Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9333 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. III, 04/04/2019, (ud. 09/01/2019, dep. 04/04/2019), n.9333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25631-2016 proposto da:

IMMOBILIARE PANDA, in persona del legale rappresentante pro tempore

R.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 295,

presso lo studio dall’avvocato MARIO MANCA, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO MARIACOSTA ANGELI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PADOVA

43, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MAURO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ILARIA GIANNESSI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

KARISMA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3252/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/01/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La società Immobiliare Panda s.r.l. ricorre avverso la sentenza n. 3252/2016 della Corte di Appello di Milano che, rigettando l’impugnazione proposta da detta società, ha integralmente confermato la sentenza n. 4913/2014 emessa dal Tribunale di Milano in procedimento promosso dalla stessa società nei confronti di B.M. e della società Karisma ed avente ad oggetto domanda revocatoria di compravendita.

2. Per come si evince dalla impugnata sentenza, nel giugno 2012 il Bellan aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la società Karisma s.r.l. e la società Immobiliare Panda s.r.l. per sentire dichiarare inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di compravendita stipulato il 7/06/2011 con il quale Karisma s.r.l. aveva alienato ad Immobiliare Panda s.r.l. un complesso immobiliare ubicato in (OMISSIS);

A fondamento dell’azione il B. aveva riferito che:

– era creditore per la somma di Euro 18.000,00 nei confronti della società Karisma s.r.l, come accertato con sentenza n. 94/2011 resa in data 13/01/2011 dal Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, e, vanamente esperiti i tentativi bonari per ottenere soddisfazione del proprio credito, nelle more della procedura di pignoramento presso terzi, infruttuosamente esperita, era venuto a conoscenza che la società debitrice aveva provveduto a spogliarsi di ogni bene immobile ad essa intestato, ledendo così l’integrità della garanzia patrimoniale del creditore;

– le due società convenute avevano sede legale al medesimo indirizzo e, quantomeno fino al giugno 2011, avevano un socio in comune, P.L., quale socio di maggioranza di Karisma s.r.l. e di Immobiliare Panda s.r.l. nonchè componente del consiglio di amministrazione di quest’ultima;

– detto P.L., insieme al legale rappresentante della società Immobiliare Panda s.r.l. (tale R.O.), erano stati amministratori di fatto della società Karisma, titolare del locale (OMISSIS), presso il quale aveva prestato per oltre quattro anni l’attività lavorativa (oggetto della sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano).

Si era costituita la Immobiliare Panda s.r.l., contestando integralmente quanto ex adverso dedotto e richiesto. In particolare: aveva contestato la ricorrenza della propria scientia damni, nonchè l’assoggettabilità a revocatoria del negozio, siccome posto in essere a fini solutori, ovvero al fine di estinguere un debito di Karisma s.r.l. nei confronti della Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a.. Ed aveva eccepito la litigiosità del credito dell’attore e la mancanza di prova in ordine al vantaggio che lo stesso attore avrebbe conseguito dalla dichiarazione di inefficacia, essendo gli immobili venduti gravati da ipoteche.

Era invece rimasta contumace Karisma s.r.l.

