessori, va precisato – come sottolineano le ricorrenti – che “in tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacchè nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo” (così, da ultimo, Cass. 11277/2015). In ogni caso, però, il riferimento alla tolleranza non è conferente nel caso di specie, in cui M.Q. essendo coerede era già (con)possessore e quello che doveva essere provato era l’esercizio esclusivo, nel senso di esclusione del compossesso dei coeredi, del dominio sulla res comune, prova il cui onere gravava sull’usucapiente (v. Cass. 13921/2002).

II. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma, che la deciderà attenendosi ai principi di diritto sopra ricordati; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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