Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9351 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2011, (ud. 18/03/2011, dep. 26/04/2011), n.9351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTIERI Federico – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GIORNALE DI SICILIA EDITORIALE POLIGRAFICA S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36/A, presso lo studio dell’avvocato PISANI

FABIO, rappresentato e difeso dall’avvocato EQUIZZI AGOSTINO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.E.;

– intimato –

e sul ricorso n. 14558 del 2008 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35,

presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati COSTANTINI CLAUDIA, D’AMATI

NICOLETTA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

GIORNALE DI SICILIA EDITORIALE POLIGRAFICA S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36/A, presso lo studio dell’avvocato PISANI

FABIO, rappresentato e difeso dall’avvocato EQUIZZI AGOSTINO, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 18/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/04/2007 R.G.N. 2034/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato PISANI FABIO per delega EQUIZZI AGOSTINO;

udito l’Avvocato D’AMATI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 12 aprile 2007, la Corte d’Appello di Palermo respingeva parzialmente il gravame svolto dalla s.p.a. Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica contro la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto la domanda proposta da B.E. e ritenuto: a) legittimo il trasferimento del ricorrente presso la redazione di Palermo, in quanto determinato dall’accertata chiusura della redazione di Messina, conseguentemente respingendo la connessa domanda risarcitoria; b) inferiori le mansioni svolte presso la nuova sede di lavoro rispetto a quelle in precedenza disimpegnate, con condanna, in conseguenza dell’accertata dequalificazione, all’assegnazione a mansioni di capo servizio o equivalenti e al risarcimento del danno liquidato equitativamente; c) legittimo il rifiuto opposto dal lavoratore di rendere la prestazione dequalificante, con condanna della societa’ alla corresponsione del risarcimento del danno.

2. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva:

incontestato che B. possedesse la qualifica di capo servizio e provato, all’esito dell’istruttoria testimoniale, che avesse svolto, presso la redazione di Messina, le mansioni descritte nella declaratoria contrattuale;

– dequalificanti le mansioni svolte presso la sede di Palermo in quanto non rientranti nel contenuto delle attivita’ descritte nella declaratoria contrattuale per la qualifica di capo servizio e comunque non equivalenti a quelle svolte fino alla data del trasferimento, in relazione alla competenza richiesta, al prestigio e al livello professionale raggiunto e all’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore;

– quanto alla dedotta dequalificazione, ritenuta dal primo Giudice automaticamente produttiva di danno personale e professionale risarcibile, non provato il danno risarcibile per non aver il lavoratore assolto gli oneri di allegazione e probatori, e non configurabile un danno patrimoniale per perdita della retribuzione della maggiorazione per lavoro festivo, rimanendo assorbita la censura in ordine ai criteri di determinazione del danno adottati dal primo Giudice;

– legittimo il comportamento del lavoratore, ex art. 1460 c.c. a fronte dell’accertata illegittimita’ dello ius variandi, ma non provato, ne chiesto di provare, che le dedotte ragioni del rifiuto di rendere la prestazione risiedessero nella scelta di B. di dedicarsi all’amministrazione della societa’ di cui era amministratore unico, attivita’ peraltro gia’ svolta anche nel periodo di impiego presso la redazione di Messina, onde la fondatezza del diritto di B. al risarcimento del danno pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal marzo 1999 (allorche’ opponeva alla societa’ il rifiuto di rendere la prestazione dequalificante);

– indiscutibile la plausibilita’ delle scelte organizzative aziendali da cui era derivato il trasferimento del lavoratore (per la chiusura della sede di (OMISSIS)), confermata nell’istruttoria testimoniale;

ininfluenti le ragioni della scelta organizzativa datoriale e relativa opportunita’, sottratte a sindacato giudiziale;

determinante l’accettazione del trasferimento, manifestata da B. con nota 17/2/1996, con la quale dichiarava di sottoscrivere tutte le clausole dell’accordo sindacale con il quale le parti sociali avevano preso atto che la redazione decentrata di (OMISSIS) sarebbe stata trasferita entro il 1/3/1996 e i giornalisti professionisti sarebbero stati trasferiti, in pari data, presso la redazione centrale di (OMISSIS).

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la s.p.a.

Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’intimato ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale fondato su due motivi. L’intimata ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Preliminarmente, il Collegio dispone la riunione dei ricorsi perche’ proposti avverso la medesima sentenza.

5. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 11751375, 2086, 2104 c.c. in relazione all’art. 41 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3). Si censura la sentenza della Corte territoriale per aver disatteso la giurisprudenza di legittimita’ secondo cui l’eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita puo’ consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, essendo egli tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost. e puo’ legittimamente invocare l’art. 1460 c.c., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte.

Conseguentemente, costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza.

L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione di due quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire se il comportamento di B. concretatosi nella decisione comunicata alla societa’ di astenersi con effetto immediato dalla prestazione lavorativa e di fatto attuata con l’abbandono del lavoro possa considerarsi in buona fede o sia invece contrastante con i principi generali di correttezza e lealta’; e se il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa con contestuale abbandono del lavoro sia legittimo e conforme a buona fede in presenza del comportamento della societa’ che provvedeva al pagamento della retribuzione con qualifica di capo servizio allo stesso, in obbedienza al principio sinallagmatico del contratto.

6. Il motivo e’ fondato. Come gia’ affermato da questa Corte, “nel rapporto di lavoro subordinato non e’ legittimo il rifiuto, opposto dal lavoratore, di eseguire la prestazione a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro offra l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal contratto (retribuzione, contribuzione previdenziale, ecc), essendo giustificato il rifiuto di adempiere ex art. 1460 c.c. solo se l’altra parte sia totalmente inadempiente (Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832, 23 dicembre 2003, n. 19689)”. Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse, opera il principio di fedelta’ della Corte ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge affidata alla Corte di cassazione.

7. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e omessa, insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), per aver la Corte territoriale ritenuto non assolto dalla societa’ l’onere di provare le vere ragioni del rifiuto di B. di rendere la prestazione.

L’illustrazione del motivo non si conclude ne’ con il quesito di diritto ne’ con il momento di sintesi che indichi chiaramente il fatto controverso.

8. Le censure sono inammissibili per la mancata formulazione del quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010). Peraltro, anche per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007). Il ricorso e’, nella specie, totalmente privo anche di tale indicazione, onde deve dichiararsi l’inammissibilita’ del motivo.

9. Con il primo motivo del ricorso incidentale B. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 115, 434 c.p.c. e artt. 2103, 1218, 1223, 2697, 2727 – 2729 c.c.; difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5). Si censura la sentenza impugnata per non aver accolto la domanda di risarcimento del danno professionale da demansionamento, lamentando che, non impugnata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto provata, per presunzioni, l’esistenza del danno, l’appello avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, anche ex art. 100 c.p.c., essendo sufficiente l’accertamento del danno, in via presuntiva, a sorreggere la decisione di primo grado; ed inoltre, per aver la Corte di merito omesso l’esame degli atti processuali ed aver interpretato la domanda come diretta ad ottenere il risarcimento del danno in se’ da dequalificazione.

10. Inoltre, per il ricorrente incidentale, la Corte di merito avrebbe quantomeno dovuto prendere in esame gli elementi di presunzione valorizzati dal Tribunale ai fini dell’accertamento del danno professionale e pronunziarsi sulla loro validita’ probatoria.

L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione di due quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire se il giudice di appello possa prendere in esame una domanda formulata nel giudizio di primo grado e rigettarla senza valutare la motivazione della pronuncia di accoglimento su di essa emessa dal giudice di primo grado, non censurata per ultrapetizione; e se costituiscano idonei elementi di presunzione, ai fini dell’accertamento del danno da dequalificazione lamentato da un giornalista, la durata del demansionamento patito, la peculiarita’ delle mansioni giornalistiche caratterizzate da una costante esigenza di esercizio ed affinamento, l’eta’ lavorativamente avanzata del lavoratore, la necessita’ di mantenere il contatto con le fonti informative.

11. Osserva il Collegio che ai fini della validita’ dell’appello non e’ sufficiente che l’atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma e’ altresi’ necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificita’, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificita’ dei motivi non puo’ essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (Cass. 4068/2009).

12. Nella specie, ai Giudici del gravame e’ stato devoluto dall’appellante il capo della sentenza relativo al danno in re ipsa in ipotesi di demansionamento, censurando la statuizione del primo Giudice per aver fatto conseguire dalla possibilita’ di ricorrere alla valutazione equitativa del danno, la prova del danno anche in assenza di elementi idonei a dimostrarne l’esistenza, cosi’ confondendo il profilo attinente al quantum con il profilo concernente l’an. Muovendo, pertanto, da tale censura, i Giudici del gravame hanno correttamente esaminato la questione degli oneri probatori e di allegazione del danno da demansionamento, non incorrendo in alcun vizio di ultrapetizione.

13. Con il secondo motivo del ricorso incidentale B. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2727 – 2729 c.c., art. 115 c.p.c.; difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 5). Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di risarcimento del danno per essere stato privato, a seguito del demansionamento, della possibilita’ di lavorare di domenica e di percepire i relativi compensi, omettendo di valutare che se le mansioni di capo servizio non gli fossero state sottratte egli avrebbe avuto l’occasione di lavorare di domenica e di percepire le relative maggiorazioni.

14. Assume il ricorrente incidentale di aver dedotto, nell’atto introduttivo del giudizio, il mancato guadagno per la mancata prestazione domenicale, quantificato tale importo per tre domeniche per 27 mesi senza che la societa’ editrice nella memoria difensiva muovesse alcuna contestazione, onde la Corte di merito avrebbe dovuto valutare gli elementi presuntivi offerti e non contestati (la prestazione domenicale normalmente svolta come capo servizio e svolta, nel periodo successivo, da tutti i capi servizio) e motivare in ordine alla loro idoneita’ a comprovare la perdita di un’occasione di guadagno in termini probabilistici. L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione di un quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se, ai fini del risarcimento del danno il mancato guadagno debba essere accertato in termini probabilistici, utilizzando la prova presuntiva.

15. Il motivo non merita accoglimento. Con decisione immune da censure la Corte di merito ha ritenuto non configurabile un danno patrimoniale per perdita della retribuzione della maggiorazione per lavoro festivo, sulla base del rilievo secondo cui il datore di lavoro e’ tenuto ad assicurare la normale retribuzione ma non anche modalita’ di espletamento della prestazione da cui derivino maggiorazioni retributive in favore del dipendente.

16. Ne consegue la cassazione della decisione impugnata limitatamente al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, dichiara illegittimo il rifiuto di B.E. di rendere la prestazione; rigetta, per il resto, il ricorso principale e l’incidentale. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta, per il resto, il ricorso principale e l’incidentale. Cassa, in relazione al motivo accolto, la decisine impugnata e, decidendo nel merito, dichiara illegittimo il rifiuto di B.E. di rendere la prestazione e, di conseguenza, rigetta la sua domanda di risarcimento del danno pari alle retribuzioni non corrispostegli dal marzo 1999.

Condanna il convenuto al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2062,00, di cui Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, il 18 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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