Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9348 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9348 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: BIELLI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Erminio Bergo, residente a Rosolina (RO) in via Brigato n. 83,
elettivamente domiciliato in Roma, piazza di Priscilla n. 4, presso lo
studio dell’avvocato . Stefano Coen, che, unitamente (anche
disgiuntivamente) all’avvocato Davide Druda, lo rappresenta e difende
giusta procura speciale a margine del ricorso;

ricorrente

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello
Stato, che la rappresenta e difende

controricorrente

avverso la sentenza n. 20/19/07 della Commissione tributaria regionale

Data pubblicazione: 08/05/2015

del Veneto, depositata il 27 settembre 2007, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 marzo
2015 dal consigliere dottor Stefano Bielli;
udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale dottor

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza n. 20/19/07, depositata il 27 settembre 2007 e non notificata, la

Commissione tributaria regionale del Veneto (hinc: «CTR») rigettava l’appello proposto da Erminio
Bergo nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 58/03/2005 della
Commissione tributaria provinciale di Rovigo (hinc: «CTP») e condannava l’appellante alle spese
di lite, liquidate in € 2.000,00.
Il giudice di appello premetteva che: a) in base ad un processo verbale di constatazione
redatto dalla Guardia di finanza, l’Agenzia delle entrate aveva emesso due avvisi per l’IVA e
l’IRPEF, uno per il 1998 e l’altro per il 1999 nei confronti di Erminio Bergo (esercente in Rosolina
un’impresa familiare edile unitamente a due fratelli, un figlio ed un dipendente “apprendista
muratore”) accertando maggiori imponibili; b) a tale conclusione l’ufficio tributario era pervenuto a
séguito del rinvenimento nell’abitazione del contribuente, da parte della Guardia di finanza, di due
agende nelle quali era riportata «quotidianamente» (per i suddetti anni d’imposta) la descrizione
dell’esecuzione di alcune conimesse, con l’indicazione della tipologia del lavoro effettuato, del
nominativo «del cantiere o del committente» e delle «ore lavorate dai collaboratori familiari», con
la «monetizzazione delle [.. .] ore di lavoro occorrenti per l’esecuzione delle prestazioni»; c) i
verbalizzanti avevano ricostruito i ricavi moltiplicando le ore lavorate desunte dalle agende per gli
importi stabiliti dalle tabelle del Ministero dei lavori pubblici, magistrato alle acque, di Rovigo e
Venezia e dalle tabelle della Camera di commercio di Padova e successivamente aumentando il
prodotto cosí ottenuto con l’aggiunta di una percentuale di spese generali e di un’altra percentuale
di utile d’impresa; d) il contribuente aveva impugnato separatamente gli avvisi e l’adfta CTP, riuniti
i giudizi, li aveva rigettati, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.; e) avverso la
sentenza aveva proposto appello il Bergo, deducendo che la ricostruzione della Guardia di finanza,
accolta dall’Agenzia delle entrate, poggiava su presunzioni infondate, in quanto: e.1.) il pagamento
era contrattualmente previsto a forfait o (per i lavori di demolizione) a mq., non ad ore; e.2.) le ore
di lavoro riportate nelle agende servivano a ripartire gli utili tra i familiari, non per addebitare il

Riccardo Fuzio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

costo delle opere ai committenti; e.3.) i ricavi dovevano essere determinati in base ai contratti di
appalto stipulati e non alla valutazione del costo di lavoro secondo le tabelle utilizzate dai
verbalizzanti; e.4.) il calcolo delle rimanenze finali relative al 1999 (determinate dalla Guardia di
finanza in lire 161.702.904) era incomprensibile, tenuto conto che i costi per i materiali per tutto
l’anno 1999 erano ammontati a lire 73.000.000; O l’ufficio tributario aveva resistito con
controdeduzioni.

