Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9356 del 28/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9356 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA

sul ricorso 25757-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

572

PIRAS

MARISA

CATERINA

C.F.

PRSMSC70C61E647W,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la

Data pubblicazione: 28/04/2014

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 137/2008 della CORTE D’APPELLO
DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

28/04/2008 R.G.N. 232/2007;

RG n 25757/2008

Poste Italiane/ Piras Maria Caterina

Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/4/2008 la Corte d’appello di Cagliari- sez. distaccata di Sassari ha
confermato la sentenza del Tribunale di Nuoro con cui il primo giudice ha dichiarato la nullità del
termine apposto al contratto di lavoro tra Poste Italiane e Piras Maria Caterina decorrente dal
2/11/1999 al 30/11/1999 , stipulato ai sensi dell’ad 8 del CCNL del 1994 con integrato
dall’accordo del 25/9/97 e successive modifiche ,per esigenze eccezionali con conseguente

Poste alla riammissione in servizio della lavoratrice ed al pagamento delle retribuzioni a decorrere
dal 23/7/2004, data della messa in mora del datore di lavoro e cioè dalla comunicazione a
quest’ultimo della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione .
La Corte territoriale, esclusa la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ha ritenuto
che la causale indicata nel contratto era da ritenere ammessa solo per le assunzioni disposte lino alla
data del 30.4.98. di modo che per quella in questione, successiva a detto termine , quest’ultimo era
stato illegittimamente apposto. Ha poi rilevato che il successivo contratto a termine era intervenuto)
allorchè il rapporto era ormai a tempo indeterminato.
Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione Poste Italiane formulando quattro
motivi. Si costituisce la Piras depositando controricorso successivamente memoria ex art 378 cpc .
Motivi della decisione
Preliminarmente deve rilevarsi che il controricorso è tardivo in quanto depositato oltre i
termini di cui all’art 370 cpc.
I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:
I.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto) risolto per mutuo consenso
(violazione degli artt 1372 , IO comma , 1175, 1375, 2697, 1427,1431 cc, 100 cpc ) , costituendo
l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto relativo al secondo contratto (
31 ’12/2002) e l’offerta della prestazione (nel maggio 2005 con la notifica del ricorso giudiziario )
indice di disinteresse della lavoratrice . Lamenta che la Corte d’appello aveva posto a carico della
società l’onere di dimostrare l’avvenuta estinzione del rapporto anche in caso di prolungato
disinteresse delle parti dovendo, invece , il lavoratore vincere la presunzione .
2.- violazione dell’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56, degli artt. 1362 e segg. c.c. e 8 del ceni
26.11.94, nonché degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98, 2.7.98, del 24.5.99 e del 18.1.2001
contestandosi l’interpretazione della contrattazione collettiva cui è pervenuto il giudice di merito
che h a r itenuto di indiv iduare n ella d ata d el 30 /4/98 il t ermine ultimo di v alidità ed e fticacia
temporale dell’accordo integrativo del 25/9/97 (motivo 2);

riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dal 2/11/1999 con condanna di

3.- insufficienza della motivazione della sentenza impugnata quando pone il termine di
efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.97 al 30/4/1998 , limite temporale non
previsto dal contratto collettivo nè dall’Accordo citato del 25/91 997 , non essendo , inoltre, i
cosiddetti accordi attuativi idonei ad incidere sul contratto collettivo così come integrato (motivo
3);
4.- violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1223 c.c., violazione delle norme
sulla messa in mora , nonché omessa valutazione dell’alimule perceptum ( motivo 4)

Sul primo motivo deve ribadirsi , in conformità all’insegnamento di questa Suprema Corte, che “nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale
ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è
necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine
ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del s ignificato e della portata del complesso di tali
elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. ad es. Cass. 11-11- 2009 n. 23877,
Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390. Cass. 17-12-2004 n. 7 3554, (‘ass. 11-122001 n. 15621).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato
precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di
provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. ad es. Cass. 2-12-2002 n. 17070).
La Corte d’Appello di Cagliari ha ritenuto, con motivazione esente da vizi, non provate dette
circostanze , alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal decorso del tempo maturatosi prima
della messa in mora peraltro non eccessivamente lungo anche perché nel frattempo la Piras era
stata assunta nuovamente a tempo determinato ). Ha affermato, inoltre, che occorreva tenere conto
delle incertezze giurisprudenziali manifestatesi sulla questione della validità del termine ; clic le
scelte della lavoratrice potevano ritenersi condizionate dall’opportunità di non creare frizioni con il
datore di lavoro nella speranza di essere richiamata a lavorare presso Poste Italiane e che la
percezione del TFR e la ricerca di altre occupazioni non costituivano manifestazione di volontà eli
rinunciare all’impugnazione
Il secondo ed il terzo motivo sono infondati .
9

Il ricorso va rigettato

Deve richiamarsi quanto già affermato da questa Corte, sulla scia di Cass. S.U. 2/3/2006 n. 4588,
secondo cui “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di

condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato” (v. Cass. 4- 8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n.
4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla
individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”
(v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass.
23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, “in materia di assunzioni a termine di
dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.
26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le
parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che
deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza
del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli
stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1″ (v., fra le altre,
Cass. 1;10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, C’ass. 18-3-2011 n. 6294. Cass. 3 1-3-201 1 n.
7502).Nella specie , pertanto, la sentenza impugnata non è censurabile per aver dichiarato la nullità
del termine apposto al contratto stipulato successivamente al 30/4/98 e l’esistenza di un rapporto
lavoro subordinato a tempo indeterminato un da detto contratto .
Con il quarto motivo la ricorrente. Osserva che a seguito dell’accertamento giudiziale
dell’illegittimità del contratto a termine il dipendente ha diritto al pagamento delle retribuzioni
3

individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a

soltanto dalla data di riammissione in servizio , salvo che abbia costituito in mora il datore di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa determinando una situazione di mora
accipiendi del datore di lavoro ,situazione questa che non era integrata dall’istanza per il tentativo
obbligatorio di conciliazione , esclusivamente prodromica all’instaurazione della controversia..
La ricorrente formula ex art 366 bis cpc ,che va applicato nella fattispecie ratione temporis , il
seguente quesito di diritto: dica la SC se per il principio di corrispettività della prestazione il
lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine

salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro , offrendo espressamente la prestazione
lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’ari 1206 e seu cc”
Osserva il Collegio che il quesito riguardante la mora credendi risulta del tutto generico e non
pertinente rispetto alla fattispecie , in quanto si risolve nell’enunciazione in astratto delle regole
vigenti nella materia , senza enucleare il momento) di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito ( cfr in tal senso tra le tante. Cass. n 80/2011 , n
9583/2011 ).
Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36),
dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. In particolare
“deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia
del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo” e “la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il
ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 9 4339).
Così risultato inammissibile detto motivo , riguardante le conseguenze economiche della nullità del
termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6′ e 7’ della legge 4 novembre 2010 n. 183. in vigore dal 24
novembre 2010.
In proposito, inflitti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce
condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in
ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di
ricorso (e:fr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

4

stipulato- ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio ,

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente,
il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-201 I n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente soccombente. Dette spese vanno
liquidate limitatamente alla partecipazione del difensore della Piras all’udienza di discussione
considerato che il controricorso è inammissibile , come prima rilevato, per tardività .

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in E
100,00 per esborsi ed E 2.000.00 per compensi professionali , oltre accessori di legge .
Roma 13/2/2014

PQM

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