Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9331 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. II, 26/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 26/04/2011), n.9331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.A. (OMISSIS), B.R.

(OMISSIS), B.S. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avvocato MARINO MARIO;

– ricorrenti –

contro

B.M.R. (OMISSIS), BU.SA.

(OMISSIS), N.Q. DI PROCURATORI GENERALI DI B.G.

E TUTTI N.Q. DI EREDI DI B.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso lo studio dell’avvocato D’ANGELANTONIO

CLAUDIO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 751/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito L’Avvocato Marino Mario con procura speciale del 24/2/11

difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. D’Angelantonio Claudio con procura speciale del 22/2/11

difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 1996, A. e Bu.Sa. convenivano di fronte al tribunale di Marsala Z.A., R. e B. S., quali eredi di B.M., reclamando nei loro confronti declaratoria di sussistenza, a favore dei loro fondi ed a carico del fondo gia’ appartenuto a M., di una servitu’ di attingimento e derivazione di acque, con condanna degli stessi a ripristinare lo stato dei luoghi, onde consentire la fruizione del predetto diritto reale.

A sostegno di tale domanda, gli attori esponevano che erano stati comproprietari, con il fratello M., di consistenti beni immobili indivisi, da cui era stata stralciata la quota appartenente a M., con contestuale costituzione di servitu’ a favore dei fondi residui.

A seguito dell’atteggiamento degli eredi di M., che avevano loro impedito di fatto di usufruire della servitu’ de qua, avevano intrapreso la controversia che ne occupa. Costituitisi, i convenuti sollevavano questione di competenza a favore del Tribunale regionale delle acque, trattandosi di acque pubbliche e resistevano nel merito alla domanda attorea.

Con sentenza del 2001, l’adito Tribunale, respinta l’eccezione di incompetenza, accoglieva la domanda attorea e regolava le spese;

proponevano appello i soccombenti, cui resistevano le controparti.

Con sentenza in data 12.3/18.6.2004, la Corte di appello di Palermo rigettava l’impugnazione e regolava le spese; osservava la Corte distrettuale che la dedotta incompetenza non sussisteva in ragione della assenza di concreti presupposti che dimostrassero a norma di legge la natura pubblica delle acque in questione. Quanto al preteso vizio di ultrapetizione, la relativa doglianza si rilevava inammissibile, avendo gli stessi appellanti indicati il secondo pozzo come quello interessato dalla servitu’.

Avrebbero poi dovuto gli appellati provare la natura pubblica delle acque de quibus, mentre non risultava la effettiva portata d acqua del pozzo ne’ poteva sostenersi che da quello fosse mai stata estratta acqua.

Ancora, non sussisteva prova del lamentato errore cagionato in M. da comportamento dei fratelli; egli era infatti in grado di valutare da solo la situazione giuridica del pozzo e di accertarsi della sussistenza delle autorizzazioni necessarie, fermo il fatto che neppure la prova testimoniale assunta era stata tale da dimostrare il dolo delle controparti sul punto.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di cinque motivi, la Z. e S. e B.R.; le controparti resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta incompetenza per materia delle autorita’ giudiziarie adite a fronte della competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche, con violazione della L. 5 gennaio 1994, n 36, artt. 1 e 34.

La questione, gia’ proposta sia in primo che in secondo grado e in entrambe le occasioni respinta, non e’ fondata. Se una considerazione letterale delle norme citate potrebbe indurre a pervenire ad una conclusione drastica, secondo cui tutte le acque hanno natura pubblica, la lettura dell’intero testo normativo invocato consente di rilevare come non sia stato modificato il dettato del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1 mantenendo in realta’ fermo il concetto secondo cui l’attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse e’ elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche ad ogni specie di acqua.

E’ appena il caso di aggiungere che una diversa interpretazione porterebbe all’assurdo di dover considerare pubblica anche l’acqua piovana raccoltasi in un avvallamento del terreno, attesa la onnicomprensivita’ della dizione di cui alla L. del 1994, ove non temperata dal mancato intervento del legislatore sul T. U. del 1933 (v. in tal senso Cass. 11.1.2011, n 315).