contabile esaminata evidenziava l’irregolarità di omessa annotazione nel registro IVA acquisti e nel
libro giornale di diverse fatture d’acquisto e l’omessa conservazione di un numero considerevole di
documenti di trasporto; b) in particolare, l’individuazione dei ricavi non fatturati e delle prestazioni
di servizi non dichiarati era avvenuta, da parte dell’amministrazione finanziaria, mediante confronto
con i risultati elaborati in base a fonti extracontabili (agende) provenienti dallo stesso contribuente;
c) anche la determinazione, da parte dei verificatori, delle rimanenze finali per l’anno 1999 appariva
fondata su «precisi calcoli contabili» e, pertanto, doveva ritenersi «verosimile»; d) il rinvenimento
della seconda contabilità informale (come, nella specie, le agende), integrava — per costante
giurisprudenza — un indizio grave preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non registrati
nella contabilità ufficiale, valido per sorreggere l’accertamento; e) si dovevano confermare
«totalmente» le conclusioni cui era giunta la CTP circa l’adeguatezza della motivazione dei
provvedimenti impugnati; e) l’appellante, di fronte alla prova cosí fornita dall’amministrazione
finanziaria, non aveva addotto alcuna documentata argomentazione o allegata una prova contraria.
2.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione
affidato a cinque motivi e notificato il 7 —10 novembre 2008.
3.—L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso notificato il 19 dicembre 2008.

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo del ricorso, non corredato da momento di sintesi, il ricorrente

denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.— la mancata e
contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo «da individuarsi […] nella presenza
di costi di manodopera (da cui dedurre ricavi effettivamente conseguiti) che emergerebbero tramite
“monetizzazione” delle ore annotate nelle agende» rivenute nel domicilio del contribuente. Secondo
il ricorrente, la CTR, nell’affermare che tali agende contenenti l’indicazione delle ore di lavoro
sostenute dai collaboratori familiari e dall’apprendista costituiscono una “doppia contabilità” utile a
fondare l’accertamento di maggiori ricavi, incorre nella contraddizione, da un lato, di ritenere
legittimo il calcolo dei ricavi effettuato dai verbalizzanti attraverso la ricostruzione dei costi
secondo le ore di lavoro indicate nelle agende e rapportate alle tabelle dei compensi previste per i

Su queste premesse, la CTR, nel rigettare l’appello, rilevava che: a) la documentazione

lavori pubblici, e, dall’altro, di ammettere che dette ore di lavoro erano prestate dai collaboratori
familiari del contribuente, come tali non stipendiati, ma remunerati con utili, con la conseguenza
che il loro lavoro non poteva corrispondere al costo di un operaio (a parte l’apprendista muratore,
anch’ esso collaboratore dell’impresa). Per il contribuente, l’annotazione delle ore lavorative
prestate dai familiari serviva solo per la futura ripartizione degli utili e non era idonea a dimostrare
l’effettivo pagamento orario (quale costo d’impresa) del lavoro prestato.
sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, circa le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, come
richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (ex plurimis, Cass.
sezioni unite n. 16528 del 2008; sezioni semplici, n. 8897 del 2008, n. 24255 del 2011). Ulteriore
ragione di inammissibilità deriva dal fatto che non sono tra loro conciliabili le simultanee denunce
di mancata e contraddittoria motivazione.
2.— Con il secondo motivo del ricorso, non corredato da momento di sintesi, il ricorrente
denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.— la mancata, apparente,
insufficiente, carente e contraddittoria motivazione (pagg. 11 e 16 del ricorso) circa il fatto
controverso e decisivo consistente nella «presenza di rimanenze finali tassabili, siccome poste
rettificative di costi afferenti opere in corso, non dichiarate». Secondo il ricorrente, la CTR,
nell’affermare che i “precisi calcoli contabili” dei verbalizzanti rendono verosimile l’accertamento
di maggiori componenti positivi del reddito a titolo di rimanenze, non ha risposto alle censure da lui
sollevate sia in primo grado (incomprensibilità dei costi considerati dai verificatori per l’aumento
delle rimanenze finali del 1999 a complessive lire 161.702.904, rispetto alle dichiarate di lire 73
milioni, posto che le ore lavorative dei collaboratori familiari non integravano costi), sia in appello
(mancata considerazione delle rimanenze dichiarate di lire 73 milioni; incomprensibilità dei costi
considerati dai verificatori per l’aumento delle rimanenze finali del 1999; se si fossero computate
nelle rimanenze le ore lavorative prestate dai collaboratori familiari, il relativo importo si sarebbe
dovuto computare come costo). In particolare, il ricorrente ribadisce che: 1) nell’importo delle
rimanenze, relative alle opere da ultimare, ottenuto sommando il presunto costo della mano d’opera
per lavoro subordinato alle materie prime, non potevano essere computate le ore lavorative del
titolare e dei familiari (in quanto non erano pagati); 2) in ogni caso, ove le suddette ore lavorative
fossero state considerate come costo sostenuto, la relativa posta si sarebbe dovuta inserire nel
bilancio, appunto, come costo, neutralizzando l’importo corrispondente delle rimanenze; 3) non
erano state considerate le rimanenze già dichiarate.
2.1.— Il motivo è inammissibile perché, al pari del motivo precedente, non è corredato dalla

