Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9331 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9331 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 18386-2011 proposto da:
MIARELLI

ASSUNTA

MRLSNT69S63I682C,

MARIA

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio
dell’avvocato MARCO DONVITO, che la rappresenta
e difende giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrentecontro

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Data pubblicazione: 08/05/2015

MILANO ASSICURAZIONI SPA 00957670151, in persona
del legale rappresentante Dott. GIANMARIO GATTA,
considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso
la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO

controricorso;
con troricorrente nonchè contro

ARCANGELI GIORGIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 18I/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/01/2011,
R.G.N. 9648/08;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 13/02/2015

dal Consigliere

Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;
udito l’Avvocato RAFFAELE BONFIGLIO per delega;
udito l’Avvocato GIAN LUCA MARUCCHI per delega;
udito il

P.M.

in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che
ha concluso per l’inammissibilità in subordine
per il rinnovo della notifica del ricorso;

CARDIA, giusta procura speciale a margine del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Assunta Maria Miarelli convenne in giudizio il medico radioterapistaoncologo – il quale chiamò in manleva la propria assicurazione – e chiese
il risarcimento dei gravi danni patiti in esito alla radioterapia, effettuata
nella fase postoperatoria di un intervento chirurgico di craniotomia e
dopo l’intolleranza manifestata alla chemioterapia. Assunse la
responsabilità del medico nella cura radioterapica e l’omissione di ogni

Ai fini che ancora rilevano nel presente giudizio, il Tribunale di Roma
escluse qualunque colpa medica in fase diagnostica e terapeutica.
Ritenne che la malattia di cui la danneggiata era affetta (mielite attinica),
che aveva comportato una invalidità permanente pari all’80 0/0, costituiva
un rischio prevedibile (pari allo 0,42%), ma non prevenibile, della terapia
radiante.
Ritenne violato l’obbligo collaterale di informazione gravante sul medico,
con lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione.
Ai fini della individuazione del danno, escluse ogni risarcimento per il
danno biologico (alla salute), stante l’assenza del nesso causale tra la
malattia e la condotta del medico, esente da ogni colpa quanto a
diagnostica e a terapia applicata.
Riconobbe quale unico danno risarcibile quello costituito dalla violazione
dell’obbligo di informazione. In ordine alla quantificazione, mise in
evidenza che non risultava provato che la danneggiata avrebbe rifiutato
la terapia se avesse conosciuto il rischio di mielite, risultando improbabile
tale assunto attore° considerata: – l’assenza di terapia alternativa,
costituendo la radioterapia già quella alternativa alla chemioterapia non
tollerata; – l’incompatibilità con la scelta di sottoporsi ad intervento
rischioso di cui la radioterapia costituiva solo una fase complementare
necessaria.
Ritenne di quantificare equitativamente la lesione del diritto alla
autodeterminazione, nella misura del 10% dell’invalidità permanente
accertata, pari a circa 88 mila euro all’attualità.
La Corte di appello di Roma, adita dalla danneggiata, respinse
l’impugnazione (sentenza del 18 gennaio 2011).

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informazione in ordine ai rischi della radioterapia.

Avverso la suddetta sentenza Miarelli propone ricorso per cassazione
affidato a due motivi, esplicati da memoria.
Resiste con controricorso la Milano Assicurazioni.
Non si difende il medico intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.La Corte di merito ha confermato l’assenza di ogni colpa medica in
ordine al trattamento radioterapico, con esclusione di ogni nesso causale

paziente, rientrando la malattia nel

range

di rischio collegato

all’esecuzione della terapia.
Ha ritenuto non provato dall’attrice, sulla quale gravava l’onere, il nesso
di causalità tra omessa richiesta di consenso e danno (alla salute) subito.
A tal fine ha rilevato la totale mancanza di prova diretta, nonché
presuntiva, sulla circostanza che se la paziente fosse stata informata del
rischio di tale malattia, avrebbe rifiutato il trattamento radioterapico. A
tal fine ha dato rilievo alla circostanza che il trattamento era stato posto
in essere, dopo la chemioterapia cui la paziente era risultata intollerante,
e quale trattamento postoperatorio di un tumore con ridotte possibilità di
sopravvivenza.
Ha escluso la riconoscibilità di un danno da mancata informazione in sé
considerato, in re ipsa, sulla base della considerazione che bisognerebbe
riconoscerlo anche nelle ipotesi in cui il trattamento senza consenso
portasse alla piena guarigione del paziente.
2. Il primo motivo, con il quale si deducono tutti i vizi motivazionali,
censura la sentenza nella parte in cui nega il danno biologico, quale
conseguenza della mancanza di consenso, per difetto di causalità tra la
condotta del medico e i danni. Mira ad ottenere il risarcimento per difetto
di consenso pari al danno biologico subito, perché se la danneggiata fosse
stata informata non avrebbe dato il consenso. Lamenta difetti
motivazionali in ordine ai fatti addotti dalla danneggiata per sostenere
che se le fosse stato chiesto non avrebbe espresso il consenso.
In particolare, la Corte di merito, secondo la ricorrente, non avrebbe
considerato alcuni indizi rivelatori del fatto che avrebbe negato il
consenso, quali che: – aveva accettato l’intervento chirurgico per il
tumore perché non le erano stati prospettati rischi sulla qualità della vita;