Ancora, nelle controversie tra privati circa l’utilizzazione delle acque, questa Corte ha affermato (v. Cass. n 8048 del 2006) che la questione della pubblicita’ o meno delle stesse non rileva ai fini della competenza, trattandosi di fattispecie connotata dalla natura privatistica derivante dal rapporto tra fondi privati ai fini dell’utilizzazione delle acque contese.

Le considerazioni sin qui svolte valgono ad elidere ogni ulteriore doglianza sul punto, atteso che le stesse risolvono la questione in radice, rendendo ultronea ogni censura circa le considerazioni argomentative di cui alla sentenza impugnata.

Il secondo motivo e’ cosi’ testualmente formulato: “violazione dell’art. 112 c.p.c.(extra petizione) e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

La doglianza afferente all’extra petizione e’ inammissibile, siccome non proposta con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4; la giurisprudenza di questa Corte e’ consolidata infatti nel ritenere che si tratti di error in procedendo, che avrebbe potuto essere fatto valere unicamente con riferimento all’art. 360, n. 4 citato (v. per tutte, Cass. 27.5.2010, n 12992).

Le considerazioni svolte sul piano motivazionale poi non assumono autonoma valenza essendo riferite all’argomentare relativo al vizio di extra petizione. Il mezzo in esame non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 1346 c.c. e dell’art. 1418 c.c., comma 2, e dell’art. 112 (omessa pronuncia)c.p.c.(art. 360 c.p.c., n. 3).

Premesso che la dedotta violazione di legge e’ enunciata, ma non risulta minimamente sviluppata nel mezzo in esame, quanto al dedotto, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 vizio di omessa pronuncia, non puo’ che riaffermarsi la natura di error in procedendo del vizio stesso, donde l’inammissibilita’ della censura, siccome riferita, come gia’ evidenziato, all’art. 360, n. 3 citato.

Il quarto motivo (violazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, con riferimento agli artt. 95 e 105 T.U. del 1933) contiene la premessa secondo cui, in ordine alla questione della nullita’ della costituzione della servitu’ in ragione di un assunto silenzio della sentenza impugnata al riguardo, si contestano le considerazioni svolte sul punto dalla sentenza di primo grado.

Il motivo e’ inammissibile; l’ipotesi secondo cui la Corte distrettuale avrebbe tacitamente recepito al riguardo le motivazioni del primo giudice costituisce appunto una ipotesi, non dimostrata, e pertanto lo svolgimento di doglianze avverso la sentenza di prime cure non e’ consentita, atteso che ove effettivamente la Corte palermitana avesse omesso di pronunciarsi sul punto, altri sarebbero stati i rimedi di cui avvalersi in sede di legittimita’.

La censura rivolta alla sentenza di primo grado si appalesa priva di interesse, atteso che oggetto del presente giudizio e’ unicamente la sentenza di secondo grado, donde l’inammissibilita’ del mezzo in esame.

Con il quinto motivo, si lamenta violazione degli artt. 1439, 1337 e 1338 c.c., nonche’ vizio di motivazione circa la annullabilita’ della costituzione della servitu’ per dolo delle controparti, che avrebbero tratto in inganno il fratello circa l’esistenza della concessione per l’utilizzazione dell’acqua.

La sentenza impugnata, al riguardo, ha rilevato che B.M. era persona istruita e perfettamente in grado di curare compiutamente i propri interessi e che avrebbe dovuto e potuto quindi accertarsi personalmente della situazione amministrativa relativa al pozzo e che quindi non era ipotizzabile alcuna decisiva influenza su di lui da parte dei fratelli.

A tale tesi si contrappone che M. era assai spesso fuori sede e che alcuni documenti asseritamente da lui redatti erano risultati apocrifi, mentre erano state disattese le testimonianze di C. e Cu., che costituivano quanto meno indizio di una qualche attivita’ sviante delle controparti.

La valutazione delle prove acquisite e’ compito specifico del giudice del merito; quando, come nella specie, la valenza delle stesse viene esaminata in ragione di una analisi plausibile e non illogica, il giudice non e’ tenuto ne’ a tener conto di tutti gli elementi raccolti ne’ a specificare le ragioni per cui si privilegia un elemento probatorio rispetto ad un altro; la motivazione e’ ampia, non contraddittoria ne’ inficiata da errori giuridici e pertanto idonea ad assolvere il compito di dare contezza delle conclusioni raggiunte.

Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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