1.1.— Il motivo è inammissibile perché non è corredato dalla indicazione riassuntiva e

indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del
motivo, circa le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis). Va
rilevato, in proposito che quanto segue (nella pagina 15 del ricorso) alle parole «In sintesi»,
contenute nel motivo, non costituisce la sintesi finale del motivo, ma la conclusione di una delle
diverse argomentazioni prospettate.
Ulteriore ragione di inammissibilità deriva dal fatto che non sono tra loro conciliabili le

(pagg. 11 e 16 del ricorso). Oltre a ciò, in base a quanto riferito dallo stesso ricorrente (nelle pagg.
11 e 12 del ricorso, ove si riportano le censure prospettate in primo e secondo grado), la questione
della mancata considerazione delle rimanenze dichiarate appare proposta per la prima volta in
appello. Infine, il motivo è inammissibile anche perché privo di autosufficienza, non essendo stato
riportato o riassunto il contenuto preciso degli avvisi in relazione al punto controverso del computo
delle rimanenze con riguardo a quelle dichiarate.
3.— Con il terzo motivo del ricorso, corredato da quesito di diritto, il ricorrente denuncia —
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.— la violazione e falsa applicazione degli
artt. 59 e 75 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo applicabile ratione temporis) con riguardo alla
definizione di rimanenze finali. Formula il seguente quesito: «se», ai sensi delle disposizioni
evocate, «costituisce rimanenza finale imponibile nell’anno la somma corrispondente a maggiori
costi di manodopera, accertati come sostenuti ma non contabilizzati né imputati a conto economico,
per la realizzazione delle opere non ultimate e non cedute».
Secondo il ricorrente, nella specie, le rimanenze finali calcolate dall’ufficio tributario non
costituiscono una componente attiva del risultato reddituale tassabile per il 1999, in quanto non
rettificano un costo, ma (se mai) rilevano un presunto e contestato costo non contabilizzato, non
concretizzatosi nella percezione di maggiori compensi (riferendosi, come precisato nell’atto di
accertamento, ad opere non ultimate né cedute).
3.1.— Il motivo è infondato e va rigettato.
3.1.1.— Occorre preliminarmente osservare che il ricorrente fa erroneamente riferimento alla
violazione dell’art. 59 (ora 92) del TUIR. La censura può tuttavia interpretarsi come riferita, in
realtà all’art. 60 (ora 93) del TUIR.
Il punto controverso della causa attiene alla valutazione delle rimanenze per lavorazioni in
corso su ordinazione [art. 2424 cod. civ.: stato patrimoniale, C) Attivo circolante, I. Rimanenze, n.
3] attinenti ad opere di durata ultrannuale. La CTR, di conseguenza, ha esaminato la congruità della
valutazione effettuata dall’ufficio tributario delle rimanenze finali, con riferimento non all’ art. 59,

simultanee denunce di «mancata, apparente, insufficiente, carente e contraddittoria motivazione»

