Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9354 del 28/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9354 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 25165-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014

contro

206

MADONNA

MARIA

LUCIA

C.F.

mdnm1c77b46a1821,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74,
presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI

Data pubblicazione: 28/04/2014

EMILIO, che la rappresenta e difende, giusta delega
in atti;
– controrlcorrente

avverso la sentenza n. 6847/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/10/2007 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto dei primi tre motivi, accoglimento per quanto
di ragione del quarto motivo.

8371/2005;

Udienza del 16 gennaio 2014 — Aula B
n.28 del ruolo — RG n.25165/08
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 23 ottobre 2007), riformando la sentenza
del Tribunale di Benevento del 15 novembre 2004: 1) dichiara priva di effetti l’apposizione del
termine al contratto stipulato tra Poste Italiane s.p.a. e Maria Lucia Madonna nel periodo 3 maggio
1999-31 maggio 1999; 2) conseguentemente, dichiara la sussistenza tra le parti di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, decorrente dal 3 maggio 1999, con condanna della
società datrice di lavoro a riammettere in servizio la lavoratrice e a corrisponderle le retribuzioni
maturate dalla data dell’incontro delle parti in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione fino
alla sentenza di appello.
La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è infondata l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, essendo ininfluente
il lasso temporale trascorso tra la cessazione dello stesso e la proposizione dell’azione giudiziaria;
b) è illegittima l’apposizione del termine al contratto di cui si tratta, avente la causale delle
“esigenze eccezionali”, di cui all’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, in quanto esso è stato
stipulato in epoca successiva al 30 maggio 1998, termine previsto dagli accordi collettivi come
limite temporale per il ricorso ad una tale tipologia contrattuale;
c) i successivi accordi collettivi del 2001 sono irrilevanti ai fini della verifica della legittimità
o meno dell’apposizione del predetto termine, perché una tale valutazione non può che essere
effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto oggetto di causa;
d) la società Poste Italiane va, pertanto, condannata al pagamento delle retribuzioni
(corrispondenti all’inquadramento riconosciuto alla lavoratrice) a decorrere dalla data dell’incontro
delle parti in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione (essendo tale atto propedeutico al
ricorso introduttivo del giudizio e contenendo la relativa richiesta la esplicita manifestazione della
volontà della lavoratrice di porre a disposizione della controparte la propria prestazione lavorativa,
valida agli effetti della messa in mora della datrice di lavoro) fino alla pubblicazione della sentenza
di appello (non potendosi procedere alla liquidazione di danni futuri).
2.— Il ricorso di Poste Italiane s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi;
Maria Lucia Madonna resiste con controricorso, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Preliminarmente va precisato che il presente ricorso è assoggettato ratione temporis alle
prescrizioni di cui all’art. art. 366-bis cod. proc. civ.

I

Sintesi dei motivi di ricorso

1.— Il ricorso è articolato in quattro motivi.

In sintesi, si sostiene che la Corte d’appello sarebbe incorsa nell’errore di respingere
l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro per effetto del mutuo consenso tacito, laddove con
la prolungata inerzia riscontratasi, l’odierna intimata aveva dimostrato di disinteressarsi della
propria vicenda lavorativa, considerate l’unicità del rapporto e la sua breve durata. Tali circostanze,
secondo la ricorrente, avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello a ritenere sussistente, nella
specie, una presunzione di avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso, con conseguente
onere per la lavoratrice di dimostrare il contrario; inoltre, qualora quest’ultima avesse voluto
dimostrare la consapevolezza della datrice di lavoro in ordine alla illegittimità dell’apposizione del
termine al contratto, avrebbe dovuto farsi carico di provare la riconoscibilità dell’errore della
controparte.
1.2.— Col secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione della legge 28
febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994, nonché degli accordi sindacali
del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio
1999 e del 18 gennaio 2001 in connessione con l’art. 1362 cod. civ. e segg. (art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.).
Si contesta la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha attribuito all’accordo
sindacale del 25 settembre 1997 una efficacia temporale limitata al 30 maggio 1998, sostenendosi
che agli accordi e i verbali intervenuti tra le parti in epoca successiva al 25 settembre 1997 e, in
particolare, gli accordi del 18 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998 e del 18 gennaio
2001 non può essere attribuita natura negoziale, ma solo ricognitiva del fenomeno della
ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto e della necessità di stipulare o meno ulteriori
contratti a termine, pertanto essi dovrebbero essere configurati come comportamento successivi
rispetto alla stipulazione dell’accordo collettivo del 25 settembre 1997 (nel quale nessun termine
finale risulta previsto) e ciò avrebbe dovuto portare la Corte partenopea ad escludere che le parti
abbiano inteso fissare un termine finale alla facoltà riconosciuta a Poste Italiane di fare ricorso ai
contratti a tempo determinato.
1.3.— Col terzo motivo è dedotta l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.), per non avere la Corte
d’appello esposto in modo idoneo le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che la volontà delle parti
collettive fosse quella di fissare, alla data ultima del 30 aprile 1998, il termine finale di efficacia
dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, esplicitando il rapporto asseritamente sussistente tra
il contratto collettivo, l’Accordo sindacale del 25 settembre 1997 ed i successivi accordi cosiddetti
2

