Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9334 del 28/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9334 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso 998-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE

0636691001

in persona del

Direttore Generale pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12,

presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende, ope legis;
– ricorrente contro

CUNSOLO CARMELO, CUNSOLO ENZO, CUNSOLO PAOLO nella
qualità di legali rappresentanti della società Cunsolo
Carmelo e Figli Snc;
– intimati

avverso la sentenza n.

327/16/2010

della Commissione

Tributaria Regionale di PALERMO – Sezione Staccata di

Data pubblicazione: 28/04/2014

SIRACUSA del 12.10.2010, depositata il 09/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 03/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott.

GIUSEPPE CARACCIOLO.

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Palermo ha accolto solo parzialmente l’appello dell’Agenzia, appello
proposto contro la sentenza n.84/05/2008 della CTP di Siracusa che aveva già
accolto il ricorso di Cunsolo Carmelo, Cunsolo Enzo e Cunsolo Paolo contro avviso
di accertamento per IVA-IRAP relative all’anno 2003, fondato su molteplici rilievi.
La predetta CTR ha motivato la decisione (per quanto qui ancora interessa, e cioè con
riferimento ad un unico rilievo fra quelli contemplati dall’atto di accertamento
inerente a costi che l’Agenzia aveva qualificato “di rappresentanza” e perciò solo
parzialmente deducibili) ritenendo che “i costi sostenuti per il pasto degli autisti non
sono spese di rappresentanza, essendo tali quelle sostenute per i beni distribuiti
gratuitamente.. .e i contributi erogati per l’organizzazione di convegni e simili”,
mentre i costi per i pasti degli autisti andavano imputati alle spese sostenute per la
retribuzione del personale dipendente.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
I contribuenti non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo ed il secondo motivo di impugnazione (il primo centrato sulla
violazione dell’art.112 cpc per “omessa petizione su un punto decisivo della
controversia” ed il secondo centrato sulla violazione del ridetto art.112 cpc per
ultrapetizione) la ricorrente Agenzia si duole, da un canto, per avere il giudice di
appello ignorato la censura di carente motivazione della sentenza di primo grado e,
d’altro canto, per essere la sentenza impugnata pregiudicata da “un’evidente non

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letti gli atti depositati

corrispondenza fra la domanda del ricorrente e la decisione del giudice di appello”
con riferimento ai costi di cui si tratta, che in nessun atto difensivo la parte
contribuente aveva identificato come spese per i pasti degli autisti ma solo come
“relative al pagamento dei pasti”.
Entrambi i motivi appaiono inammissibilmente formulati, ed il secondo anche

Ed infatti, quanto al primo motivo, la censura rivolta nei confronti della sentenza di
primo grado (quaerela nullitatis) non poteva che dar luogo ad una nuova pronuncia di
merito del giudice di appello, non essendo prevista nel rito vigente la pronuncia
puramente rescindente, sicché la taccia di “omessa petizione” rivolta al giudice di
appello è strutturalmente inconsistente.
Quanto al secondo motivo, la parte ricorrente non censura il giudicante per non aver
provveduto sul petitum sostanziale dedotto in giudizio dal contribuente, ma solo per
avere esuberato nel percepire i fatti da quest’ultimo narrati, attribuendo ad essi un
significato non prospettato.
Anche questo motivo è inammissibilmente formulato, inerendo alla percezione da
parte del giudicante del fatto processuale e non potendo —perciò- venire in rilievo sub
specie di violazione di norma di legge. D’altro canto, non guasta osservare che il
giudice di appello ha dato atto nella parte narrativa della sentenza che i contribuenti
avevano “fatto osservare che…..c) i costi sostenuti per il ristorante non sono
qualificabili come spese di rappresentanza, trattandosi di pasti consumati dagli autisti
dell’impresa”. Ciò implica che una diversa ricostruzione del fatto processuale
avrebbe dovuto indurre la parte ricorrente (nel rispetto del canone di autosufficienza
del ricorso per cassazione) a trascrivere i passi salienti degli atti che si prospettan
falsamente percepiti dal giudicante. In difetto di ciò, non resterebbe che predicare
comunque l’inammissibilità del motivo di impugnazione anche per questa ulteriore
ragione.
Quanto al terzo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di motivazione) con esso
la parte ricorrente si duole che il giudice di appello abbia del tutto ignorato le

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palesemente infondato.

deduzioni di parte allora appellante che aveva precisato che le spese qualificate come
“di rappresentanza” si riferivano, in realtà, “a spese di ristorazione e organizzazione
di ricevimenti”.
Anche detto motivo appare inammissibilmente proposto.
La parte ricorrente indulge sulle proprie allegazioni (delle quali il giudicante ha

giuridiche della prospettazione in fatto formulata dalla parte allora appellante) ma
non evidenzia se e come abbia comprovato in causa la fondatezza di dette allegazioni.
Non resta che concludere che il motivo è inidoneamente formulato non solo sotto il
profilo della identificazione del fatto controverso e decisivo (che non può che
attenere alle emergenze di causa e non alle pure e semplici allegazioni) ma anche
sotto il profilo della autosufficiente delineazione delle ragioni di impugnazione.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 15 settembre 2013

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che la parte ricorrente, con atto di data 26.3.2014 ha comunicato che la procedura
deve ritenersi definita ai sensi dell’art.39 comma 12 del D.L. n.98/2011, atteso che il
contribuente ha provveduto al versamento di tutte le somme dovute per la definzione
in via breve della lite;
che il Collegio, in adesione a detta istanza, ritiene che il processo debba essere
dichiarato estinto;
che le spese di lite non necessitano di regolazione.

P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il processo ai sensi dell’art.16 della legge n.289/2002.
Nulla sulle spese.

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manifestamente tenuto conto, tanto che ha riproposto in narrativa le conseguenze

Così deciso in Roma il 3 aprile 2014

Il Presidente

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