Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9357 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5527-2014 proposto da:

P.G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TANGORRA 12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CATRICALA’,

che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

211, presso lo studio dell’avvocato FABIO CRISCUOLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato DOMENICO CALDERONI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3330/2013 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositata il 5/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato FRANCESCO SCHILLACI per delega;

udito l’Avvocato FABIO CRISCUOLO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Procopio Antonella propose ricorso avverso la sentenza n. 236/2011 con cui il Giudice di pace di Davoli aveva rigettato la domanda da lei proposta e volta al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’ostruzione del vialetto di ingresso e al relativo cancello della propria abitazione, sita in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), con il posizionamento, in data 2 agosto 2008, di un’autovettura Fiat Punto di colore blue, senza targa, di proprietà di P.G.F., per rimuovere la quale era stato necessario richiedere l’intervento di un carro attrezzi. Il medesimo Giudice aveva accolto la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto P.G.F. ed aveva, quindi, condannato P.A. al pagamento, in favore del convenuto, della somma di Euro 1.250,00, a titolo di risarcimento dei danni subiti dal veicolo a seguito del posizionamento sulla pubblica via da parte dell’attrice, oltre alla somma di Euro 500,00, determinata ex art. 1226 c.c., a titolo di risarcimento dei danni morali.

Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza depositata il 5 dicembre 2013, accolse parzialmente l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accolse in parte la domanda proposta in primo grado da P.A. e condannò, quindi, il P. al pagamento, in favore della controparte, della somma di Euro 216,00, oltre interessi legali dal 3 agosto 2008, rigettò nel resto la domanda attorea, rigettò la domanda riconvenzionale avanzata dal P. e condannò quest’ultimo alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza del Tribunale P.G.F. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi.

Ha resistito con controricorso P.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente, pur facendo riferimento nella rubrica del mezzo a “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e ss in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nell’illustrazione dello stesso lamenta che il Giudice dell’appello abbia posto a base della decisione impugnata in questa sede “documenti e circostanze in maniera illegittima ed errata”, non abbia “tenuto in considerazione fatti decisivi per il giudizio e che erano stati oggetto di discussione tra le parti”, non abbia “argomentato i motivi in fatto ed in diritto in base ai quali si possa addivenire ad una ricostruzione dei fatti nonchè dei comportamenti, alternativa a quanto legittimamente deciso dal Giudice del primo grado”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Ed invero con lo stesso, come già evidenziato, si deducono, in sostanza e prevalentemente, vizi di motivazione, senza tuttavia rispettare il paradigma legale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso di specie, non essendo stati detti vizi dedotti in conformità all’interpretazione di detta norma operata dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053 e quanto più ampiamente argomentato in relazione al secondo motivo di gravame).

Peraltro il motivo risulta comunque inammissibile, atteso che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata – come avvenuto nel motivo all’esame – la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. 29/11/2016, n. 24298; Cass., ord., 15/01/205, n. 635, Cass. 8/03/2007, n. 5353).

2. Con il secondo motivo, lamentando “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 4 e n. 5”, il ricorrente sostiene che “il Giudice di secondo grado ha considerato gli elementi probatori forniti” dalle parti “in modo fuorviante ed illegittimo e ponendoli in contraddizione gli uni con (…)gli altri” e “ha omesso di decidere in diritto e di valutare i punti decisivi per il giudizio”; il ricorrente si duole inoltre del fatto che le prove da lui dedotte non siano state ammesse e ciò nonostante la sua domanda sia stata rigettata per il mancato riscontro probatorio di quanto da lui dichiarato in sede di interrogatorio formale, il cui valore probatorio sarebbe stato erroneamente inteso.

2.1. Anche il secondo motivo non può essere accolto.

Alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile, come già sopra evidenziato, ratione temporis nel caso di specie, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Si precisa, in particolare, che non sussiste nella specie alcun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, atteso che il Tribunale, nella motivazione della sentenza impugnata in questa sede, si limita a riportare tra virgolette un brano della comparsa di costituzione del P. in cui si assume che l’auto di cui si discute in causa sarebbe stata parcheggiata non dall’attuale resistente ma da un suo parente, senza tuttavia ritenere in alcun modo accertata tale circostanza, come sembra, invece, adombrare il P..

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, il ricorrente non propone doglianze motivazionali nel rispetto del paradigma legale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nè può ravvisarsi nella specie un omesso esame di fatti decisivi, pure indicato nell’illustrazione del mezzo, vizio, questo, effettivamente riconducibile al vigente n. 5 del citato art. 360, ma non dedotto in conformità all’interpretazione di detta norma operata dalla giurisprudenza di legittimità.

Le ulteriori censure proposte risultano inammissibili in quanto del tutto generiche, evidenziandosi in particolare che la valutazione delle risultanze istruttorie è rimessa al Giudice del merito, che neppure è specificato in ricorso perchè il Tribunale avrebbe erroneamente inteso il valore probatorio dell’interrogatorio formale reso dal P. e che quest’ultimo neppure ha assolto l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova testimoniale, evidentemente non ammessa o comunque non espletata, cui il ricorrente fa riferimento nel motivo, al fine di consentire a questa Corte il controllo sulla decisività dei fatti da provare.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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