Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9355 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 26/04/2011), n.9355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRAIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso PRINCIPALE N. 18781/2009 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Bormida n.

1, presso lo studio dell’Avv. Orazio Bonanno, rappresentato e difeso

dall’Avv. ANDRONICO Francesco del foro di Catania come da procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.p.A. (incorporante BANCO DI SICILIA S.p.A.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Piazzale Clodio n. 32, presso lo studio dell’Avv. Lidia

Ciabattini, rappresentata e difesa dall’Avv. TOSI Paolo come da

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

BANCA POPOLARE DI LODi S.p.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore;

BANCO POPOLARE Soc. COOP., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

nonchè sul ricorso incidentale condizionato proposto da:

BANCA POPOLARE DI LODI S.p.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore;

BANCO POPOLARE Soc. COOP., in persona del legale rappresentante pro

tempore, entrambe elettivamente domiciliate in Roma, Virgilio n. 8,

presso lo studio dell’Avv. Enrico Ciccotti, che le rappresenta e

difende, anche in via disgiunta, con gli Avv.ti Guglielmo Burragato e

Lucio Ricca giusta procure speciali in atti;

– controricorrenti –

– ricorrenti incidentali –

contro

R.M.;

– intimato –

e contro

UNICREDIT S.p.A. (incorporante BANCO DI SICILIA S.p.A.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Piazzale Clodio n. 32, presso lo studio dell’Avv. Lidia

Ciabattini, rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Tosi come da

procura a margine del controricorso;

– controricorrente a ricorso incidentale –

per la cassazione della sentenza n. 840/08 della Corte di Appello di

Catania del 3.07.2008/7.08.2008 nella causa iscritta al 1057 R.G.

dell’anno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

5.04.2011 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Francesco Andronico per il ricorrente principale

R., l’Avv. Anna Buttafoco – per delega dell’Avv. Paolo Tosi –

per l’Unicredit, l’Avv. Enrico Ciccotti per la Banca Popolare di Lodi

e per il Banco Popolare Soc. Coop;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. MATERA

Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso, depositato il 28.06.1993, R.M., dipendente della Banca del Sud S.p.A., impugnava il licenziamento a lui intimato con atto 27.04.1993, in relazione ad addebito relativo a mancata comunicazione del rinvio a giudizio per violazioni di carattere contabile. Il Pretore di Messina con sentenza del 24.10.1994 rigettava il ricorso del lavoratore.

Tale decisione, appellata dal R. sulla base di motivi relativi ad intempestività del licenziamento, mancanza di giusta causa ed arbitrarietà del comportamento della banca, veniva confermata dal Tribunale di Messina con sentenza del 12.05.2000.

2. A seguito di impugnazione del R., la Corte di Cassazione con sentenza n. 13294 del 2003 accoglieva il ricorso per quanto di ragione in ordine all’accertamento dell’effettiva sussistenza dei fatti, riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare – per i loro profili soggettivi ed oggettivi – l’adeguato fondamento della sanzione disciplinare espulsiva, non essendo sufficiente – ai fini della giusta causa del licenziamento – il solo fatto oggettivo del rinvio a giudizio del lavoratore e di una ritenuta incidenza di esso sul rapporto fiduciario e sull’immagine dell’azienda. La stessa Corte disponeva rinvio alla Corte di Appello di Catania.

3. La Corte di Appello di Catania, dopo la riassunzione della causa, con sentenza n. 840 del 2008 ha rigettato l’appello proposto dal R. contro la sentenza del Pretore di Messina del 1994, confermando la legittimità del licenziamento, e ha anche rigettato la domanda di estromissione dal giudizio della Banca Popolare di Lodi.

La Corte territoriale, verificati gli elementi risultanti dalla documentazione in atti, ha ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento, in quanto i comportamenti tenuti dal R. – pur al di fuori del rapporto di lavoro – erano di tale gravità da incrinare, in modo irrevocabile, il rapporto fiduciario con la banca datrice di lavoro.

La stessa Corte ha rigettato la domanda di estromissione dal giudizio della Banca Popolare di Lodi, osservando chela legittimazione passiva derivava dal fatto che l’Istituto aveva incorporato la Banca Mercantile Italiana, a sua volta cessionaria della Banca del Sud, datrice di lavoro all’epoca del licenziamento.

4. Il R. ricorre per cassazione con due motivi. Resiste con controricorso l’Unicredit S.p.A. (incorporante del Banco di Sicilia S.p.A.).