1.1.— Col primo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 cod.
civ., primo comma, 1175 cod. civ., 1375 cod. civ., 2697 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

attuativi in relazione al supposto limite temporale al quale sarebbero state subordinate le assunzioni
a termine.
1.4.— Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233
cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

A conclusione del motivo è formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte
se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito dell’accertamento
giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha diritto al pagamento delle
retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il
datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui
all’art. 1206 cod. civ., e segg.”.

II Esame delle censure

2.- Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte, conformi all’orientamento
consolidato di questa Corte formatosi nella materia considerata — assurto al rango di “diritto
vivente” — quale espresso in migliaia di decisioni relative proprio a controversie riguardanti
contratti a termine stipulati da Poste Italiane in epoca successiva al 30 maggio 1998, per la causale
delle “esigenze eccezionali”, di cui all’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994 e introdotte, in
questa sede, da ricorsi similari a quello di cui si tratta nel presente giudizio.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
Diversamente da quel che sostiene la ricorrente, la Corte d’appello ha, con congrua e logica
motivazione, escluso in modo espresso e univoco che dalle allegazioni e dalle prove offerte
potessero rilevarsi circostanze atte a manifestare un completo disinteresse della lavoratrice alla
attuazione del rapporto in guisa tale da poterlo considerare risolto.
Il Giudice d’appello ha, infatti, evidenziato che l’inerzia si era protratta per un periodo di
tempo tale da non consentire di ritenere che ciò equivalesse alla volontà della lavoratrice di
rinunciare all’azione di nullità del termine ed al conseguente ripristino del rapporto di lavoro, sia
perché occorreva tener presente la imprescrittibilità dell’azione di nullità, sia perché era indubitabile
l’esistenza di una situazione di incertezza che coinvolgeva moltissimi lavoratori assunti a termine
da Poste Italiane, con pronunce contrastanti dei giudici di merito.
È, inoltre, il caso di ricordare che l’indirizzo consolidato di questa Corte (Cass. 8 febbraio
2012, n. 1842; Cass. 11 marzo 2011, n. 5887; Cass. 15 novembre 2010, n. 23057; Cass. 10
novembre 2008, n. 26935; Cass. 24 giugno 2008, n. 17150; Cass. 28 settembre 2007, n. 20390;
Cass. 17 dicembre 2004, n. 23554; Cass. 11 dicembre 2002, n. 17674) è nel senso che la mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine non è di per sé sufficiente a
3

Si sostiene che nella sentenza impugnata sarebbe ravvisabile la violazione dei principi e delle
norme sia sulla messa in mora sia sulla corrispettività delle prestazioni, laddove la società è stata
condannata a pagare le retribuzioni alla lavoratrice dalla data di notifica del ricorso di primo grado,
invece che dal momento di effettiva ripresa del servizio.

dimostrare la sussistenza di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, perché
possa configurarsi una tale ipotesi, è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto
dalla parti e di eventuali ulteriori circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

