Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9358 del 21/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/05/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 21/05/2020), n.9358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32458-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.I.T.E.C. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIA SONIA VULCANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 613/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 04/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi nei confronti della società SITEC srl, impugnando la sentenza resa dalla CTR Piemonte indicata in epigrafe.

Il giudice di appello, nel rigettare l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della società contribuente contro la pretesa concernente la rideterminazione di IVA e altri tributi per gli anni 2007 e 2008, precisava che, ferma la ritualità del ricorso congiunto, l’accertamento relativo all’anno 2007 doveva ritenersi tardivo per decorso del termine di decadenza, non applicandosi il c.d. raddoppio in ragione della modifica apportata dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 131, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,comma 1 e del contenuto dispositivo di cui alla stessa L. n. 208 del 2015, art. comma 132. Evidenziava, inoltre, che l’accertamento relativo all’anno 2008 era illegittimo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 bis e che, nel merito, la pretesa fiscale era infondata in quanto il giudice penale, chiamato a verificare l’esistenza degli illeciti prospettati dall’autorità fiscale, aveva disposto il proscioglimento perchè il fatto non sussiste.

La società intimata si è costituita con controricorso.

L’Agenzia deduce, con il terzo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 ed il vizio di motivazione apparente, non avendo la CTR esposto le ragioni poste a base della decisione in ordine all’insussistenza della pretesa fiscale.

Tale motivo va esaminato con priorità ed è infondato avendo la CTR esposto, sia pur in maniera succinta, la ratio decidendi in ordine all’esclusione della legittimità della pretesa, facendola discendere dalla pronunzia di proscioglimento adottata dal giudice penale nei confronti della società. Tanto è sufficiente per soddisfare il c.d. minimo costituzionale che le Sezioni Unite di questa Corte hanno richiesto per escludere il carattere apparente della decisione – cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014 -.

Passando all’esame del primo motivo, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 103 c.p.c. e art. 104 c.p.c., comma 1 nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14, 26 e 29, la ricorrente deduce in particolare l’illegittimità del ricorso congiunto del contribuente per distinte annualità d’imposta. La censura è infondata.

Ed invero, questa Corte è ormai ferma nel ritenere ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l’art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi (D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29), essendosi pure aggiunto che nella medesima direzione si è espressa anche la sentenza n. 3692 del 2009 delle SS. UU., benchè si tratti di un precedente non esattamente in termini, essendosi con detta sentenza ammesso il ricorso cumulativo non avverso una pluralità di atti di accertamento, bensì avverso più sentenze emesse in procedimenti formalmente distinti, ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta – cfr. Cass. n. 4490/2013, Cass. n. 7940 del 20/04/2016 -.

Tanto è sufficiente per ritenere l’infondatezza della censura proposta dalla ricorrente.

Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3 e del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2.

La CTR avrebbe dovuto riconoscere il raddoppio del termine di decadenza per l’accertamento relativo all’anno di imposta 2007, non applicandosi retroattivamente la disciplina richiamata in motivazione dalla CTR.

La censura è fondata.

Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016).

Si è ancora aggiunto che, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo – cfr. Cass. n. 22337/2018 -.

Si è ancora precisato, esaminando il tema della portata dei successivi interventi legislativi di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015 ed alla L. n. 208 del 2015, che “In tema di termini per l’accertamento tributario stabiliti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 (per le imposte sui redditi) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 (per l’IVA): a) il regime transitorio introdotto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3 (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132 (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (D.Lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, non si applicano nè in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione agli inviti a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015; e) il secondo regime transitorio (L. n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, disponendo che della L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 128 del 2015”- Cass. n. 26037/2016 -.

Orbene, a tali principi non si è affatto uniformato il giudice di appello, allorchè ha ritenuto di dovere escludere il raddoppio dei termini senza considerare che l’accertamento in contestazione risaliva all’anno 2007 e che non occorreva, a quella data, la presentazione di alcuna denuncia.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Piemonte anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20 e dell’art. 654 c.p.p.. La CTR avrebbe errato nell’escludere la fondatezza della pretesa fiscale, fondando la decisione unicamente pronunzia di proscioglimento del giudice penale.

La censura è fondata.

Ed invero, questa Corte è ferma nel ritenere che ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare – cfr. Cass. n. 3724/2010, Cass. n. 4924 del 27/02/2013, Cass. n. 10578 del 22/05/2015, Cass. n. 17258 del 27/06/2019 -.

A tali principi non si è affatto conformato il giudice di appello che, ben lungi dal compiere un esame specifico del materiale probatorio posto a base della pretesa dall’amministrazione fiscale, ha ritenuto l’azione accertativa tout court illegittima in relazione alla pronunzia favorevole resa in sede penale, senza peritarsi di verificare la rilevanza di tale decisione nel giudizio tributario.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Piemonte anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso, accoglie il secondo ed il quarto motivo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Piemonte liquidazione delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 21 maggio 2020

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