La Banca Popolare di Lodi S.p.A. e il Banco Popolare Soc. COOP resistono con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, contrastato dall’Unicredit con proprio controricorso.

Il R. e l’Unicredit hanno depositato rispettive memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni contro la stessa sentenza.

2. Con il primo motivo del ricorso principale il R. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 116, 384 e 437 c.p.c. e art. 2119 cod. civ..

Sostiene che era mancata una autonoma verifica delle risultanze penali da parte della Corte territoriale, che, in aperta violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, non aveva proceduto alla concreta verifica della commissione, o meno, da parte di esso ricorrente dei fatti imputatigli e della loro idoneità ad assurgere a giusta causa di licenziamento, limitandosi a far proprie le conclusioni del Tribunale penale nella sentenza n. 1550/2001, non passata in giudicato.

Nè la Corte territoriale, continua il ricorrente, aveva operato un raffronto critico con le risultanze del processo, diverse da quelle penali, e non aveva esercitato neppure il potere-dovere, ad essa attribuito dall’art. 437 c.p.c., di ammettere i mezzi di prova, ritenuti indispensabili per la decisione.

Le esposte censure sono prive di pregio e vanno disattese.

Al riguardo va rilevata l’inammissibilità del ricorso, in quanto il quesito di diritto, contenuto nel ricorso principale (cfr pag. 10), non è adeguato e rispondente a quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., essendo formulato in termini astratti, senza una efficace sintesi degli aspetti di fatto e di diritto della controversia, e quindi non idonei a consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso indicato dal ricorrente (cfr. Cass S.U. n. 6420 dell’11 marzo 2008 e Cass. S.U. n. 18759 del 9 luglio 2008).

In ogni caso le censure come formulate si risolvono in un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie rispetto alla valutazione della Corte territoriale, la quale, con ampia e coerente motivazione, ha verificato gli elementi probatori acquisiti in sede penale (in particolare la relazione ispettiva Pollicita-Ventimiglia e la relazione redatta dai consulenti nominati dal PM), sottoponendoli ad accurato e puntuale esame circa la loro consistenza e, all’esito, concludendo per la fondatezza delle conclusioni del giudice penale in ordine alla sussistenza di operazioni contabili irregolari e continuate nel tempo, tutte concorrenti all’apposizione di falsi ed irreali valori nei bilanci della società.

I comportamenti così tenuti dal R. sono stati valutati dalla Corte territoriale sulla scia e nel rispetto di quanto indicato nella sentenza rescindente e ritenuti di tale gravità – anche con riguardo al profilo soggettivo – da incrinare il rapporto fiduciario con la società datrice dei lavoro.

Alla luce delle precedenti considerazioni nessuna rilevanza assume la doglianza relativa all’omesso esercizio del potere officioso spettante al giudice di merito ex art. 437 c.p.c., nell’ammissione di mezzi di prova, trattandosi oltretutto di esercizio di una facoltà discrezionale rimessa alla valutazione del giudice sulla “indispensabilità” dei mezzi istruttori in appello.

3. Con il secondo motivo del ricorso principale il R. deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La ricorrente lamenta in particolare che i Tribunale penale aveva deciso sulla base di documentazione incompleta, non tenendo conto di quella prodotta da esso ricorrente proprio in sede penale e che su tale circostanza, oltre che sugli argomenti difensivi da lui proposti, la corte catanese non aveva speso una parola, riportandosi acriticamente alla motivazione dell’anzidetto tribunale.

Anche l’esposto motivo non merita di essere condiviso, giacchè si presenta del tutto generico e privo della necessaria specificità, non riproducendo e trascrivendo la documentazione di riferimento, per cui non si consente a questo giudice di legittimità il controllo della decisività degli atti richiamati, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione deve essere in grado di compiere tale controllo solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (in questo senso ex plurimis Cass. n. 17904 del 2003; Cass. n. 15751 del 2003; Cass n. 15729 del 2003;

Cass. n. 8388 del 2002; Cass. n. 3356 del 1993).

4. Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato, proposto dalla Banca Popolare di lodi e dal Banco Popolare Soc. Coop contro la statuizione di rigetto della richiesta di estromissione per difetto di legittimazione passiva della allora Banca Popolare Italiana – Banco Popolare di Lodi S.p.A..

4. In conclusione il ricorso principale è destituito di fondamento e va rigettato, con assorbimento di quello incidentale.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo a favore di ciascuno dei controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente principale alle spese, che liquida in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali, nei confronti di ciascuno dei controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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