Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9349 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9349 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CAPPABIANCA AURELIO

SENTENZA

sul ricorso 2859-2009 proposto da:
RIVELLI FIORENZO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIALE REGINA MARGHERITA 42, presso lo studio
dell’avvocato

LUCA CRIPPA, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO SIANO giusta delega in calce;
– ricorrente 2015
1207

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA

VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente

Data pubblicazione: 08/05/2015

avverso la sentenza n. 142/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ANCONA, depositata il 04/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2015 dal Presidente e Relatore Dott.
AURELIO CAPPABIANCA;

chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

udito per il ricorrente l’Avvocato SIANO che ha

R.G. 2.859/09

Svolgimento del processo
Fiorenzo Rivelli propose ricorso avverso avviso di
accertamento, con il quale – sul presupposto che il
contribuente avesse trasferito la propria residenza
anagrafica nello Stato di San Marino per motivi

effettivo dei propri affari e interessi nel territorio
dello Stato italiano (e, precisamente a Fano) – era
stato accertato in relazione all’annualità 1996, ai
sensi dell’art. 38, commi l – 3, d.p.r. 600/1973 e
sulla base delle risultanze di indagini bancarie,
maggior imponibile a fini irpef, ilor e contributo al
servizio sanitario. In particolare, l’imponibile,
dichiarato in 1. 44.266.000, era stato ridefinito in
1. 216.231.000, con consequenziale applicazione di
maggior imposte ed irrogazione di sanzioni.
L’adita commissione provinciale accolse il ricorso,
riscontrando la nullità dell’atto impositivo in base al
rilievo che, nel periodo d’imposta oggetto di
accertamento, il contribuente era residente l’estero,
sicché non poteva essere considerato soggetto passivo
d’imposta in Italia.
In esito all’appello dell’Ufficio, la decisione di
primo grado fu riformata dalla commissione regionale. I
giudici del gravame riscontrarono in Fano il domicilio

esclusivamente fiscali, pur mantenendo il centro

R.G. 2.859/09
civilistico del contribuente, rilevante ai sensi e per
gli effetti di cui all’art. 2 d.p.r. 917/1986, e
riconobbero la fondatezza del recupero.
Avverso la decisione di appello, il contribuente ha
proposto ricorso per cassazione in tredici motivi,

L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
I) – Con memoria depositata ai sensi dell’art. 378
c.p.c., il ricorrente ha sollevato

“pregiudiziale

eccezione d’inammissibilità dell’appello” dell’Agenzia,
per violazione del combinato disposto dagli artt. 53,
comma 2, e 22 d.lgs. 546/1992, rilevando, in proposito,
che, con la copia del ricorso in appello spedito a
mezzo posta, l’Agenzia aveva depositato nella
segreteria della commissione regionale copia della
ricevuta di ritorno della raccomandata postale anziché,
come normativamente prescritto, quella della relativa
ricevuta di spedizione.
L’eccezione va disattesa.
A tacer d’altro, essa si rivela, invero, del tutto
infondata, dovendosi ritenere che il fatto che,
all’atto della costituzione, l’appellante depositi,
unitamente alla copia del ricorso, l’avviso di
ricevimento del plico inoltrato per raccomandata, in

2

illustrati anche con memoria.

R.G. 2.859/09
luogo del prescritto avviso di spedizione,

non

costituisce motivo di inammissibilità, ex artt. 53,
comma 2, e 22, commi 1 e 2, d.lgs. 546/1992,
dell’appello notificato a mezzo posta. Atteso che anche
l’avviso di ricevimento riporta la data di spedizione,

il deposito di detto avviso si rivela, infatti,
perfettamente idoneo ad assolvere la funzione
probatoria che la norma assegna all’incombente (cfr.
Cass. 4615/08).
M – Approfondendo il tema della controversia,
occorre premettere che
trasferimento

della

sul presupposto che il
residenza

anagrafica

del

contribuente nello Stato di San Marino e la sua
iscrizione all’A.i.r.e. dal 1985 non escludono, di per
se stessi, l’assoggettabilità ad imposizione in Italia,
giacché, ai fini considerati, rileva, non la residenza
anagrafica, ma la residenza e/o domicilio,
civilisticamente

intesi,

cosi

come

individuati

dall’art. 43 c.c. il nucleo essenziale della
motivazione della sentenza impugnata si sviluppa nella
conclusione che, per il Rivelli, il predetto domicilio
sia da individuare, con riferimento all’annualità in
contestazione,

“in Italia e in agro di Fano”.

Ciò in

relazione all’univoco tenore delle circostanze
rilevate: “…

la sua famiglia (moglie e figli) abitava

3

k

R.G. 2.859/09

e risiedeva in detto domicilio, in Italia i suoi figli
hanno frequentato gli studi, in San Marino nessuna
civile abitazione il Rivelli al tempo possedeva tanto
da fissare la sua residenza presso la sede di una
azienda di sua proprietà, nel pesarese 11 Rivelli

avevano sede per lo più in Italia (Fano e Rimini), la
sua casa di proprietà sita in Fano era stata assicurata
come “dimora abituale”, i suoi conti correnti erano
accesi presso istituti di credito italiani, le spese
dedotte in sede di dichiarazioni erano state per lo più
affrontate in Italia ecc.”.

