Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9352 del 28/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 9352 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 25147-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
204

contro

MAIELLARO MARCELLO C.F. MLLMCL74L04E716C, domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 28/04/2014

dall’avvocato DE MICHELE VINCENZO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1541/2007 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 30/10/2007 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato DE MICHELE VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2132/2006;

Udienza del 16 gennaio 2014 — Aula B
n.26 del ruolo — RG n.25147/08
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 30 ottobre 2007) respinge l’appello di
Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 26 aprile 2006, che in
accoglimento della domanda di Marcello Maiellaro, ha dichiarato l’illegittimità dell’apposizione del
termine al contratto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo 1° ottobre 2002-31 dicembre 2002,
stipulato per “sostenere il livello di servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi
di mobilità, tuttora in fase di completamento, di cui agli accordi del 16, 17 e 23 ottobre 2001, 11
dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio, 17 aprile, 30 luglio e 18 settembre 2002 che prevedono, al
riguardo il riposizionamento su tutto il territorio degli organici della società”, con conversione del
rapporto di lavoro in un rapporto a tempo indeterminato e condanna della società al pagamento
delle retribuzioni non percepite.
La Corte d’appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è pacifico che al rapporto in oggetto, sorto nell’ottobre 2002, si applica la disciplina entrata
in vigore nel 2001 e abrogativa dell’intera normativa previgente;
b) tale nuova disciplina, contenuta nel d.lgs. n. 368 del 2001 ha superato la precedente
tipizzazione ed ha introdotto una clausola generale, secondo cui “è consentita l’apposizione di un
termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”
(art. 1, comma 1);
c) benché non ne risulti, probabilmente, ampliata l’area di applicabilità del contratto a
termine, ciò non esclude che, sia pure con una tecnica diversa, il ricorso alle assunzioni a termine è
comunque rimasto una eccezione rispetto alla regola dell’assunzione a tempo indeterminato;
d) se ne trae conferma dal testo del suindicato d.lgs. n. 368, letto alla luce della legge-delega
n. 422 del 2000 e alla normativa comunitaria che ne è alla base;
e) ne consegue che il datore di lavoro che voglia assumere a termine può farlo solo in
presenza delle “ragioni” indicate nel suddetto art. 1, comma 1, che devono essere di carattere
oggettivo e come tali dimostrabili e verificabili;
O tali ragioni devono essere precisate nell’atto scritto di assunzione e l’onere della prova della
relativa esistenza grava sul datore di lavoro, il quale in caso di contestazione deve dimostrare anche
il collegamento tra le ragioni indicate e l’assunzione del singolo lavoratore;
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

,

g) nel caso di specie la società non ha assolto l’onere probatorio di dimostrare l’effettiva
ricorrenza della causale indicata nel contratto e la relativa sussistenza nella sede di destinazione del
lavoratore;

i) va, infine, respinta anche l’ulteriore eccezione della società secondo cui il diritto alla
retribuzione può sorgere soltanto quando il lavoratore offra espressamente di riprendere l’attività
lavorativa e dia prova di tale offerta in giudizio;
I) il giudice di primo grado, infatti, ha posto a carico di Poste Italiane l’obbligo di
corrispondere le retribuzioni a decorrere dalla data di notifica della richiesta di espletamento del
tentativo di conciliazione, nella quale il Maiellaro aveva specificato che intendeva chiedere il
ripristino del lavoro, ponendo così, implicitamente, le proprie energie lavorative a disposizione
della società.
2.— Il ricorso di Poste Italiane s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per sei motivi;
resiste, con controricorso, Marcello Maiellaro.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Il ricorso è articolato in sei motivi.
1.1.— Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 1 e 2, e dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 368 del
2001, dell’art. 12 delle preleggi , degli artt. 1362 e ss. cod. civ., nonché dell’art. 1325 e ss. cod. civ.
La società ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del mutato quadro
normativo di riferimento secondo cui non è necessario che la “specificazione” della causale della
stipulazione del contratto a termine sia effettuata nel contratto individuale, essendo sufficiente che
essa sia desumibile per relationem dal contenuto scritto di altri documenti preesistenti, opponibili
alle parti del contratto individuale in base alla contrattazione collettiva richiamata nella causale del
contratto individuale. Il che varrebbe anche nell’ipotesi di pluralità di ragioni che determinino il
ricorso al lavoro a termine, se tra loro non incompatibili.
1.2.— Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa
e insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si sostiene
che la Corte barese non abbia motivato in merito alla ritenuta inidoneità della compresenza, nel
contratto individuale, di più ragioni, fra loro non incompatibili, a costituire elemento di sufficiente
specificazione delle esigenze sottese all’assunzione a termini. In particolare ci si duole della
2