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tra il comportamento del medico e il danno alla salute subito dalla

- aveva interrotto la chemio per evitare danni sul midollo osseo, quindi,
avrebbe interrotto anche la terapia radio.
Il motivo non ha pregio e va rigettato.
2.1. La corte di merito, con il negare che la lesione del diritto alla
autodeterminazione comporti lesione del diritto salute in mancanza di
prova del danneggiato, anche in via presuntiva, che, debitamente

applicazione della giurisprudenza di legittimità al caso di specie. Infatti, è
stato affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui «In
tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto
terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole
dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la
salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata
informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non
imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla
salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove
compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato
l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento
dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla
salute.>> (Cass. n. 2847 del 2010; n. 16394 del 2010).
La Corte di appello ha ritenuto la totale mancanza di prova diretta,
nonché presuntiva, sulla circostanza che se la paziente fosse stata
informata del rischio di tale malattia avrebbe rifiutato il trattamento
radioterapico, dando rilievo alla circostanza che il trattamento era stato
posto in essere, dopo la chemioterapia cui la paziente era risultata
intollerante, e quale trattamento postoperatorio di un tumore con ridotte
possibilità di sopravvivenza. A fronte di tali argomentazioni, è di tutta
evidenza che quanto fatto valere come censura dalla ricorrente in questa
sede altro non è che la prospettazione di una nuova valutazione del
merito, peraltro basata su supposizioni improbabili.
3. Il secondo motivo si articola attraverso tre profili, sub lettere A), B) e
C) con articolazioni all’interno.
Tutti mirano a censurare la sentenza nella parte in cui ha confermato (sia
pure non esplicitamente) la decisione di primo grado nella parte della

s

informato, non avrebbe effettuato l’intervento, ha fatto corretta

commisurazione, in via equitativa, dei danno alla lesione del diritto di
autodeterminazione ad una percentuale del danno biologico.
Con il primo (A) si denunciano difetti motivazionali per avere la corte di
merito, rispetto a una censura di appello che criticava il criterio di
liquidazione equitativo utilizzato dal giudice del primo grado per liquidare
il danno da lesione del’autodeterminazione, negato l’esistenza di un
diritto autonomo al risarcimento diverso dal danno biologico e

Con il secondo (B), si critica la Corte di merito per aver confuso la lesione
del diritto alla salute con la lesione del diritto di autodeterminazione,
negando la autonoma risarcibilità del secondo.
Con il terzo profilo, (sub C), si assume omessa pronuncia, come difetto di
motivazione, per aver confermato il meccanismo di determinazione
quantitativa del danno all’autodeterminazione, senza esplicitare il
processo logico e senza specificare il motivo della conferma della
percentuale rispetto al danno biologico.
3.1. Il motivo, per certi versi inammissibile, va rigettato.
Se è vero che la Corte di merito ha all’apparenza negato la autonoma
risarcibilità della lesione del diritto alla autodeterminazione, è anche vero
– e lo ammette la stessa ricorrente – che ha confermato la sentenza di
primo grado che tale autonoma lesione aveva riconosciuto.
Va, quindi corretta solo la motivazione della sentenza impugnata sul
punto, atteso che costituisce principio affermato da questa Corte, e
condiviso dal Collegio, quello secondo cui «In tema di responsabilità
professionale del medico, l’inadempimento dell’obbligo di informazione
sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini
risarcitori – anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un
danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione tutte le volte in cui siano configurabilí, a carico del paziente, conseguenze
pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità
derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione
in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima
di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile,
ossia consistente in meri disagi o fastidi.» (Cass. n. 2847 del 2010).

contraddittoriamente confermato la sentenza di appello che lo liquidava.

Invece, il profilo sub C) è inammissibile risultando violato l’art. 366, n. 6
cod. proc. civ. La ricorrente non riproduce, se non sinteticamente con
l’epigrafe del motivo, né richiama, indicando le pagine dell’atto di appello,
il motivo di impugnazione che avrebbe investito il meccanismo di
liquidazione equitativa del danno. La Corte di legittimità, pertanto, non è
in grado di valutare la censura ai fini della decisività della stessa.
4. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese, liquidate sulla base

Assicurazione controricorrente.
Non avendo Giorgio Arcangeli svolto attività difensiva, non sussistono le
condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della
società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di
cessazione, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per spese,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2015

Il consigliere estensore

dei parametri vigenti, seguono la soccombenza a favore della

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