Il Giudice di primo grado – istruita la causa mediante acquisizioni documentali, interrogatorio e testi – aveva ritenuto fondata la domanda attorea, dichiarando pertanto inefficace l’atto dispositivo impugnato, sulla base delle seguenti circostanze: a) l’esistenza del diritto di credito dell’attore (portato dalla sentenza del Giudice del lavoro e poi confermato anche in grado di appello); b) il carattere pregiudizievole dell’atto dispositivo impugnato (in quanto diretto a spogliare Karisma s.r.l. dell’intero suo patrimonio, essendo stata provata l’assenza di beni residui). Il Tribunale aveva ritenuto inoltre irrilevante la sussistenza sui beni oggetto di revocatoria di ipoteche, atteso che l’azione di cui all’art. 2901 c.c. è diretta alla ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore sul patrimonio del debitore, ed aveva ritenuto anche non provata la circostanza che la vendita era stata posta in essere in adempimento di un debito verso la banca. Infine, per quanto atteneva il profilo soggettivo della scientia damni, considerato che l’atto dispositivo era stato posto in essere in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza che accertava l’esistenza del credito e che il debitore Karisma s.r.l. non poteva ignorare l’esistenza della sua esposizione debitoria (che si componeva anche di ulteriori debiti a favore di Equitalia) e l’insufficienza del suo residuo patrimonio, era stata predisposta l’istruttoria al fine di accertare i legami tra le due società convenute donde verificare la scientia damni dell’acquirente Immobiliare Panda s.r.l. All’esito di tale istruttoria il Tribunale aveva ritenuto che, al momento della compravendita, Immobiliare Panda s.r.l. fosse consapevole dell’esistenza del debito e del pregiudizio che l’atto dispositivo avrebbe arrecato alle ragioni dell’attore, ciò dimostrato, in via presuntiva, da una serie di elementi, quali: il fatto che le due società avessero la sede sociale nello stesso stabile, l’esistenza di un socio comune ad entrambe le società, l’amministrazione di fatto di P.L. e R.O. del locale (OMISSIS) (come comprovata da articoli di giornale e dichiarazione di testi), i comprovati rapporti negoziali intercorsi tra le due società in passato, nonchè, infine, il fatto che, ancora al momento della notificazione dell’atto di citazione in giudizio, la R., pur essendo legale rappresentate di Immobiliare Panda s.r.l., si qualificava come impiegata della società debitrice.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado aveva proposto appello Immobiliare Panda s.r.l. contestando la prova in ordine alla sussistenza della scientia damni in capo ad essa e contestando le ulteriori circostanze poste a fondamento della pronuncia di revoca del negozio, nonchè l’assoggettabilità a revocatoria del negozio di compravendita oggetto di revoca.

Si era costituito il B. contestando quanto ex adverso addotto in quanto infondato in fatto e in diritto, chiedendo l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

Anche nel giudizio di appello la società appellata Karisma s.r.l. era rimasta contumace.

La Corte territoriale con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha rigettato l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano ricorre la società Immobiliare Panda s.r.l..

Resiste il controricorrente B.M..

Nessuna attività difensiva viene svolta dalla società Karisma.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è affidato 5 motivi.

Precisamente la società Immobiliare Panda s.r.l.:

– con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 denuncia: violazione dell’art. 2901 c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il requisito dell’eventus damni, nonostante che non fosse stato provato che l’atto dispositivo in esame avesse determinato l’insufficienza del patrimonio (e quindi il pregiudizio per le ragioni creditorie);

– con il secondo motivo, articolato sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia: violazione degli artt. 100 e 113 c.p.c. nella parte in cui la Corte ha ritenuto sussistente il requisito dell’eventus damni, nonostante sui beni de quibus gravassero ipoteche, antecedentemente iscritte per importi considerevoli (pari rispettivamente ad Euro 366 mila e ad Euro 84,700 circa) ed assorbenti il prezzo; sostiene che il B., attore in revocazione, non aveva alcun interesse ad agire in quanto non avrebbe potuto ricavare alcun vantaggio da una azione esecutiva su beni gravati da due ipoteche, posto che i crediti da lavoro dipendente sono notoriamente assistiti da privilegio generale mobiliare ex art. 2751 bis c.c., n. 1; rileva che non era stato provato che il credito del B., in caso di esecuzione forzata sugli immobili di cui è causa, sarebbe stato certamente ed integralmente pagato; deduce che il negozio era stato posto in essere per il pagamento di debiti scaduti (tra cui addirittura ipoteche antecedentemente iscritte), come invece erroneamente escluso dalla Corte di merito;

– con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, denuncia: omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, nella parte in cui la Corte, affermando che il costo dell’atto di compravendita maggiore del credito era circostanza “del tutto inconsistente, perchè superata dalla ricostruzione generale delle relazioni intercorse tra le parti”, ha sostanzialmente omesso di considerare tale fatto; sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, tale fatto costituiva la prova documentale circa la carenza della conoscenza in capo al terzo acquirente del requisito della scientia; fa presente che fin dall’atto di costituzione nel giudizio di primo grado aveva provato di non essere a conoscenza del pregiudizio che la compravendita avrebbe potuto arrecare alle ragioni di controparte, evidenziando di aver speso per il rogito notarile la somma di Euro 23.743,77 (e cioè un importo più alto del credito vantato dall’attore in revocatoria): sarebbe stato contrario ad ogni buona pratica commerciale, osserva la società ricorrente, sostenere ingenti spese all’unico scopo di consentire ad una società terza di sottrarsi al pagamento di un credito di entità ben più modesta o comunque procedere ad un acquisto immobiliare con il pericolo di subire un’azione revocatoria da parte del creditore rimasto insoddisfatto; secondo la società ricorrente, la spesa dalla stessa affrontata per la conclusione del contratto costituiva prova logica della sua buona fede (e cioè del fatto che la società Panda, all’atto della stipula del negozio, ovvero nell’imminenza di tale stipula, non aveva avuto consapevolezza del pregiudizio che rischiava di arrecare alle ragioni del B., non avendo contezza del credito rimasto insoddisfatto);