h) quanto alle conseguenze di tale statuizione, non può essere accolta la tesi sostenuta da
Poste Italiane, in via subordinata, secondo cui la nullità della clausola appositiva del termine
dovrebbe comportare la nullità dell’intero contratto e quindi non sarebbe possibile disporre la
conversione del contratto da contratto tempo determinato a contratto tempo indeterminato, in
quanto tale assunto è contrario all’espresso disposto dell’art. 1, comma, 2, delò d.lgs. n. 368 del
2001;

1.3.— Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001, dell’art. 2697 cod. civ., degli
artt. 115, 116, 244, 253, 421, secondo comma, cod. proc. civ. Si sostiene che la Corte territoriale
avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova, non tenendo conto del mutato quadro normativo
di riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere
probatorio circa le ragioni che indussero le parti alla stipula di una contratto a termine, essendo ciò
limitato esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga del contratto.
1.4.— Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
denuncia: “omessa e insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il
giudizi”o. Si sostiene che la Corte territoriale non abbia spiegato le ragioni per le quali non ha
ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta della prova orale formulata dalla società (in
particolare con riferimento al capitolo di prova n.11).
1.5.— Con il quinto motivo si denuncia — in via subordinata rispetto alle censure svolte nel
precedente motivo e in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. — violazione e falsa applicazione
dell’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 1362 cod. civ. e ss. nonché
dell’art. 1419 cod. civ. Ad avviso della società ricorrente la Corte di merito, una volta accertata la
nullità dell’apposizione del termine non avrebbe potuto — né dovuto — disporre la conversione del
contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, Tale conversione, infatti, non sarebbe
prevista dal d.lgs. n. 368 del 2001 per l’ipotesi della insussistenza delle esigenze poste a
fondamento dell’apposizione del termine, del primo contratto, ma unicamente per le ipotesi di cui
all’art. 5, commi da 2 a 4, del d.lgs. n. 368 cit. Comunque, una volta disposta la conversione anche
nel caso di ritenuta illegittimità dell’apposizione del termine al primo contratto, la Corte barese
avrebbe dovuto estendere la dichiarazione di nullità all’intero contratto, risultando che le parti
avevano attribuito — con dichiarazione espressa inserita nel contratto stesso — alla clausola sul
termine di durata del contratto carattere di essenzialità.
1.6.— Con il sesto motivo — a proposito delle conseguenze economiche dell’illegittimità del
termine — si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 cod. civ.
In via subordinata rispetto ai precedenti motivi si sostiene che nella sentenza impugnata è
ravvisabile la violazione dei principi e delle norme sia sulla messa in mora sia sulla corrispettività
delle prestazioni, laddove la società è stata condannata a pagare le retribuzioni alla lavoratrice dalla
data della messa in mora (notifica della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione),
invece che dal momento di effettiva ripresa dell’attività lavorativa.

A conclusione del motivo sono formulati i seguenti quesiti di diritto, con i quali si chiede a
questa Corte di stabilire se:
3

mancata spiegazione della ragione che ha indotto la Corte territoriale ad escludere che potesse
costituire valido elemento di specificazione delle esigenze poste a fondamento della stipulazione del
contratto a termine il riferimento contenuto nel contratto individuale agli accordi sindacali
sottoscritti tra le parti per la disciplina degli attuandi e futuri processi di mobilità del personale.

2) “in ipotesi di accertamento della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e
di riconoscimento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate, in applicazione delle previsioni
di cui all’art. 1218 e ss. cod. civ. e degli artt. 2043 e ss. cod. civ., devono detrarsi i ricavi percepiti o
percepibili facendo uso della ordinaria diligenza (rientrando detti ultimi tra le ipotesi di danno
riconducibile a fatto e colpa del soggetto che si assume danneggiato) dal lavoratore (sul quale grava
conseguentemente l’onere di provare di aver posto in essere ogni attività utile ad eliminare o
limitare il danno) che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione
lavorativa”.