ma all’art. 60 (ora 93) del TUIR, cioè in relazione — appunto — alle opere in corso di lavorazione di
durata ultrarmuale. Il comma 5 del suddetto art. 59 (ora comma 6 dell’art. 92) stabilisce che i
«prodotti» in corso di lavorazione di durata superiore ad un anno vanno valutati in base al disposto
dell’art. 60 (ora 93) del TUIR, relativo alle «opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario
e con tempo di esecuzione ultrannuale». Può ritenersi che il ricorrente, essendo incorso nella
confusione concettuale tra «prodotti» ed «opere» (sulla distinzione, vedi invece 1′ art. 2425 cod. civ.,
A. Valore della produzione, numero 2 e numero 3), abbia inteso in realtà denunciare la violazione

stesso TUIR.
Anche cosí interpretato, il motivo di ricorso non può essere accolto.
3.1.2.

Il ricorrente muove dall’erroneo presupposto che la valutazione delle opere in

discorso debba effettuarsi alla stregua di quella delle rimanenze di magazzino, cioè sulla base delle
spese sostenute nel corso dell’esercizio. Occorre, invece, sottolineare che, mentre le rimanenze di
magazzino di cui all’art. 59 del TUIR costituiscono costi sospesi in vista dei futuri ricavi, le
rimanenze di cui all’art. 60 dello stesso TUIR costituiscono componenti comprensivi anche di una
parte degli utili sperati (quella imputabile all’esercizio di competenza, tra quelli in cui si distribuisce
la durata pluriennale dell’opera).
Contrariamente alle affermazioni del contribuente, infatti, l’art. 2426, numero 11), cod. civ.,
stabilisce che «i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi
contrattuali maturati con ragionevole certezza» (cioè, «secondo prudenza», ai sensi dell’art. 2423-

bis, numero 1, cod. civ.). Tale disposizione ben si coordina con il citato comma 2 dell’art. 60 (ora
93) del TUIR, secondo cui (ai fini fiscali), per il calcolo della variazione delle rimanenze finali delle
opere di durata superiore a dodici mesi (e, può qui aggiungersi, comprese in almeno due periodi
d’imposta), occorre procedere sulla base dei corrispettivi pattuiti.
Nella specie, la CTR ha ritenuto che i corrispettivi effettivamente pattuiti per tali opere (ad
oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrarmuale) fossero quelli individuati dall’ufficio
tributario e non quelli (evidentemente ritenuti di entità non plausibile) indicati dalla contribuente,
ancorché risultanti dai documenti da questa prodotti in giudizio. Su questa base, la CTR ha
considerato corretta la valutazione delle rimanenze effettuata secondo il metodo della percentuale di
completamento dei lavori. Tale metodo è coerente con l’art. 60 (ora 93) del TUIR e non solo è
attualmente raccomandato dal principio contabile OIC 23 (in quanto garantisce una maggiore
aderenza ai principi di competenza economica e di correlazione tra costi e ricavi), ma è addirittura
considerato come l’unico valido dal principio contabile internazionale IAS n. 11. All’interno della
valutazione effettuata secondo la percentuale di completamento (con l’imputazione all’esercizio

dell’art. 60 del TUIR, sia pure attraverso l’improprio richiamo (del comma 5) dell’art. 59 dello

della quota di corrispettivo corrispondente alla percentuale dei lavori già svolti, rispetto all’opera
complessivamente pattuita), le rimanenze sono state calcolate dall’ufficio tributario utilizzando uno
tra i criteri empirici possibili, cioè mettendo in rapporto le ore lavorate (individuate tramite il
contenuto delle agende rinvenute dalla Guardia di finanza nell’abitazione del contribuente), con il
totale delle ore di lavoro previste per il completamento dell’opera* Anche tale criterio empirico non
è in contrasto con le disposizioni richiamate dal contribuente ed è espressamente previsto dal
menzionato principio contabile OIC 23). La sentenza impugnata, dunque, nel dichiarare

e fatto applicazione degli artt. 60 e 75 del TUIR (nel testo all’epoca vigente) in ordine alle
rimanenze finali imputabili (per competenza) a ciascuno degli esercizi oggetto di esame, con
riguardo alle opere ad esecuzione ultrannuale non ultimate. Di qui il rigetto del motivo di ricorso.

4.— Con il quarto motivo del ricorso, non corredato da momento di sintesi, il ricorrente
denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.— la mancata ed apparente
motivazione circa il fatto controverso e decisivo consistente nella «sussistenza di maggiori ricavi
siccome prezzi introitati dai clienti al di fuori di quanto contrattualmente stabilito». Secondo il
medesimo ricorrente, la CTR, nel ritenere che il contribuente non ha fornito la prova idonea a
superare le valide presunzioni offerte dall’amministrazione finanziaria, ha omesso di considerare e
di motivare su quanto dedotto dalla parte privata: 1) le annotazioni extracontabili delle ore
lavorative prestate dai familiari collaboratori non costituivano contabilità occulta, non erano in
contrasto con la contabilità dell’impresa e, quindi, non erano idonee a fondare alcuna presunzione;
2) i non contestati contratti di appalto prodotti in giudizio e relativi agli anni 1998 e 1999
prevedevano un compenso a corpo o a misura, mai secondo le ore di lavoro; 3) non v’era prova del
pagamento secondo le ore di lavoro né da parte del Bergo ai lavoratori né dei committenti allo
stesso Bergo; 4) il senso delle annotazioni nelle agende era diverso da quello individuato dai
verbalizzanti, perché serviva per ripartire gli utili con i familiari collaboratori e non per individuare
il costo del loro lavoro.

4.1.— Il motivo è inammissibile perché, al pari dei primi due motivi, non è corredato dalla
apposita indicazione riassuntiva e sintetica richiesta dall’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo
applicabile ratione temporis.
Ulteriore ragione di inammissibilità è costituita dal fatto che la censura si risolve nella non
consentita richiesta di una diversa valutazione degli stessi fatti presi in considerazione dalla CTR. A
quest’ultimo proposito, giova ‘sottolineare che la sentenza impugnata ha seguíto il seguente iter
motivazionale: a) la contabilità del contribuente presentava irregolarità (omessa annotazione nel
registro IVA acquisti e nel libro giornale di diverse fatture d’acquisto; omessa conservazione di

esplicitamente od implicitamente legittimi tali procedimenti valutativi, ha correttamente interpretato

documenti di trasporto); b) inoltre, dalle ore di lavoro prestate per l’esecuzione dei lavori ed
annotate nelle agende rinvenute nell’abitazione del contribuente risultava l’inattendibilità della
documentazione contabile e contrattuale fornita dal contribuente; c) detta inattendibilità emergeva
dal raffronto tra i ricavi presumibili (calcolati in base alle ore di lavoro indicate in agenda, poste in
relazione alle usuali remunerazioni pubbliche tariffarie, aumentate di costi e di un margine di utile
d’impresa) e quelli dichiarati; d) l’imponibile effettivo era quello risultante dai calcoli dell’ufficio

motivo, ai quali ha attribuito un significato diverso da quello prospettato dal ricorrente, il quale non
è stato in grado di denunciare un vizio motivazionale.
Oltre a quanto sopra osservato, il ricorrente indica (inammissibilmente) come non valutati
dalla CTR elementi irrilevanti ai fini del decidere: gli scopi delle annotazioni delle ore lavorative
nelle agende e la circostanza che queste — a dire del Bergo — non fossero state “occultate” sono dati
palesemente inconferenti (conta, invece, solo l’entità e la veridicità delle ore lavorate); il fatto che i
familiari lavoratori fossero stati o no effettivamente pagati non ha alcuna importanza ai fini del
calcolo in astratto del lavoro svolto (calcolo compiuto dall’ufficio tributario per determinare
l’imponibile e per fondare il giudizio di antieconomicità dell’operato dichiarato dal contribuente); il
contenuto dei contratti di appalto (in particolare, la previsione di un prezzo a corpo od ad mq.) non è
idoneo ad escludere l’ antieconOmicità individuata dai verificatori.
I rilievi che precedono assorbono ogni ulteriore considerazione circa il difetto di
autosufficienza del motivo per la mancata riproduzione (integrale o per riassunto) dei passi salienti
dei documenti menzionati dal ricorrente (ad esempio del contenuto delle annotazioni nelle agende)
e, nel merito, circa il fatto che la motivazione della sentenza è sussistente e non carente (anche se
non condivisa dal ricorrente).
5. Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso, corredato da quesito di diritto, il ricorrente

denuncia — in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.— la violazione e falsa
applicazione degli artt. 39 e 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2927 e
2929 cod. civ., in tema di prova per presunzioni e di divieto di doppie presunzioni. Formula il
seguente quesito di diritto; «se», con riguardo alle disposizioni sopra indicate, «in presenza di
annotazioni in agenda di ore lavorate in cantieri edili da parte dei collaboratori familiari sia frutto di
duplice presunzione vietata l’accertamento di maggiori ricavi introitati in evasione d’imposta,
operata per il tramite della ‘monetizzazione delle ore lavorate ivi annotate quale costo per
manodopera dipendente».
Secondo il ricorrente, l’amministrazione finanziaria avrebbe proceduto, nell’accertamento,
dal fatto noto (ed incontestato) dell’annotazione delle ore lavorate «da cinque persone nei cantieri in

tributario. Appare evidente, perciò, che la CTR ha preso in considerazione tutti i fatti indicati nel

ESENTE IMREC(STRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/19116
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5

MATERIA TRiBUTARIA
essere negli anni 1998 e 1999», inferendone che si trattasse di ore di lavoro pagate dall’impresa a
chi le ha prestate ed assumendo che il pagamento di tali ore fosse avvenuto in misura
corrispondente a quella di lavoratori dipendenti, calcolata, in forza di altra presunzione, secondo i
tariffari orari pubblici. Inoltre, utilizzando una ulteriore presunzione, l’ufficio avrebbe ritenuto che
in base ai costi del lavoro cosí calcolati fossero stati fissati i prezzi delle opere (indipendentemente
dal contenuto dei contratti di appalto stipulati, che prevedevano, invece, solo prezzi a corpo o a

tutto con la presunzione finale che i prezzi cosí determinati fossero poi stati effettivamente pagati
dai committenti. La pluralità delle presunzioni utilizzate sarebbe in contrasto con le disposizioni
sopra evocate e, perciò, inficerebbe l’accertamento.
5.1.— Il motivo è inammissibile per distinte ed autonome ragioni: a) in primo luogo, il
motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza, la quale (come visto nel punto precedente 4.1.)
si basa sulla valutazione del lavoro prestato per accertare l’ antieconomicità del comportamento
dichiarato e per determinare l’effettivo imponibile; non sul fatto che i familiari del contribuente
fossero stati effettivamente retribuiti per ore lavorate e che i contratti di appalto prevedessero un
prezzo per ore di lavoro; b) in secondo luogo, il quesito prospetta, in sostanza, una nuova
ricostruzione e valutazione dei fatti, diversa da quella della sentenza, senza che venga dedotto un
vizio motivazionale.
Va poi rilevato, nel merito, che il ricorrente — al fine di contrastare la ricostruzione
dell’imponibile operata dall’ufficio ed accolta dalla CTR — fa valere l’inesistente principio del
«divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»; principio
che non è riconducibile né alle disposizioni indicate nel motivo né a qualsiasi altra norma
dell’ordinamento (infatti, come è stato piú volte sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto
accertato in base ad una o pili adeguate presunzioni può legittimamente costituire la premessa per
una inferenza presuntiva idonea — in quanto, a sua volta, adeguata — a fondare l’accertamento del
fatto ignoto).
6.— Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo, secondo, quarto e quinto motivo di ricorso; rigetta il terzo;
condanna il ricorrente a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese di lite, che si liquidano in
complessivi € 9.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, il 23 marzo 2015.

misura), ottenuti aggiungendo al costo di manodopera il 13% per costi generali e l’utile del 10%. Il

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