Elementi, nel loro

complesso non scalfiti dalle contrarie indicazioni del
contribuente, che hanno radicato la convinzione che

“in

effetti, nell’anno 1996, il Rivelli avesse in Fano il
suo domicilio inteso come luogo con il quale
l’interessato aveva il più stretto collegamento sotto
il profilo degli interessi personali e patrimoniali,
dove lo stesso cioè aveva il centro del propri affari
ed interessi (economici, morali sociali e famigliari)
e/o la dimora”.
III) 1. – Tale essendo il tenore del nocciolo della
decisione impugnata, con il primo motivo di ricorso
(articolato in due profili), il contribuente deducendo

“nullità della sentenza ex art. 360 n. 3

4

possedeva diverse proprietà immobiliari, le sue società

R.G. 2.859/09
c.p.c., con riferimento all’art. 2 d.p.r.

917/1986,

nella formulazione in vigore nell’anno 1995, all’art.
43 c.c., all’art. 11 disp. prel c.c. e all’art. 3 l.
212/2000” nonché

“nullità della sentenza ex art. 360

n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 24 Cost.”

retroattivamente,

con

riferimento

ad

annualità

d’imposta (1995) antecedente all’anno 1999, la norma di
cui

all’art.

2,

comma

2

bis,

d.p.r.

917/1986)

introdotta dall’art. 10 1. 448/1998 (che, ai fini
dell’assoggettamento ad imposizione diretta, pone la
presunzione

iuris tantum

di residenza in Italia dei

cittadini italiani cancellati dalle anagrafe della
popolazione residente ed emigrati in Stati o territori
a fiscalità privilegiata).
Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deducendo

“nullità della sentenza ex art. 360 n. 3

c.p.c., con riferimento all’art. 2 d.p.r. 917/1986 ed
all’art. 43 c.c.” – censura la decisione impugnata per
aver ritenuto il contribuente soggetto passivo irpef,
ancorché egli avesse dimostrato, ai sensi dell’art. 2,
comma 2, d.p.r. 917/1986 di non essere stato iscritto
nell’anagrafe dalla popolazione residente e di non
essere stato residente o domiciliato in Italia, per la
maggior parte del periodo di imposta dell’anno 1994 ed

5

censura la decisione impugnata per aver applicato

R.G. 2.859/09
in misura di almeno 225 giorni.
2.1 – In quanto connessi, i riportati motivi
possono essere congiuntamente trattati.
2.2

In proposito,

deve,

in primo luogo,

convenirsi con il ricorrente (cfr. il primo motivo) che

sembra asseverare la retroattività della previsione di
cui al comma 2 bis dell’art. 2 d.p.r. 917/1986,
introdotto dall’art. 10 1. 448/1998, che non è norma di
natura processuale.
Il riscontrato errore tuttavia, incidendo su di un
profilo motivazionale non essenziale e meramente
rafforzativo della decisione e già altrimenti
idoneamente sorretta, non riveste rilevanza risolutiva.
2.3 – Ciò posto, deve, per altro verso rilevarsi
che, quanto al nucleo fondamentale sopra riportato, la
decisione del giudice a quo, resiste anche alla censura
di violazione di legge, articolata dal contribuente nel
secondo motivo di ricorso.
Nella parte considerata, la motivazione si rivela,
infatti, pienamente aderente alla giurisprudenza di
questa Corte, la quale – in base al rilievo che l’art.
2 d.p.r. 917/1986 recita “l.

Soggetti passivi

dell’imposta sono /e persone fisiche, residenti e non
residenti nel territorio dello Stato.

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2.

Al fini delle

la decisione impugnata è certamente errata, laddove

R.G. 2.859/09
imposte sul redditi si considerano residenti le persone
che per la maggior parte del periodo d’imposta sono
iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la
residenza al sensi del Codice civile”

“Il domicilio di una persona

è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale
dei suoi affari ed interessi” è

consolidatamente

orientata a ritenere che, in tema d’imposte sui
redditi, soggetto passivo d’imposta è, ai sensi del
combinato disposto dalla succitate disposizioni, anche
il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero,
abbia, per la maggior parte del periodo d’imposta,
stabilito in Italia il suo domicilio, inteso,
indipendentemente dalla relazione fisica con il luogo,
quale sede principale dei suoi affari, interessi
economici e relazioni personali, come desumibile da
elementi presuntivi ed a prescindere dall’iscrizione
del soggetto nell’A.i.r.e. (cfr. Cass. 678/15,
29576/11, 24246711, 14434/10, 12259/10, ss.uu.
25275/06); sicché diviene, poi, tema di accertamento
fattuale il riscontro della concreta ricorrenza di uno
dei criteri di collegamento territoriale (alternativi e
non concorrenti) normativamente prescritti ai fini
dell’assoggettamento ad imposizione.

