Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9349 del 28/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9349 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 24160-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

195

DELL’ARCIPRETE

PATRIZIA

C.F.

DLLPRZ67M59E243A,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,
presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la

Data pubblicazione: 28/04/2014

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 280/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 03/10/2007 R.G.N. 7000/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BRONZINI;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per:
rigetto per i primi quattro motivi, accoglimento del
quinto motivo per quanto di ragione.

udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3.10.2007 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di
primo grado, dichiarava che tra Poste italiane spa e Dell’Arciprete Patrizia era intercorso
un rapporto a tempo indeterminato dal 20.10.1998 in relazione al contratto a termine
. stipulato per esigenze eccezionali conseguenti a processi di ristrutturazione ex art. 8 del
.. c.c.n.l. del 1994 dal 20.10.1998 al 30.1.1999 al 30.11.1999 e che la stessa aveva

30.4.1998, in assenza di disposizione derogatoria stabilita dalla contrattazione collettiva
ex art. 23 I. 56/87.; condannava la società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni
maturate dalla data del 23.12.2002 con la quale era stata offerta la prestazione.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società Poste Italiane, con cinque motivi.
Resiste em=contrecricerso=la Dell’Arciprete Loredana con controricorso corredato da
memoria ex art. 378 c.p.c. . Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della
presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente Poste spa deduce la violazione e la falsa
applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1372, I comma, 1175, 1375 2697
1427 e 1431 c. c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., assumendo l’erroneità della decisione in
ordine all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
Con il secondo motivo si deduce l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza di
elementi comprovanti l’avvenuta risoluzione consensuale del rapporto.
Con il terzo motivo si duole della violazione e della falsa applicazione dell’art. 23 I.
56/87, dell’art. 8 c.c.n.I del 1994, nonché degli accordi sindacali del 25.9.1997, del
16.1.1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998 del 18.1.2001, in connessione con gli artt.
1362 c. c. e ss., sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., assumendo l’ efficacia non
negoziale, ma ricognitiva, degli accordi successivi e l’inesistenza di un diritto quesito dei
lavoratori.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria
– motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 c.p.c.,
1

pertanto diritto ad essere riammessa in servizio essendo stato il contratto stipulato dopo il

osservando che gli accordi attuativi richiamati si riferiscono ad una sola delle ragioni poste
a base dell’accordo del 25.9.1997 e che, quindi, le altre non possono ritenersi
temporalmente limitate, richiamando la necessità di valutare anche il comportamento
posteriore delle parti ed, in particolare, quanto stabilito con l’accordo del 18.1.2001.
Con il quinto si denunzia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207,
, 1217 e 1233 c.c.: il ricorrente aveva diritto alla retribuzioni comunque solo dal momento

svolgimento della prestazione lavorativa.
In ordine al primo e secondo motivo, da trattarsi unitariamente, deve rilevarsi come questa
Corte abbia più volte affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori
di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n.
23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è
stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo
consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 212-2002 n. 17070). Nella specie la Corte d’Appello ha osservato, con motivazione immune
da vizi logico giuridici, che nella specie non vi era stato alcun comportamento della
lavoratrice che potesse far presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto
e che il solo decorrere del tempo tra la cessazione di quest’ultimo e la contestazione e
messa in mora da parte della lavoratrice non potesse essere in alcun modo interpretato
come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo consenso.
2

dell’effettiva ripresa del servizio in quanto il diritto alla retribuzione postula l’effettivo

Il terzo ed il quarto, o motivo, che possono trattarsi congiuntamente, per la evidente
connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, devono essere respinti.
Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione
che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8
del cm! del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa
Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnI del 2001 ed al d.lgs. n. 368
del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione
alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962,
discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra
contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n.
21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e
dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di
ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove, però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto
• dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre
– Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
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successiva al 30 aprile 1998.

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche
qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e
con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile

dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la
ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in
forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n.
20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la
interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n.
6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de
quo.

Né a diverse conclusioni può giungersi dall’esame dell’accordo del 18.1.2001, ovvero

della disposizione di cui all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, pure invocati dalle Poste a sostegno
del proprio assunto.
Si ha riguardo ad un accordo — stipulato ad oltre due anni di distanza dall’ultima prorogache non potrebbe coprire mai il “vuoto” normativo creatosi nel periodo precedente, rendendo
legittimi comportamenti posti in essere in contrasto con norme imperative di legge. Ed i
ogni caso il nuovo accordo non potrebbe mai travolgere diritti già acquisiti nel patrimonio di
terzi nel periodo intermedio ( cfr. in termini Cass. n. 15331 del 7.8.2004).
Risulta, dunque, irrilevante il richiamo all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, sia perché esso si
riferisce chiaramente alle sole assunzioni da effettuare dopo l’entrata in vigore del nuovo
contratto, sia perché la possibilità di procedere ad assunzioni a termine ” per esigenze di
carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione” è subordinata all’esito di
confronto con la controparte sindacale a livello nazionale ovvero a livello regionale, il che, a
• ben vedere, conferma l’inesistenza di qualsiasi pregresso accordo generale per tale tipo di
assunzioni.
4

1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute

Inammissibile appare il quinto motivo: dalla stessa giurisprudenza citata dalle Poste (
cass. n. 15331/2004, cass. n. 13136/2000) ormai consolidata emerge che spetta il diritto
..,; fig\retribuzioni dal momento in cui è stata offerta la prestazione, il che la Corte territoriale
ha aecertato essere avvenuto con la missiva del 23.12.2002, con la quale è avvenuto la
.
messa in mora del datore di lavoro con l’offerta delle prestazioni ( p. 6 della sentenza

.

impugnata). La lettera prima indicata non viene in alcun modo considerata411 motivo che
svolge considerazioni del tutto astratte; sono stati inoltre formulati quesiti a pag. 19
assolutamente generici. Non può procedersi all”applicazione dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore
dal 24 novembre 2010. Va, infatti, premesso, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto
che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
tale condizione non sussiste nella fattispecie in quanti i motivi concernenti la
quantificazione del danno sono inammissibili per quanto sopra detto, benché, con
.

,sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 siano state dichiarate non fondate le

., ,ti’Ll’estioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge 4 novembre
2010, n. 183 sollevate, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo
comma, della Costituzione.
Le spese del giudizio di legittimità liquidate come al dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.
-.La Corte: rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
• giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per spese, nonché in euro 3.500,00
per compensi, oltre accessori.
• Così deciso in ROMA, il 16.1.2014

inidonei in quanto privi di qualsiasi riferimento alla fattispecie in esame e quindi

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