Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9350 del 07/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 07/04/2021), n.9350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7928-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato MARIO SCIALLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO BERTOLINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1875/12/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA del 4/9/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI

MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

che C.A. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Grosseto. Quest’ultima, a sua volta, aveva respinto l’impugnazione del contribuente avverso un avviso di accertamento IRPEF, IVA e IRAP per l’anno 2007.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria;

che, con il primo, il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, giacchè la CTR avrebbe omesso di esplicitare il procedimento logico in forza del quale aveva respinto il gravame ed, in particolare, la doglianza volta a segnalare l’impossibilità di utilizzare anche nei confronti dei soci indagini finanziarie, richieste ed autorizzate con riguardo ad una società; che, mediante il secondo, il C. lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: non sarebbe stata giustificabile, perchè in contrasto con l’art. 6 CEDU, la prova analitica per ogni versamento bancario; che, attraverso l’ultimo, il ricorrente assume la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione art. 111 Cost., comma 6, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: la sentenza impugnata sarebbe stata priva dell’esposizione dei motivi di fatto e diritto, idonea a manifestare il procedimento logico seguito dalla CTR;

che l’intimata si è costituita con controricorso;

che il primo ed il terzo motivo – che possono essere scrutinati congiuntamente, per la loro stretta connessione logica – sono infondati;

che il sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Sez. 6-3, n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017);

che, in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Sez. 6-5, n. 920 del 20/01/2015);

che, nella specie, la sentenza impugnata da esatta contezza dello svolgimento della vicenda e dell’iter logico seguito per la decisione assunta;

che il secondo motivo è infondato;

che, in linea generale ed in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Sez. 5, n. 29572 del 16/11/2018);

che, in particolare, in tema di accertamento del reddito d’impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente (Sez. 5, n. 7758 del 20/03/2019; Sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016);

che sono stati all’uopo abbondantemente chiariti (Sez. 5, n. 8995 del 18/4/2014) i confini della prova contraria a carico del contribuente, specificandosi che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che, in sostanza, la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), nonchè la prova della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati;

che, nella specie la CTR ha chiarito come il contribuente si sia limitato a deduzioni del tutto generiche, “senza in alcun modo neppure asserire la provenienza delle somme versate”;

che la sentenza impugnata ha dunque pienamente applicato i predetti principi;

che il ricorso va pertanto respinto;

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 dei 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 dei 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2021

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