Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9334 del 07/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 07/04/2021), n.9334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Maria Margherita – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31424-2019 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7,

presso lo studio dell’avvocato D’ONOFRIO SARA, che la o rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CLAUDIO ACHILLINI 45, presso lo studio dell’avvocato LA RICCA

MARINA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1610/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di Roma con sentenza del 2/2/2006 dichiarava la nullità dei contratti a termine intercorsi tra F.S. e la Rai dal 1996 al 1999 accertando la sussistenza di un unico rapporto di lavoro, a tempo indeterminato, e condannando l’azienda a risarcire alla lavoratrice, a far data dal 2001, il danno corrispondente alle differenze retributive maturate sulla base dei parametri contrattualmente stabiliti per i dipendenti Rai inquadrati nel 4 livello;

la Rai, in esecuzione della sentenza, riammetteva al lavoro la Festa, riconoscendole l’inquadramento stabilito nel giudizio di merito;

F.S. contestava, in sede esecutiva, il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio ai fini del calcolo degli aumenti periodici di anzianità e la progressione economica di carriera prevista contrattualmente;

il Tribunale di Roma adito emetteva decreto ingiuntivo (n. 9805/2012), condannando la Rai corrispondere alla lavoratrice la somma di Euro 28.479,71 a titolo di differenze retributive maturate per il periodo trascorso dalla riammissione in servizio in esecuzione della sentenza d’appello (2/2/2006) alla data di emissione del decreto ingiuntivo (31/5/2012);

la Rai proponeva appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo, e la Corte territoriale, riformata la pronuncia del primo giudice, accertava a carico di F.S. un credito inferiore, pari ad Euro 17.087;

la Corte d’appello ha recepito le risultanze della consulenza tecnico contabile che, nell’effettuare il ricalcolo delle spettanze sulla base della qualifica di programmista regista di 3 livello, aveva rilevato come fra le voci retributive richieste dall’appellata non fosse ricompresa l’indennità di mancata limitazione orario di lavoro pari all’8 per cento, prevista dal CCNL del 2000;

la Corte territoriale ha accertato come il credito rivendicato fosse stato già corrisposto dalla Rai a F.S. ed ha condannato quest’ultima a restituire all’azienda la somma di Euro 11.783, ricevuta in eccesso al momento dell’esecuzione della sentenza in origine impugnata;

la cassazione della sentenza è domandata da F.S. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

la RAI- Radiotelevisione italiana S.p.a., già RAI – Radiotelevisione Italiana Società per Azioni, ha depositato controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente contesta “Violazione dell’art. 2099 c.c., dei CCL Rai 9 maggio 1990, CCL Rai 1995 e CCL Rai 8 giugno 2000”; la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie gli istituti retributivi contrattuali, segnatamente la cd. indennità mancata limitazione orario di lavoro di cui all’art. 12 del CCL Rai 1990, istituto trasfuso nei successivi contratti collettivi;

l’indennità mancata limitazione e variabilità degli orari di lavoro giornalieri si comporrebbe di un’indennità dell’8 per cento, che andrebbe ad aggiungersi al cd. forfait straordinari per coloro che già beneficiassero dell’indennità di cui all’art. 12 del CCNL Rai del 1999;

quanto all’ammontare, il forfait straordinari sarebbe costituito dalla differenza tra la (7) misura dell’indennità prevista dall’art. 12 del CCNL RAI del 1999 (pari al 25 per cento dello stipendio individuale e dell’indennità di contingenza) e la “nuova” indennità dell’8 per cento, contemplata a scopo perequativo dal CCNL RAI 2004-2007;

il giudice dell’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il forfait straordinari andasse calcolato nella misura dell’8 per cento, e non del 17 per cento, atteso che F.S. nel 2000 era già destinataria dell’indennità di cui all’art. 12 del CCNL Rai del 1999;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia “Nullità della sentenza per insussistenza dei requisiti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4”;

il giudice dell’appello avrebbe aderito acriticamente alla valutazione del consulente tecnico, secondo cui fra le voci richieste dalla ricorrente nel giudizio di primo grado (p. 5 sent.) non risultava compreso il cd. “forfait straordinari”;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; il decisum non avrebbe considerato la circostanza per cui F.S., alla data di sottoscrizione dell’accordo del 2000, era già beneficiaria dell’indennità di mancata limitazione orario di lavoro nella misura del 25 per cento;

il primo motivo è inammissibile;

le censure muovono dal presupposto che la Corte territoriale, in sede di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dalla Rai, abbia commesso errori interpretativi sia quanto all’applicazione delle norme contrattuali, succedutesi nel tempo, che disciplinano l’indennità di mancata limitazione e variabilità degli orari di lavoro sia quanto alla misura dell’ammontare di essa;

le doglianze sono genericamente prospettate, atteso che parte ricorrente disattendendo i principi di specificità e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 e art. 369 c.p.c., n. 6 – non ha trascritto nè prodotto il decreto ingiuntivo da cui poter evincere quali specifiche voci retributive fossero state individuate come dovute dal provvedimento;

va ribadito che il ricorso per cassazione, in ragione del principio di specificità, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

la cogenza di detto principio assume un rilievo ancor più decisivo là dove, come nel caso in esame, si controverte di un fattore retributivo inciso da una pluralità di contratti collettivi succedutisi nel tempo, con significative modifiche sia quanto ai requisiti da possedersi in capo ai beneficiari sia quanto al valore economico;

il secondo motivo è parimenti inammissibile;

la ricorrente lamenta che il giudice abbia recepito acriticamente le conclusioni del CTU, che aveva ritenuto che fra le voci richieste dal F.S. nel giudizio di primo grado, non fosse presente l’indennità di mancata limitazione orario di lavoro pari all’8 per cento;

la critica si completa nella deduzione che tale errata conclusione sia derivata dall’assenza di argomentazioni del perito d’ufficio in merito alle puntuali osservazioni del consulente di parte della F., il quale aveva contestato come l’elaborato peritale non avesse considerato la mancata corresponsione, da parte della Rai, di una serie di voci (tredicesima e quattordicesima mensilità, premi di produzione, premi di risultato, una tantum per rinnovi contrattuali, forfait straordinari);

in assenza di trascrizione o di allegazione della domanda originaria, le doglianze formulate dall’odierna ricorrente restano confinate in un alveo di genericità tale da non permettere a questa Corte di valutare la fondatezza delle critiche prospettate col secondo motivo;

in tal caso, giova richiamare il principio secondo cui la Corte di Cassazione, qualora sia richiesta di accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, si atteggia quale giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass. n. 20181 del 2019);

il terzo motivo è inammissibile;

il fatto storico, la cui mancata valutazione avrebbe inficiato la motivazione assunta dalla Corte territoriale, è prospettato in modo generico;

la ricorrente non trascrive e non produce nessuna fonte testuale o extratestuale da cui sia dato ricavare la circostanza secondo la quale, alla data di entrata in vigore dell’accordo del 2000, ella fosse già beneficiaria dell’indennità di mancata limitazione di orario di cui all’art. 12 dei CCNL Rai 1990 e 1995 nella misura del 25 per cento, così da poter rientrare nel novero dei dipendenti ai quali il CCNL del 2000 riconosceva la “nuova” indennità perequativa dell’8 per cento;

le Sezioni Unite, con sentenza n. 8053 del 2014 hanno affermato che nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nel contestare il vizio di motivazione, il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2021

 

 

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