– con il quarto motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia: violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale, argomentando con espressione tautologica (“superata dalla ricostruzione generale delle relazioni intercorse tra le parti”) ha sostanzialmente omesso di porre alla base della decisione la prova documentale del costo dell’atto ben superiore al credito;

– con il quinto motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, denuncia: violazione o falsa applicazione dell’art. 2723 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, nonchè violazione degli artt. 116 e 113 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha considerato che l’articolo del giornale (nel quale era stato intervistato il sig. P.L., soggetto che non era l’amministratore unico della società Immobiliare Panda, ma semplice interessato allo svolgimento dell’attività del locale senza nocumento) era del 2010 (e non del 2012) e non era univoco il fatto riportato in detto articolo, nonchè nella parte in cui ha erroneamente tratto da detto fatto illazioni (quali la conoscenza del debito ed il ritenere il P. quale amministratore di fatto della società acquirente); deduce che non era risultato provato che essa società conoscesse la situazione economico/finanziaria di Karisma srl (e che la conoscesse così bene da poter immaginare che la compravendita immobiliare sarebbe stata pregiudizievole per la realizzazione di un modesto credito, quale quello del B.), pur avendo avuto rapporti d’affari con Karisma, anche precedenti al contratto in esame.

In definitiva, secondo la società ricorrente, entrambi i giudici di merito (a tutela di un credito di circa 14 mila Euro) hanno revocato una compravendita di immobile, che era stata conclusa al prezzo di Euro 366 mila circa e che aveva comportato una spesa di circa 23 mila Euro, nei confronti di società terzo acquirente, che era stata ritenuta consapevole del pregiudizio tramite il sedicente amministratore di fatto P.L. (che non era il legale rappresentante della società acquirente) e di cui, anzi, era risultata provata la buona fede.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Come è noto, il patrimonio del debitore costituisce la prima garanzia dei suoi creditori. A costoro, con l’azione revocatoria (prevista dall’art. 2901 c.c.), è offerto uno strumento di reintegrazione di detta garanzia: se il debitore compie un qualche atto di disposizione del suo patrimonio, a titolo gratuito o a titolo oneroso, che rechi pregiudizio alle ragioni del creditore, questi può chiedere al giudice di merito che l’atto di disposizione a lui pregiudizievole sia dichiarato inefficace nei suoi confronti.

La conseguenza è che il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia dell’atto (che è inefficacia relativa, operante soltanto a favore di colui che ha agito per ottenerla), potrà soddisfarsi sul bene che ne aveva formato oggetto, come se esso non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore.

Il creditore, per ottenere la revocatoria dell’atto, deve provare:

– il pregiudizio che l’atto di disposizione, compiuto dal debitore, ha arrecato alle sue ragioni (il c.d. eventus damni, che costituisce un fatto oggettivo); in altri termini, il creditore deve provare che il patrimonio del debitore, a seguito dell’atto di disposizione di cui chiede la revoca, è divenuto insufficiente a soddisfare il suo credito;

– la conoscenza di detto pregiudizio (c.d. scientia fraudis, che costituisce fatto soggettivo), nel caso in cui l’atto di disposizione sia a titolo gratuito, da parte del solo debitore, e, nel caso in cui l’atto di disposizione sia a titolo oneroso, anche da parte del terzo acquirente; in altri termini il creditore deve provare che il terzo sapeva che il suo dante causa aveva debiti e che il restante patrimonio del suo dante causa era insufficiente a soddisfarli;

– nel caso in cui l’atto di disposizione del quale si chiede la revoca sia anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione (c.d. consilium fraudis, che costituisce altro fatto soggettivo), nel caso in cui l’atto di disposizione sia a titolo gratuito, da parte del solo debitore, e, nel caso in cui l’atto di disposizione sia a titolo oneroso, anche da parte del terzo acquirente; in altri termini il creditore deve provare che il debitore aveva compiuto l’atto di disposizione con la precisa intenzione di non soddisfare il credito che avrebbe successivamente assunto e che questa intenzione fosse nota al suo acquirente.

