Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9346 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19299-2015 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO

DI PALMA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Viale

Europa 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE

rappresentata e difesa dall’avvocato STELLARIO VENUTI, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7685/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/2/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza depositata in data 24/12/2014, la Corte di appello di Napoli confermava la decisione di primo grado di rigetto della domanda di C.L. intesa all’accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto stipulato con Poste, avente decorrenza dal 16.10.2007 al 20.1.2008, termine giustificato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 dal ricorrere di ragioni di carattere organizzativo e dalla necessità di far fronte alla temporanea carenza di personale di sportelleria. Il giudice di appello riteneva che l’esigenza di specifica indicazione delle ragioni organizzative dell’apposizione del termine risultasse adeguatamente soddisfatta (risultando dal contratto che la struttura di assegnazione della lavoratrice rientrava nel più ampio programma di implementazione del personale di sportelleria di cui al Piano di mobilità aziendale del 2007). Rilevava, inoltre, che l’effettiva esistenza di un piano di mobilità aziendale nel periodo ottobre 2007/febbraio 2008 era stata documentalmente provata;

– per la cassazione della decisione propone ricorso C.L. sulla base di due motivi;

– Poste Italiane S.p.A. resiste con tempestivo controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 2967 c.c., nonchè vizio di motivazione, censura la decisione impugnata per avere la Corte territoriale ritenuto specifica la causale giustificativa dell’apposizione del termine indicata dalle parti;

– con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., censura la decisione impugnata per avere ritenuto assolto l’onere probatorio gravante su Poste, in ordine alla effettività delle esigenze organizzative che avevano giustificato l’apposizione del termine. In questa prospettiva osserva che la documentazione prodotta da Poste attestava l’esistenza di un piano di mobilità aziendale in atto, non anche l’inclusione della città di Napoli e dell’ufficio di assegnazione della ricorrente in detto piano;

– il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato;

– occorre premettere che secondo quanto chiarito da questa Corte (Cass. n. 27052 del 2011; nn. 1576 e 1577 del 2010), il quadro normativo che emerge a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001 è caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti il ricorso al contratto) a tempo determinato – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Il sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno) un fondamentale criterio di razionalizzazione, costituito dall’obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tale onere di specificazione costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate; ciò, all’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, richiedendosi la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti, comporta che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede dì controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza. Con riferimento, ad esempio, alle ragioni di carattere sostitutivo, è stato in particolare precisato (Cass. n. 27052 del 2011) che il contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. in quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto – non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti – quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scopertine che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione. L’apposizione del termine per ragioni sostitutive è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (v. fra le altre, Cass. nn. 565/2012, 8966/2012, 6216/2012, 8647/2012, 13239/2012, 9602/2011, 14868/2011). Più in generale, e con riferimento alle ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo, è stato chiarito che la specificazione può risultare anche solo indirettamente nel contratto di lavoro e, ‘per relationev”, da altri testi accessibili alle parti, tra i quali gli accordi collettivi (così Cass. n. 8286/2012; Cass. n. 343/2015; Cass. n. 17155/2015);

– nel caso di specie la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto specifica la causale apposta al contratto in quanto in essa risultavano esplicitate le ragioni organizzative che avevano portato all’assunzione dell’appellante con contratto di lavoro a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni in un settore produttivo e presso un’unità operativa – entrambi puntualmente indicati – scoperti a seguito dei processi di un piano di mobilità in corso. Vi erano, dunque, tutti i dati (anche con il richiamo per relationem al Piano di mobilità aziendale di ottobre 2007) per consentire alla lavoratrice di verificare la sussistenza delle prospettate esigenze organizzative;

– tale valutazione, in quanto sorretta da motivazione congrua, ancorata ad elementi di fatto conformi alle indicazioni della giurisprudenza soprarichiamata di questa Corte, si sottrae al sindacato di legittimità;

– parimenti da respingere è il secondo motivo di ricorso con il quale parte ricorrente, pur deducendo (anche) la violazione dell’art. 2697 c.c., non censura l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, ma si limita a censurare la valutazione delle risultanze probatorie; esso è quindi inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 (Cass., sez. un., n. 8053 e 8054 del 2014, sez. un. n. 16598/2016, n. 11892/2016);

– per il resto, il motivo si risolve in una critica all’accertamento del fatto compiuto dal giudice di merito, che è insindacabile in sede di legittimità in presenza di motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053 e 8054 del 2014 cit.);

– profili di inammissibilità investono, altresì, la modalità, non autosufficiente, con la quale sono evocati i documenti di causa posti a fondamento dei rilievi svolti;

– non viene, infatti, riportato il contenuto degli atti che si asserisce inidonei a fornire la prova della sussistenza in concreto delle esigenze organizzative di cui alla causale dell’assunzione a termine;

– tale modalità di articolazione della censura si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale il rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali ed i documenti su cui esso si fonda, comporta la necessità di trascrizione del contenuto degli stessi nella sua completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza al fine di verificarne la rilevanza e pertinenza rispetto al motivo di ricorso. Il controllo di legittimità deve essere, infatti, consentito sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito (ex Cass. n. 8569/2013; Cass. n. 17015/2010; Cass. n. 18506/2006);

– ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5 per la definizione camerale del processo;

– in conclusione la proposta va condivisa e il ricorso va rigettato;

– la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società contoricorrente, delle spese processuali che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte de ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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