D’altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al
contrasto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita
l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per
contrasto con nome imperative ex artt. 1418 e 1419, secondo comma, cod. civ. Essa, pertanto, ai
sensi dell’art. 1422 cod. civ., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che
discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità
del termine apposto.
Pertanto, il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta
azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera
inequivocabile la volontà della parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla
conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in
senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per
tacito mutuo consenso (vedi, fra le tante, Cass. 15 dicembre 1997, n. 12665; Cass. 25 marzo 1993,
n. 824 e, più di recente: Cass. 15 novembre 2010, n. 23057).
Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo
predeterminati — e l’azione di nullità addirittura senza limiti temporali — sarebbe contraddittorio
ritenere che il tempo potesse produrre, di per sé solo, anche l’opposto effetto dell’estinzione del
diritto ovvero di una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente
finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o lo stesso
fondamento della disciplina della prescrizione estintiva, la cui maturazione verrebbe contra legem
anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti.
Per tali ragioni, al fine della configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso,
manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, è necessario che il
decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro
caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere
complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa della parti di volere,
d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (vedi anche Cass., 2
dicembre 2000, n. 15403; Cass. 20 aprile 1998, n. 4003).
È, in ogni caso, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo
consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (vedi Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279; 12
4

Ne consegue che la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di
fatto compete al giudice del merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non la relativa motivazione sul punto è immune da vizi logici o errori di diritto, come accade nella
specie.

luglio 2010, n. 16303; Cass. 6 luglio 2007, n. 15624), non potendo ritenersi, quindi, sufficiente la
sola allegazione delle stesse.
La Corte partenopea si è attenuta a tali principi e questo porta al rigetto del primo motivo.
2.2.- Anche il secondo e il terzo motivo non sono da accogliere.

Va in primo luogo, sottolineato che la Corte del merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo
decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per “esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, ed in
ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi
ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 in data successiva al 30 aprile 1998, vale a dire, per il periodo 3 maggio 1999-31 maggio 1999. Tale
considerazione — in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con
riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001) — è
sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al
contratto de quo.
Al riguardo, sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU 2 marzo
2006, n. 4588), è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del
1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti
dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle
parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde,
pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze
aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato” (vedi: Cass. 4-8-2008 n. 21063, Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 73-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a
favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati
alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo
operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da
questa delineato.” (vedi, fra le altre: Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle
parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina
la nullità della clausola di apposizione del termine (vedi, fra le altre: Cass. 23-8-2006 n. 18383,
Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
5

Tali motivi possono essere trattati congiuntamente in considerazione della identità della
questione affrontata, seppur sotto diversi aspetti, vale a dire quella dell’esistenza o meno di un
limite temporale di efficacia per il ricorso al sistema di assunzione a termine riconducibile alla
causale oggetto di causa di cui al richiamato contratto collettivo.

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la
interpretazione di norme collettive (vedi Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va,
quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo, risultando
superfluo l’esame di ogni altra censura ai riguardo.
2.3.- Il quarto motivo è inammissibile perché il quesito di diritto che ne illustra le censure
risulta formulato in modo del tutto generico e privo di collegamento con la fattispecie sub judice, in
quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il
momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal
senso vedi, fra le altre: Cass. 4/1/2011 n. 80 e Cass. 29/4/2011 n. 9583).
Il quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (vedi, ad esempio: Cass. SU
5/1/2007 n. 36), dovendosi, pertanto, ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente.
In particolare deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento
impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto
applicare in sostituzione del primo e la “mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni
rende il ricorso inammissibile.” (vedi: Cass. 30-9-2008, n. 24339). Del resto, è stato anche precisato
che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve
sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire
l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (vedi:
Cass. SU 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua
lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (vedi:
Cass. 7-4-2009 n. 8463).
Peraltro, neppure può ignorarsi che nella fattispecie l’illustrazione del motivo risulta del tutto
generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una
verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente indichi se e in che modo il
punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) sia stato oggetto di specifico motivo di
appello da parte della società (vedi: Cass. 15/2/2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336). Del pari,
6

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui
ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di
attua7ione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n.
20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.).

per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale manca del tutto il quesito) alcunché
di specifico viene poi indicato dalla ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una
rituale acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente proveniente dal datore
di lavoro — in quanto oggetto di eccezione in senso lato — vedi: Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 206-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. SU 3-2-1998 n. 1099).

3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza e sono da distrarre in favore
dell’avv. Gianni Emilio Iacobelli dicharatosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di
cassazione, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre
accessori come per legge, da distrarre in favore dell’avv. Gianni Emilio Iacobelli dicharatosi
antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 gennaio 2014.

III — Conclusioni

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