Esame delle censure

2.— Il ricorso è da respingere, per le ragioni di seguito esposte., conformi a quanto già
affermato da questa Corte — e condiviso dal Collegio — in una controversia analoga alla presente,
relativa ad un similare ricorso di Poste Italiane avverso una sentenza della Corte d’appello di Bari
(Cass. 20 marzo 2013, n. 6974).
2.1.— Le censure di cui ai primi due motivi del ricorso — da esaminare insieme, data la loro
intima connessione — non sono pertinenti al decisum della Corte territoriale, fondato su una corretta
lettura del contenuto degli accordi cui rinviava, per relationem, il contratto stipulato tra le parti.
2.1.1,- Deve premettersi che il d.lgs. n. 368 del 2001 (adottato in ottemperanza alla delega
contenuta nella legge comunitaria n. 422 del 2000), ha armonizzato nell’ordinamento nazionale la
direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso
dall’UNICE e dal CEEP e CES e costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di
lavoro a tempo determinato, in sostituzione della legge n. 230 del 1962 e della successiva
legislazione integrativa.
Nel preambolo della citata direttiva 1999/70 — dopo la premessa secondo cui con la
risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i
livelli “a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili
di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario
equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza” — si evidenziava che “l’accordo quadro in questione
stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a
tempo determinato garantendo, l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di
creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti
o di rapporti di lavoro a tempo determinato”. Per tale ragione, si precisava che “accogliendo la
richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio, a
4

1) “per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha diritto al
pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia
costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto
della disciplina di cui all’art. 1206 cod. civ., e segg., situazione la quale non è concretata dalla
domanda di declaratoria di nullità del termine apposto al contratto e di reintegrazione nel posto di
lavoro, articolata in seno al ricorso introduttivo del giudizio”;

norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel Trattato istitutivo della
Comunità europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di
conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di
garantire i risultati prescritti” (art. 2).

Il successivo art. 11, comma 1, del citato d.lgs. n. 368 ha poi disposto l’abrogazione, dalla
data di entrata in vigore del decreto stesso, della legge n. 230 del 1962, della legge n. 79 del 1983,
art. 8 della legge n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili.
Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido
previsto dalla legge n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti,
sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla legge n. 79
del 1983 e alla legge n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per
clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale
criterio di razionalizzazione, costituito l’obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di
specificare, in esso, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.
L’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una delimitazione della
facoltà, riconosciuta al datore di lavoro, di far ricorso al contratta di lavoro a tempo determinato per
soddisfare esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a
prescindere da fattispecie predeterminate, con l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato
dell’istituto, imponendo riconoscibilità e verificabilità della motivazione addotta fin dal momento
della stipula del contratto.
Proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di
specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento a
realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione
risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere
valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.
2.1.2.- La consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte Cass. 1 febbraio 2010, n.
2279; id. 27 aprile 2010, n. 10033; id. 12 luglio 2010, n. 16303; id. 25 maggio 2012, n. 8286),
privilegiando la scelta del legislatore europeo di ampliare la considerazione delle fattispecie
legittimanti l’apposizione del termine, ha concesso tuttavia un’importante apertura, ritenendo
possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti dall’atto scritto non solo per
indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro
5

Il d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo originario vigente all’epoca del contratto ora in questione,
all’art. 1, comma 1, prevede che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto
di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”
e, al con-una 2, che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o
indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma l”.

testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse
tematiche operative.