2.2. Orbene, nel caso di specie, entrambi i giudici di merito, con un percorso motivazionale coerente e sostanzialmente sovrapponibile, hanno dichiarato l’inefficacia, nei confronti del B. (creditore della società Karisma s.r.l., come accertato con sentenza resa in data 13/1/2011 dal Tribunale di Milano), del contratto di compravendita immobiliare 7/6/2011, intercorso tra la società karisma s.r.l. e la società Immobiliare Panda s.r.l.

A) In particolare, il Giudice di primo grado, in punto di eventus damni, ha rilevato: a) l’esistenza del diritto di credito dell’attore (portato dalla sentenza del Giudice del lavoro e poi confermato anche in grado di appello); b) il carattere pregiudizievole dell’atto dispositivo impugnato (in quanto diretto a spogliare Karisma s.r.l. dell’intero suo patrimonio, essendo stata provata l’assenza di beni residui). Il Giudice di primo grado ha inoltre ritenuto irrilevante la sussistenza sui beni oggetto di revocatoria di ipoteche, atteso che l’azione di cui all’art. 2901 c.c. è diretta alla ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore sul patrimonio del debitore, ed ha ritenuto non provata la circostanza che la vendita era stata posta in essere in adempimento di un debito verso la banca.

Per quanto atteneva il profilo soggettivo della scientia damni, considerato che l’atto dispositivo era stato posto in essere in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza che accertava l’esistenza del credito e che il debitore Karisma s.r.l. non poteva ignorare l’esistenza della propria esposizione debitoria (che si componeva anche di ulteriori debiti a favore di Equitalia) e l’insufficienza del suo residuo patrimonio – il Giudice di primo i grado, espletata istruttoria al fine di accertare i legami tra le due società convenute donde verificare la scientia damni dell’acquirente Immobiliare Panda s.r.l., ha ritenuto che, al momento della compravendita, Immobiliare Panda s.r.l. fosse consapevole dell’esistenza del debito e del pregiudizio che l’atto dispositivo avrebbe arrecato alle ragioni dell’attore, ciò dimostrato, in via presuntiva, da una serie di elementi, quali: il fatto che le due società avessero la sede sociale nello stesso stabile, l’esistenza di un socio comune ad entrambe le società, l’amministrazione di fatto di P.L. e R.O. del locale (OMISSIS) (come comprovata da articoli di giornale e dichiarazione di testi), i comprovati rapporti negoziali intercorsi tra le due società in passato, nonchè, infine, il fatto che, ancora al momento della notificazione dell’atto di citazione in giudizio, la R., pur essendo legale rappresentate di Immobiliare Panda s.r.l., si qualificava come impiegata della società debitrice.

B) La Corte territoriale ha preso in esame l’assunto della società Immobiliare Panda, secondo la quale non sarebbe risultata provata la sua scientia damni (contestando, in primo luogo, il ruolo di amministratori di fatto svolto da P. e R. dell’attività gestita dalla società Karismas.r.l, e rilevando incongruenze cronologiche nella motivazione della sentenza di primo grado, che avrebbe argomentato riferendosi a fatti avvenuti in un periodo di molto antecedente alla conclusione del negozio di compravendita revocato, e, pertanto, non sufficienti a fondare il giudizio di presunzione della sua in punto di esposizione debitoria di Karisma s. r. l.), ma lo ha respinto ritenendo che dall’espletata istruttoria (volta all’accertamento dei rapporti intercorrenti tra le due società Karisma s.r.l. e Immobiliare Panda s.r.l.) era risultata provata la sussistenza della scientia damni di quest’ultima per le seguenti ragioni:

– non è necessaria che sussista un’approfondita e specifica conoscenza da parte del terzo acquirente del credito per il quale viene esperita l’azione revocatoria, ma è sufficiente la generica, purchè fondata, consapevolezza dell’esposizione debitoria di Karisma s.r.l. e dell’insufficienza del patrimonio residuo di quest’ultima, tale da potersi rappresentare, in capo al terzo, il carattere pregiudizievole dell’atto dispositivo e la conseguente maggiore difficoltà e/o incertezza nel soddisfacimento delle ragioni creditorie;

– l’intreccio di relazioni sussistente tra i protagonisti della vicenda, come emerso in istruttoria, non lasciava dubbi sul fatto che non solo il debitore sapesse dell’esistenza del credito di B.M. ed avesse cognizione del pregiudizio che si sarebbe arrecato alla garanzia patrimoniale di quest’ultimo, ma che anche il terzo acquirente, odierno ricorrente, fosse a conoscenza di un tale pregiudizio: invero, le due società erano partecipate in quota maggioritaria dalla stessa persona, P.L. (anche consigliere di amministrazione della società acquirente);

– erano risultati provati gli affari che venivano conclusi dalle parti negli anni precedenti a quello di cui è causa – nel 2009 invero Immobiliare Panda s.r.l. aveva disposto a favore di Karisma s.r.l. proprio i beni per cui è processo – nonchè la comune gestione del locale notturno, di cui Karisma s.r.l. era titolare, da parte di P.L. e R.O.;

– non era vero che amministrazione del locale da parte della società Immobiliare Panda fosse avvenuta in anni precedenti alla compravendita impugnata. Invero, risaliva al 2012, e cioè all’anno dopo l’atto dispositivo, l’articolo del (OMISSIS) nel quale venivano riportate le dichiarazioni di P.L., in riferimento all’ordinanza comunale con la quale era stato imposto al locale (OMISSIS), di cui il predetto si qualificava proprietario, un orario di chiusura anticipata, e la circostanza fondava di per sè la presunzione che l’ingerenza nella gestione degli affari da parte del socio comune alle due società proseguiva;

– un insieme di elementi presuntivi attestavano il coinvolgimento di P.L. nella gestione; tra questi il suddetto articolo di giornale;

– non era risultata la circostanza che il P. aveva continuato ad amministrare il locale notturno in quanto socio di Karisma s.r.l. e pertanto direttamente interessato all’andamento dell’attività; essendo stato al contrario documentalmente provato che il P. già dal 2010 non era più in possesso di quote della società Karisma s.r.l. (come da visure camerali in atti);

– non poteva essere messa in discussione l’attendibilità dei testi: sia perchè non erano portatori di alcun interesse specifico in riferimento ai fatti per cui è causa; e sia perchè, come sostenuto dalla stessa Immobiliare Panda, questi non conoscevano direttamente il P. ed il R.;

-era errato il rilievo dell’Immobiliare Panda – secondo la quale l’accertamento compiuto dal giudice di primo grado avrebbe avuto ad oggetto fatti avvenuti molto tempo prima il sorgere del credito del B. nei confronti della Karisma s.r.l. – in quanto, ai fini della revocatoria non è necessario l’accertamento giudiziale del credito (nel caso di specie avvenuto nel gennaio 2011), ma è sufficiente anche solo la sussistenza del credito eventuale, nella veste di credito litigioso: dunque, il sorgere del credito preesiste alla sentenza che lo accerta;

– alla luce della ricostruzione generale delle relazioni intercorse tra le parti, nessun specifico rilievo poteva essere attribuito al fatto che Immobiliare Panda aveva sostenuto per il rogito notarile spese più alte del credito vantato dall’attore in revocatoria;

– l’assunto della Immobiliare Panda (secondo la quale il negozio di compravendita impugnato non era assoggettabile a revocatoria, essendo stato posto in essere da Karisma s.r.l. per il pagamento di debiti scaduti e ciò sarebbe stato comprovato dal fatto che il pagamento del corrispettivo era avvenuto tramite accolto di detto debito in favore della Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a.) non era risultato affatto provato, non avendo provato l’Immobiliare Panda nè di aver effettuato pagamenti alla banca o prodotto alcuna liberatoria emessa dalla banca a favore di Karisma s.r.l. a seguito dell’accollo, nè che Karisma s.r.l., prima della compravendita, avesse pagamenti arretrati nei confronti della banca e/o ricevuto lettere di intimazione al pagamento di rate scadute;

-in relazione all’ulteriore assunto della Immobiliare Panda (secondo la quale vi sarebbe stata carenza di interesse in capo al B. all’azione revocatoria avente ad oggetto beni ipotecati, posto che il suo credito derivava da un rapporto di lavoro dipendente ed era pertanto assistito da privilegio generate mobiliare), la Corte ha rilevato che l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l’interesse del creditore, da valutarsi ex ante – e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione di far dichiarare inefficace un atto che renda maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito. In definitiva, secondo la Corte territoriale, non esclude l’eventus damni la circostanza che i beni fossero stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo.

2.3. A fronte dell’articolato complesso motivazionale che precede, occorre in primo luogo ricordare che la valutazione delle prove, il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti (privilegiando alcune e disattendendo altre) costituiscono mancipio esclusivo del giudice di merito, sempre che questi dia contezza con motivazione immune da vizi logici e giuridici del criterio adottato (come per l’appunto si è verificato nel caso di specie).

Ciò premesso, sono inammissibili tutti i motivi di ricorso.

Inammissibile è il primo motivo: l’insufficienza del patrimonio residuo del debitore a soddisfare le ragioni del creditore ha formato oggetto di accertamento della sentenza di primo grado (p. 2 e ss.); e la relativa statuizione, in quanto non impugnata, deve intendersi coperta da giudicato.

Inammissibile è il secondo motivo: non risulta (e comunque parte ricorrente non deduce nel ricorso, come invece sarebbe stato suo onere) che l’eccezione di carenza di interesse sia mai stata sollevata nei giudizi di merito; d’altronde, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto – da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le più recenti (Sez. 3 – ord. n. 13172 del 25/05/2017, Rv. 644304 – 01), per cui non vale ad escludere l'”eventus damni” la circostanza che i beni siano stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo, atteso che l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l’interesse del creditore, da valutarsi “ex ante”, e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione, di far dichiarare inefficace un atto che impedisca o renda maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito Quanto poi all’eccezione che la compravendita sarebbe insuscettibile di essere dichiarata inefficace in considerazione delle ipoteche iscritte sul bene compravenduto, l’eccezione risulta sì essere stata sollevata in sede di merito, ma in relazione al mutuo contratto dalla società Karisma con la Cassa di Risparmio di Ferrara, per cui, per come proposta nel ricorso introduttivo del presente giudizio, è da ritenersi nuova (e, dunque, tardiva).

Inammissibile è il terzo motivo, in quanto viene denunciato il vizio di omesso esame del costo dell’atto, mentre detto elemento è stato considerato peraltro financo espressamente. Peraltro, al riguardo si osserva che la società Immobiliare Panda è addivenuta alla decisione di stipulare la compravendita per cui è causa, nonostante che sui beni compravenduti fosse stata iscritta ipoteca già da alcuni mesi (e precisamente nel marzo 2011) ad opera di Equitalia per una somma superiore a 84 mila Euro: quanto previsto in sede di Delib. 6 giugno 2011, nella quale nulla era detto in relazione alla ipoteca, è stato riprodotto integralmente in sede di rogito notarile del giorno successivo (nel quale veniva dato atto dell’esistenza dell’ipoteca).

Inammissibile è il quarto motivo, nel quale viene riproposta la censura, oggetto del terzo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, ma che si risolve in un vizio di carenza di motivazione, non più ammissibile a seguito della riforma del 2012.

Inammissibile è infine il quinto motivo. Invero ogni doglianza conseguente all’errore di datazione del contestato articolo di giornale avrebbe potuto essere fatta valere, quale vizio revocatorio, entro 30 giorni dalla notifica della sentenza di appello ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4. Peraltro, parte ricorrente deduce di aver già eccepito in appello il valore probatorio dell’articolo del (OMISSIS), ma non risulta che il valore probatorio dell’articolo del (OMISSIS) sia stato contrastato nel giudizio di primo grado. Anzi nella sentenza di primo grado si legge che le circostanze riferite negli articoli di giornale prodotti da parte attrice non erano mai stati contestati dalla difesa di parte convenuta. Quanto poi alle testimonianze assunte in primo grado, si osserva che dalla motivazione della sentenza si desume che la Corte ha ritenuto sussistente il presupposto della scientia damni in capo alla Immobiliare anche sulla base di altri elementi e, in particolare, della comprovata fitta rete di relazioni intercorrenti tra le due società.

Alle considerazioni che precedono si aggiunge il rilievo che i motivi in esame, quanto alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, non pongono alcun problema interpretativo inerente l’applicazione delle norme (che, in tesi del ricorrente, sarebbero state violate dalla Corte); quanto alla previsione di cui all’art. 360, n. 4, deducono la violazione di norme processuali, senza provare che la dedotta violazione abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito impugnata; e, infine, quanto alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non denunciano l’omesso esame di alcun fatto (inteso nell’accezione storico fenomenica, indicata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8054/2014). In definitiva, pertanto, i motivi non denunciano un vizio di legittimità, ma sono nella sostanza diretti ad ottenere un nuovo esame del merito della vicenda, nuovo esame che, come è noto, è precluso in questa sede.

3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali” sostenute dal B. e liquidate come dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo. In difetto di attività difensiva da parte della società Karisma, nulla può essere invece disposto a favore di quest’ultima.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del B. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Nulla per la Karisma s.r.l. in difetto di attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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