Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9356 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6817-2014 proposto da:

S.C., C.S.M.E. tanto in proprio quanto

nella qualità di unici soci della Società MASTER S.A.S,

elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 106, presso lo

studio dell’avvocato GUIDO VALORI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ISABELLA ODERDA giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI LANZO TORINESE, in persona del Sindaco pro tempore Prof.ssa

A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO

23, presso lo studio dell’avvocato LUCIO VALERIO MOSCARINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DARIO POTO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1203/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato ANNA GIZZO per delega;

udito l’Avvocato GIOVANNI MOSCARINI per delega orale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.C. e C.M.E., dichiarando di agire sia in proprio, sia quali soci della Master s.a.s., nel 1999 convennero dinanzi al Tribunale di Torino, sezione di Ciriè, il Comune di Lanzo, allegando che:

– erano proprietari di un immobile sito a Lanzo Torinese, ed adibito a ristorante, gestito dalla Master;

– a partire dal 1997 l’immobile era stato più volte allagato da acque reflue;

– gli allagamenti erano stati causati da lavori di sistemazione stradale, eseguiti in modo imperito e su incarico del Comune. Chiesero perciò la condanna del Comune al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale adito negò la giurisdizione del giudice ordinario, che venne invece affermata dalla Corte d’appello con sentenza confermata da questa Corte.

3. Riassunta la causa dinanzi al Tribunale di Torino, sezione di Ciriè, questo con sentenza 4.2.2009 n. 24 accolse la domanda.

La sentenza fu appellata dal Comune di Lanzo Torinese.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza 3.6.2013 n. 1203, accolse parzialmente il gravame del Comune, riducendo il quantum a 18.000 Euro circa.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.C. e C.M.E. (i quali hanno dichiarato di agire “sia in proprio che quali soci della Master s.a.s.), con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Comune di Lanzo Torinese ha resistito con controricorso.

Ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano formalmente che la sentenza sarebbe affetta:

(-) sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 112 c.p.c.);

(-) sia dal vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4;

(-) sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Il motivo, pur formalmente unitario, contiene in realtà più censure, così riassumibili:

(a) la Corte d’appello ha ridotto del 50% il risarcimento liquidato dal Tribunale, per tenere conto del fatto che già prima dell’allagamento l’immobile non era in buono stato di conservazione, sebbene tale circostanza fosse stata esclusa dal Tribunale, e sul punto non vi fosse stato gravame del Comune;

(b) in ogni caso, la Corte d’appello aveva ritenuto di trarre la prova dello status quo ante dell’immobile fraintendendo alcune fotografie prodotte dagli stessi danneggiati, le quali ritraevano le condizioni dell’immobile dopo l’allagamento, e non prima.

1.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di extrapetizione il motivo è infondato.

Il Comune aveva impugnato la sentenza di primo grado lamentandosi (anche) della misura del risarcimento liquidato dal primo giudice, e tanto bastava per investire il giudice d’appello del potere di riesaminare il quantum debeatur.

Rimessa in discussione tale questione, non era inibito al giudice rilevare anche d’ufficio tutte le circostanze idonee ad incidere sulla misura del risarcimento, le quali non sono riservate dalla legge all’eccezione di parte, e sono dunque rilevabili ex officio (come stabilito dalle Sezioni Unite di questa corte: Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 10531 del 07/05/2013).

1.3. Nella parte, invece, in cui lamenta l’error in procedendo il motivo è fondato.

Il giudice di merito, nell’esaminare le prove offerte dalle parti, può incorrere teoricamente in un duplice errore di giudizio:

– un errore di valutazione;

– un errore di percezione.

L’errore di valutazione consiste nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare. Si tratta, come noto, d’un errore non sindacabile in sede di legittimità, in quanto non previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili col ricorso per cassazione, di cui all’art. 360 c.p.c..

L’errore di percezione è invece quello che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ovvero sul demonstratum e non sul demonstrandum.

L’errore di percezione, quando investa un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Quando, invece, investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, l’errore di percezione è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c.. Tale norma, infatti, nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove “immaginarie”, cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte.

In tal caso ci troviamo al di fuori dell’attività di valutazione delle prove, sempre insindacabile in sede di legittimità, giacchè per quanto detto altro è ricostruire il valore probatorio di un fatto od atto (attività di valutazione), altro è individuarne il contenuto oggettivo (attività di percezione).

1.4. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto che la proprietà degli odierni ricorrenti, già prima dell’allagamento, non fosse in buono stato di conservazione, ed ha tratto la prova “dalle foto precedenti agli eventi meteorici”.

E tuttavia dall’esame degli atti, consentito a questa Corte dalla natura del vizio denunciato, si rileva che tutte le foto allegate agli atti, e relative allo stato dell’opera prima del danneggiamento, evidenziano un immobile in normale stato di conservazione, non certo in stato di “vetustà e cattiva conservazione”, come affermato dalla Corte d’appello a p. 18 della propria decisione.

Sussiste, pertanto, il vizio denunciato, con la conseguenza che la sentenza andrà, su questo punto, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Torino, affinchè provveda a liquidare nuovamente il quantum debeatur, sanando il vizio di percezione evidenziato, e ferma restando ovviamente la piena libertà del giudice del rinvio nella valutazione delle prove offerte.

2. Il secondo motivo.

2.1. Col secondo motivo i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c..

Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente negato la rivalutazione del credito risarcitorio, qualificando come “domanda nuova” l’istanza in tal senso formulata dagli odierni ricorrenti.

2.2. Il motivo è fondato.

Il credito scaturente dal fatto illecito costituisce una obbligazione di valore. Le obbligazioni di valore non sono soggette al principio nominalistico, con la conseguenza che il giudice chiamato alla liquidazione del danno deve provvedere a rivalutare, anche d’ufficio, il credito risarcitorio; oppure deve liquidarlo direttamente in moneta attualizzata all’epoca della liquidazione.

3. Il terzo ed il quarto motivo.

3.1. Il terzo ed il quarto motivo investono la regolazione delle spese compiuta dal giudice di merito, e restano assorbiti dall’accoglimento …” dei primi due motivi di ricorso.

4. Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) accoglie il primo ed il secondo motivo; dichiara assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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