Da tali accordi, costituenti un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze
organizzative, secondo la ricorrente si desumerebbe la causale sufficientemente specifica di
apposizione del termine.
2.1.3.- Il Giudice del merito, con valutazione correttamente motivata e priva di vizi logicogiuridici, ha invece escluso la sussistenza di tali presupposti, sulla base dell’esame di ogni
elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente
indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi i predetti accordi collettivi
effettuando altresì, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (vedi le citate sentenze 2279
del 2010 e n. 6974 del 2013) l’analisi delle pattuizioni collettive richiamate per relationem.
In particolare, la Corte di appello, ha ritenuto che la società non ha assolto l’onere probatorio
a suoi carico in quanto si è limitata a dimostrare l’esistenza in generale di un processo di mobilità
interna riguardante gli addetti al recapito (cioè i portalettere) e la sua persistenza per tutto l’anno
2002 (quindi anche al momento della assunzione del lavoratore), ma ha fornito una prova solo
generica dell’incidenza di tale situazione anche sull’ufficio in cui il Maiellaro ha lavorato e sulla
misura di tale incidenza né ha indicato quale sia stato il monte di ore di lavoro dei portalettere
venuto meno in quell’ufficio a causa della mobilità, tale da giustificare l’assunzione a termine, in
alternativa ad una richiesta di lavoro straordinario ai portalettere in servizio.
Ne consegue che la decisione sul punto piuttosto che basarsi sul preteso omesso riferimento
alle ragioni comprovate dagli accordi richiamati nella lettera di assunzione — contestato nei primi
due motivi — si basa sull’indicata autonoma ratio decidendi — della mancata prova, in sede
giudiziale, della ragione dell’apposizione del termine — che è giuridicamente e logicamente
sufficiente a giustificare la decisione adottata e che non ha formato oggetto di censura da parte della
società.
Ciò rende inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso.
2.2.— Il terzo motivo non è fondato.
Infatti, sul punto della ripartizione dell’onere probatorio, la Corte barese, con congrua
motivazione, si è attenuta al principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte
secondo cui l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva
del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo
stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n.
22716).
6

È quanto nella sostanza la ricorrente sostiene essere avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto
scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale,
puntualizza le “esigenze tecniche, organizzative e produttive” attraverso il richiamo alla “attuazione
delle previsioni di cui agli accordi 16, 17 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio,
17 aprile, 30 luglio, 8 settembre 2002”.

••

Nella specie la ricorrente contesta invece una valutazione “di genericità” di un capitolo della
prova testimoniale richiesta, valutazione che nella sentenza risulta giustificata da congrua e logica
motivazione, sicché la contestazione finisce con il risolversi nella inammissibile prospettazione di
un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.
2.4.— Il quinto motivo di ricorso non è fondato.
Come è stato affermato da questa Corte (vedi: Cass. 21 maggio 2008, n. 12985 e successive
conformi), il d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla legge
n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro
subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi
derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante
l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una
norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in
materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché
alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva
comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili
sanzionatori del rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del
2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue
l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (principio applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine).
La Corte territoriale si è uniformata a tale principio, con esauriente motivazione.
2.5.- Il sesto motivo è inammissibile.
Come già affermato numerose volte da questa Corte in relazione ad analoghi ricorsi di Poste
Italiane, contenenti la medesima censura, corredata da identici quesiti di diritto, tali quesiti risultano
del tutto astratti e privi di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, in quanto si risolvono
soltanto nella mera enunciazione astratta del principio invocato dalla ricorrente, senza enucleare il
momento e le ragioni di conflitto rispetto ad esso del concreto accertamento operato dai giudici di
merito (vedi, sui medesimi quesiti, tra le tante: Cass. 7 aprile 2011, n. 7955; Cass. 10 settembre
• 2011, n. 17975: Cass. 2 gennaio 2013, n. 5).

7

2.3.- Il quarto motivo è inammissibile perché è jus receptum che il difetto di motivazione su
un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze
probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità — peraltro, nel rispetto del principio di
specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito, da ultimo da Cass. SU 3 novembre
2011, n. 22726 — deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova o del contenuto del
documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di
legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse
(arg. ex Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486).

Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito
la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo,
per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento
alla concreta fattispecie” (vedi Cass. S.U. 30 ottobre 2008, n. 26020), dovendo in sostanza il quesito
integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata
con il relativo motivo (vedi Cass. 7 aprile 2009, n. 8463). Mancando tali elementi il quesito in
esame deve ritenersi inidoneo ed il relativo motivo inammissibile.
3.— Il tipo di censure formulate e l’esito del presente giudizio escludono la rilevanza di
qualsiasi questione derivante dall’applicazione dello jus superveniens, rappresentato dalla legge 4
novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010 (vedi, per tutte:
Cass. 4 gennaio 2011, n. 80 e Cass. 8 maggio 2006 n. 10547).

III — Conclusioni
4.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 gennaio 2014.

Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve
essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (vedi ad es. Cass. S.U. 5 gennaio
2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. In
particolare “deve comprendere l’indicazione sia della regola juris adottata nel provvedimento
impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto
applicare in sostituzione del primo” e “la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni
rende il ricorso inammissibile” (vedi: Cass. 30 settembre 2008 n. 24339; Cass. 20 giugno 2008, n.
16941).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA