Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9347 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12694-2014 proposto da:

LIQUIDAZIONE DEL CONSORZIO DI 2 GRADO PER L’IRRIGAZIONE DEL POLESINE,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. BELLONI 88, presso lo studio

dell’avvocato DANIELA DAL BO, che la rappresenta e difende (in

sostituzione dell’originario difensore, avvocato GIULIO PROSPERETTI)

giusta procura speciale del 10 ottobre 2016;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE ENPAIA, in persona del Presidente e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RENATO SCOGNAMIGLIO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11255/2013 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 10/5/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/2/2017 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato FRANCESCA LATINO (delega avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO) difensore della ricorrente che si riporta agli

scritti.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1 – La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, condivisa dal collegio.

2 – Con sentenza di questa Corte n. 11255/2013 del 10/5/2013 veniva rigettato il ricorso proposto dalla Liquidazione del Consorzio di 2 grado per l’irrigazione del Polesine, gestita dal Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canalbianco, avverso la decisione della Corte di appello di Roma che, confermando la decisione del Tribunale della stessa sede, aveva respinto la domanda proposta dalla Liquidazione nei confronti della Fondazione ENPAIA per ottenere la rifusione delle somme che il Consorzio stesso aveva dovuto corrispondere a titolo di t.f.r. e di trattamento anticipato di quiescenza ai dipendenti cessati dal servizio per soppressione delle relative posizioni lavorative, sul presupposto che l’obbligazione della convenuta trovasse fondamento nella convenzione dalla medesima conclusa in data 8 gennaio 1971 con l’Associazione dei Consorzi di Bonifica, convenzione alla quale essa ricorrente aveva – aderito. Evidenziava questa Corte che la ratio decidendi dell’impugnata sentenza poggiava sul dato logico-giuridico rappresentato dal fatto che l’approvvigionamento del Fondo istituito tramite la Convenzione dell’8 gennaio 1971 era connesso alla previsione, eseguita con metodo attuariale, di una durata di cinquant’anni della contribuzione per l’intero arco della vita lavorativa dei dipendenti in forza al 31/12/1967 e dei nuovi assunti per ordinario avvicendamento (c.d. turn over), per cui tale finalità non poteva essere più rispettata nel caso di cessazione dell’attività del Consorzio, come di fatto accaduto in modo incontestato nella fattispecie, essendosi in presenza di una tipica ipotesi di impossibilità sopravvenuta rispetto alla quale la ricorrente non aveva dimostrato come fosse possibile provvedere diversamente all’alimentazione del predetto fondo. Riteneva, inoltre, che nel caso in esame non potesse legittimamente invocarsi il meccanismo previsto dalla Convenzione dell’8 gennaio 1971, istitutiva del Fondo, in base al quale la disdetta poteva considerarsi efficace solo se veniva richiesta dai predetti organismi in nome e per conto di tutti i consorzi, posto che non si versava nell’ipotesi di disdetta da parte di un consorzio, ma in quella (diversa) della cessazione di tutte le sue attività e dei rapporti con il personale per soppressione dei corrispondenti posti di lavoro.

Avverso tale sentenza la Liquidazione del Consorzio di 2 grado per l’irrigazione del Polesine, gestita dal Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canalbianco, propone ricorso per revocazione.

La Fondazione ENPAIA resiste con controricorso.

La Liquidazione ricorrente ha deposito memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

3 – Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata si fonda sull’errato assunto che le parti stipulanti la convenzione del 1971 avessero, con metodo attuariale, stabilito come congruo, a fini della resa del servizio da parte di ENPAIA, il versamento di un contributo annuale da parte dei Consorzi pari al 14% dell’ammontare delle retribuzioni annue lorde e che tale valutazione preventiva (entità del contributo annuale da versare in misura pari al 14%) fosse connessa alla previsione di una durata di cinquant’anni della contribuzione per l’intero arco della vita lavorativa dei dipendenti in forza al 31/12/1967 e dei nuovi assunti per ordinario avvicendamento. Tale assunto sarebbe basato su una erronea premessa in fatto e cioè che la percentuale del contributo annuale da versarsi all’ENPAIA da parte dei Consorzi stipulanti per alimentare il fondo fosse stata predeterminata in modo fisso ed invariabile nella misura del 14%. Così però non era, essendo pacifico esattamente il contrario e cioè che l’aliquota contributiva, solo inizialmente fissata nella misura del 14%, fosse in realtà revisionabile ai sensi dell’art. 14 della Convenzione. In assenza di tale errore di fatto, ad avviso della ricorrente, la Corte non avrebbe ritenuto provata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione in capo all’ENPAIA.

Il ricorso è inammissibile.

L’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali: vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., Sez. un., n. 7217/2009, nonchè Cass. nn. 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

Nel caso di specie, la ricorrente deduce quale preteso errore di fatto pure valutazioni di merito, sol che si consideri che l’attribuzione all’aliquota contributiva, che si assume solo inizialmente fissata nella misura fissa del 14%, della caratteristica della revisionabilità non è un fatto storico, ma un caratteristico giudizio critico che attiene alla scelta del criterio di valutazione del fatto.

Peraltro manca la decisività dell’errore. Come detto, la sentenza di questa Corte è fondata sul dato logico-giuridico secondo il quale l’approvvigionamento del Fondo era connesso alla previsione, con metodo attuariale, di una durata di cinquant’anni della contribuzione; in sostanza, la ratio decidendi è che la convenzione stipulata in data 8 gennaio 1971 tra l’Associazione dei Consorzi di Bonifica e la Fondazione E.N.P.A.I.A., prevedente il rimborso, a carico della Fondazione, delle somme anticipate dai consorzi aderenti ai propri dipendenti per t.f.r. e trattamento anticipato di quiescenza, presuppone la durata tendenziale della contribuzione per l’intero arco della vita lavorativa dei dipendenti consortili in forza al 31 dicembre 1967, nonchè dei nuovi assunti con ordinario avvicendamento, per la durata cinquantennale della convenzione, con la conseguenza che il rimborso non spetta in favore dei consorzi che abbiano anticipatamente dismesso tutte le attività, con cessazione del rapporto di lavoro con tutto il personale. Rispetto a tale ratio, non sono stati offerti elementi concreti, ai fini della suddetta decisività, per consentire di ipotizzare che una pur prevista possibilità di revisione dell’aliquota – come si assume, solo inizialmente fissata nella misura del 14% ma sottoponibile a valutazione di congruità da parte di un bilancio tecnico da redigersi ogni tre anni – avrebbe integrato una diversa alimentazione del Fondo idonea ad incidere sulla ritenuta preclusione del diritto al rimborso per la sopravvenuta anticipata dismissione di ogni attività e rapporto.

4 – Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 391 bis c.p.c., comma 3, per la definizione camerale del processo.

5 – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

6 – La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

7 – Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la Liquidazione ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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