Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 934 del 20/01/2010

Cassazione civile sez. II, 20/01/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 20/01/2010), n.934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G. (OMISSIS), BE.GI.

(OMISSIS), B.R. (OMISSIS),

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso Io studio dell’avvocato SAVINI

ZANGRANDI LUCA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MANCINI SERGIO;

– ricorrenti –

contro

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato ALBISINNI

LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAFFICINI

FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1173/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. GOLDONI Umberto;

udito l’Avvocato SAVINI ZANGRANDI Luca, difensore dei ricorrenti che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1993, B.C., proprietaria di un fondo in (OMISSIS) confinante a nord con terreno di proprieta’ di G., Gi., M. e B.R., esponeva che costoro, nel corso degli anni, avevano edificato sul confine e non alla distanza prescritta di metri cinque, alcune baracche abusive, poi trasformate in capannoni, e conveniva i predetti di fronte al tribunale di Verona per ottenere, previa declaratoria di inosservanza delle distanze, la demolizione di quella parte dei fabbricati che fosse risultata illegittima.

I convenuti, costituitisi, opponevano che i fabbricati erano stati realizzati tra il (OMISSIS) e che pertanto avevano acquisito per usucapione il diritto a mantenerli a distanza inferiore a quella legale.

Con sentenza del 2001, l’adito tribunale dichiarava che tutti i fabbricati erano stati costruiti a distanza inferiore a quella legale e ne ordinava l’arretramento fino a tale distanza.

Proponevano appello i B., peraltro non impugnando la sentenza relativamente al garage, cui resisteva la B.A..

Con sentenza in data 24.2 – 16.7.2004. la Corte di appello di Venezia rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata, regolando le spese. Osservava la Corte lagunare che la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorieta’ a fini di condono di B.G., secondo cui almeno un fabbricato era stato ultimato nel (OMISSIS), non era stata considerata dal primo giudice una confessione, ma un elemento indiziario che, unitamente ad altri deponenti nello stesso senso, avevano indotto il primo giudice a ritenere non rigorosamente provata la data di ultimazione delle opere, come era preciso onere di chi invoca l’usucapione. Su tale base l’assenza dell’animus confitendi era irrilevante.

La mancata ammissione della prova testimoniale richiesta era giustificata in ragione della genericita’ ed inconcludenza della stessa, mentre la prova richiesta in appello, sia pure in formulazione parzialmente diversa, articolata in due capitoli, comunque per un verso generici e per altro verso contrastanti con altri elementi acquisiti di valenza probatoria maggiore, come le risultanze della CTU e la dichiarazione surricordata del B., non era ammissibile in quanto irrilevante.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di due motivi, i B.;

resiste con controricorso la B.A..

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 1158 c.c. in relazione all’usucapione del diritto reale di servitu’ di mantenere costruzioni a distanza illegale dal confine; rifacendosi ad una pronuncia di questa Corte (n. 2559 del 1973), se ne ricava il principio secondo cui il termine da cui decorre il possesso ad usucapionem nell’ipotesi di occupazione di suolo cui segua l’erezione di costruzioni decorre dal momento dell’occupazione e non da quello successivo di completamento della costruzione.

In base a tanto si assume che dall’esame aerofogrammetrico acquisito agli atti e dalle risultanze della CTU, la presenza in loco dei manufatti de quibus emergeva chiaramente fin dal 1971; era pertanto ininfluente che uno di essi, all’epoca, risultasse dalla presenza di due manufatti, poi riuniti, mentre le risultanze peritali non contraddicevano tale profilo.

In realta’, la giurisprudenza di questa Corte sul punto, e’ attestata nel senso che ai fini della determinazione del dies a quo per l’usucapione del diritto di servitu’ costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello in cui questa sia venuta ad esistenza, merce’ la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, atti a rivelare anche al titolare del fondo servente l’esistenza di uno stato di fatto coincidente con il diritto reale di servitu’ (v. Cass. 29.12.2005, n 28784, con altre precedenti). La ratio di tale principio, assolutamente condiviso, risiede nella necessita’ che l’opera sia apprezzabile dal titolare del fondo servente nella stessa sua completa entita’ e struttura.

Orbene, nel caso di specie e in tal senso va integrata la motivazione della sentenza impugnata, la controricorrente aveva assento, nell’atto introduttivo del giudizio, che sul confine arano state edificate dapprima delle baracche, con il tempo poi trasformate in capannoni; ora, tale affermazione comporta che doveva aversi riguardo al momento in cui i fabbricati non erano piu’ baracche, ma, appunto capannoni, essendo ben possibile ipotizzare che le baracche potessero non avere stabile infissione al suolo e pertanto caratteristiche non idonee a far decorrere il termine per l’usucapione.

Dall’esame aereo e dalle relative risultanze non e’ emerso che si potesse stabilire se all’epoca di effettuazione dello stesso, fossero in loco baracche o capannoni, pur essendo certo che una modifica successiva v’era stata atteso che non e’ contestato che due manufatti fossero successivamente confluiti in uno solo.

Come ha esattamente rilevato la Corte lagunare, la prova relativa alla decorrenza del termine per usucapire deve essere rigorosa e grava su chi la prescrizione invoca; a fronte di tale stato di cose, non puo’ dirsi che la prova rigorosa sia stata data e pertanto il motivo non merita accoglimento.

Con il secondo mezzo si lamenta contraddittorieta’ della motivazione in relazione alla gestione del materiale probatorio acquisito e segnatamente alla mancata ammissione della prova per testi richiesta in grado di appello.

Va in primo luogo rilevato che la dichiarazione resa a fini di condono da B.G. e secondo cui un immobile era stato costruito nel (OMISSIS) costituisce atto estremamente serio e di rilevanza ai fini dell’ottenimento del beneficio richiesto, sicche’ non puo’ pensarsi che la data ivi indicata sia stata apposta alla leggera e senza riferimento alla realta’; ancora, nei capitoli di prova manca ogni riferimento allo stato dei luoghi ed alle modificazioni che i manufatti potrebbero aver subito nel corso degli anni; v’e’ anche da aggiungere che la ultimazione di costruzioni dovrebbe risultare da una serie di elementi documentali, che sia il costruttore che il direttore dei lavori (indicati come testi) dovrebbero avere a disposizione, per cui una prova per testi, a fronte di altre emergenze processuali, aventi ben maggiore valenza, appare effettivamente inidonea al fine.

Quanto infine alla questione dei materiali usati, si puo’ convenire con la tesi secondo cui un eventuale utilizzo di essi dopo che erano usciti di produzione, peraltro ipotizzato dal CTU, sia una ipotesi improbabile; peraltro, tale ipotesi non e’ impossibile e quindi ricordato il rigore probatorio cui la usucapione e’ soggetta, devesi concludere nel senso dell’infondatezza anche di tale argomento e, con esso, del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in 5.200,00 Euro, di cui 5.000,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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