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c.c., comma l, stabilisce:

e che l’art. 43

R.G. 2.859/09

IV) 1. – Con il terzo, il quarto, il quinto
(rispettivamente articolati in due diversi profili), il
sesto,

il settimo, l’undicesimo ed il dodicesimo

motivo, – contemplanti censure di omessa, insufficiente
o contraddittoria

motivazione circa

punti decisivi

l’ottavo, il nono ed il decimo motivo – denunzianti
“nullità della sentenza ex art. 360 n. 3 c.p.c. con
riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c.”
errato

governo

degli

elementi

e, dunque,

indiziari

contribuente, aggredisce le valutazioni operate dal
giudice a quo sugli acquisiti elementi di fatto.
2. – Le riportate censure – che, per la stretta
connessione, implicano trattazione congiunta – vanno
disattese.
I motivi,

introducenti denunzia di vizi di

motivazionali, si rivelano, in primo luogo,
inammissibili, poiché non si concludono, ex art. 366
bis c.p.c. (operante ratione temporis), con “momento di
sintesi” coerente con le censure svolte (cfr. Cass.
12248/2013 e 5858/2013), bensì con “quesito di diritto”
(tale, non solo nell’intitolazione, ma anche nello
sviluppo), che, ai sensi della richiamata disposizione,
deve specificamente corredare le censure di violazione
di legge.

8

della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. – nonché con

R.G. 2.859/09

D’altro canto – per l’intrinseca coerenza del sopra
riportato nucleo motivazionale della sentenza e per la
coerenza, altresì, delle argomentazioni con cui il
giudice

a quo

ha specificatamente disatteso le

contrarie deduzioni del contribuente tutte le

censure in rassegna si rivelano inammissibili in quanto
tendenti ad introdurre un sindacato in fatto non
consentito in sede di legittimità.
Ed invero – a fronte dell’articolata motivazione,
in base alla quale il giudice a quo ha dato conto,
attraverso analitica disamina degli elementi di
valutazione disponibili, del conseguito convincimento
circa la collocabilità in Fano del domicilio del
contribuente (ai sensi di consolidata giurisprudenza:
come civilisticamente inteso ai sensi dell’art. 43
c.c.) – con gli indicati motivi di ricorso, il
ricorrente, pur apparentemente prospettando carenze di
motivazione e violazioni di legge, rimette, in realtà
in discussione, contrapponendovene uno difforme,
l’apprezzamento in fatto del giudice di merito,
espresso con motivazione esauriente, basato sulle
risultanze delle acquisizioni documentali, immune da
lacune o vizi logici e, in quanto tale, sottratto al
sindacato di cui al presente giudizio di legittimità.
Ciò perché, in tale ambito, non è, infatti, conferito

9

iv

R.G. 2.859/09
il potere di riesaminare e valutare il merito della
causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e
la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta
riservato di individuare le fonti del proprio

controllarne l’attendibilità e la concludenza, e
scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione
(cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03).
Non va, infine, sottaciuto che le censure in
rassegna – in ciò ulteriormente rivelando la loro
inadeguatezza sottopongono gli elementi fattuali
oggetto della delibazione della decisione impugnata ad
analisi atomistica e non nella prospettiva sintetica
propria dei giudici di appello.
V) – Il tredicesimo subordinato motivo di ricorso con il quale è richiesta la rideterminazione delle
sanzioni alla luce degli artt. 3, 12 e 25 d.lgs.
472/1997 “…

in ragione del cd. cumulo giuridico al

sensi dell’art 12 d.lgs. 472/1997 e al sensi del
d.lgs. 471/1997 tenuto conto del fatto che l’Ufficio di
Fano ha notificato altri due avvisi di accertamento per
gli anni 1994 e 1995, ancora, oggetto di contenzioso
tra le parti” – è non di meno inammissibile: per novità

10

convincimento e, all’uopo, di valutare le prove,

ENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D .P R. 26/4/ 1 9Z6
N. 131 TAR NH i-4 – N. 5
MATERIA Ii(.1.40_, +.1,A

R.G. 2.859/09

della censura (che non risulta proposta nei gradi di
merito) e, comunque, per difetto del requisito di cui
all’art. 366 bis c.p.c. e per assoluta genericità della
censura.
VI)

– Alla stregua delle considerazioni che

impugnata, come sopra precisato, in rapporto alle
deduzioni di cui alla prima doglianza del ricorrente s’impone il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo, tenuto conto della ritualità del
controricorso.
P.Q.M.
la Corte: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente
alla refusione delle spese di causa, liquidate in C
6.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Milano, 25 marzo 2015
Il presid nte est.

0100111TATO CANCEIMA
….

precedono – corretta la motivazione della sentenza

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