Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9331 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. III, 04/04/2019, (ud. 09/01/2019, dep. 04/04/2019), n.9331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13512–2016 proposto da:

M.M., (OMISSIS), C.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TEVERE 44, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO DI GIOVANNI, che li rappresenta e difende giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL in persona del Curatore Prof. V.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 31, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA ZOPPINI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VINCENZO DI VILIO 1 giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1880/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/01/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO E RITENUTO IN DIRITTO

1. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 1880/2016, respingendo l’impugnazione proposta dai coniugi M.M. e C.G. nei confronti del Fallimento (OMISSIS) srl, ha integralmente confermato la sentenza emessa dal giudice di primo grado nel procedimento pendente tra le parti ed avente ad oggetto la richiesta di revoca di due atti di costituzione di fondo patrimoniale.

2. Era accaduto che nel mese di aprile 2006 il Fallimento (OMISSIS) aveva convenuto in giudizio i coniugi M.- C., perchè, previo accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 2901 c.c., fosse dichiarata l’inefficacia degli atti di costituzione dei fondi patrimoniali stipulati dai convenuti con atto notarile 24 aprile 2001 (rettificato dallo stesso notaio, il 24 settembre 2002) aventi ad oggetto diversi immobili e alcuni terreni.

Precisamente il Fallimento aveva dedotto che:

– il 23 novembre 1994, il M. e la C. avevano costituito la società denominata (OMISSIS) S.r.l. (già Swish Jeans S.r.l.), con le quote, il primo, pari all’86% del capitale sociale e la seconda del 14 %;

– fino al 29 ottobre 2002, il M. e la C. erano stati amministratori unici della società; ma da quella data, a seguito delle dimissioni della C., l’assemblea dei soci aveva nominato amministratore unico il M.;

– con sentenza del 28 gennaio 2004, il tribunale di Roma aveva dichiarato il fallimento della società (OMISSIS) s.r.l.;

– il 6 febbraio 2006, il curatore del Fallimento (OMISSIS) aveva promosso azione di responsabilità nei confronti dei due convenuti, nella loro qualità di amministratori della società (poi dichiarata fallita), denunciando gravi violazioni commesse da costoro, nei periodo di gestione della società, con cui avevano procurato alla società ed ai creditori ingenti danni, calcolati in Euro 4.113.960,12;

-la costituzione di detti fondi aveva determinato il depauperamento della garanzia spettante ai creditori sul patrimonio dei convenuti, in forza della affermata sussistenza dell’eventus damni” (consistente nel decremento, ovvero nel pericolo di decremento, del loro patrimonio) e del “consilium fraudis” dei medesimi (consapevoli del nocumento prodotto ai creditori per effetto degli atti di disposizione gratuita del loro patrimonio immobiliare).

Si erano costituiti il M. e la C., che avevano contestato le deduzioni e le domande del fallimento (OMISSIS), delle quali avevano chiesto il rigetto.

Il Tribunale, in accoglimento della domanda revocatoria attorea, aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti del Fallimento, degli atti di costituzione dei fondi patrimoniali datati 24/4/2001 e 24/9/2002, condannando i convenuti al pagamento delle spese processuali.

I coniugi M.- C. avevano proposto appello avverso la sentenza del Tribunale, lamentando sotto molteplici profili l’erronea interpretazione, da parte del Tribunale, degli elementi posti a sostegno della sussistenza del consilium fraudis, contestando la sussistenza dell’eventus damni e della legittimazione passiva dell’appellante C..

Si era costituito il Fallimento, che, a sua volta, aveva contestato i motivi di appello, chiedendo l’inammissibilità del secondo motivo, in quanto introduceva una eccezione nuova rispetto al giudizio di primo grado, e del nono motivo, in quanto diretto a dimostrare l’assenza del periculum in mora, nonchè il rigetto di tutti gli altri motivi.

La Corte territoriale, come sopra rilevato, con la impugnata sentenza, respingendo l’appello proposto dal M. e dalla C., ha integralmente confermato la sentenza del giudice di primo grado.

3.Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono ricorso il M. e la C..

Il ricorso è affidato a due motivi, entrambi articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

3.1. Precisamente i coniugi M.M. e C.G., con il primo motivo, denunciano: violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.nella parte in cui la Corte territoriale ha esaminato la sussistenza dell’elemento soggettivo (conoscenza del pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione compiuta ovvero dolosa preordinazione di esso a ledere la garanzia patrimoniale), chiedendosi se la società, all’epoca degli atti di disposizione in esame, versava in una situazione critica e si erano già manifestati i segnali dell’insolvenza; mentre – poichè le ragioni di credito del Fallimento, che sarebbero state pregiudicate dagli atti di disposizione impugnati, derivavano dalla loro presunta responsabilità quali amministratori – avrebbe dovuto chiedersi se essi, all’epoca di ciascuno dei due atti di disposizione, fossero consapevoli di fatti comportanti una loro responsabilità.

Rilevano che essi erano stati chiamati a rispondere (non di debiti sociali, ma) di un debito loro proprio, derivante da atti di gestione colpevolmente compiuti in violazione della legge e dell’atto costitutivo ovvero degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale e che in sede di appello (p. 4 e p. 15) avevano anche per l’appunto dedotto che i presupposti dell’azione revocatoria avrebbero dovuto essere valutati con riguardo al compimento di condotte, attive od omissive, tali da comportare una loro responsabilità quali amministratori, nonchè con riguardo alla loro consapevolezza di un possibile debito risarcitorio per effetto di dette condotte.

Osservano che il giudice di primo grado aveva additato come fonti della dedotta responsabilità atti od omissioni collocabili nel 2002 ed aveva ritenuto la revocabilità degli atti di disposizione impugnati sulla base della loro dolosa preordinazione (con ciò ritenendo implicitamente che gli atti di mala gestio appartenevano ad un complessivo disegno volto a depauperare la società, immunizzandosi al contempo dalle conseguenze della futura azione di responsabilità).

Sostengono che la Corte territoriale, invece di correggere l’erronea impostazione della sentenza di primo grado, si era preoccupata soltanto di spostare a ritroso il momento di insorgenza della crisi della società (così non considerando che il presupposto dell’esperita azione revocatoria poteva farsi discendere soltanto dall’esistenza di condotte comportanti la responsabilità degli amministratori).

Sottolineano che tra i due atti di destinazione di beni a fondo patrimoniale erano intercorsi 17 mesi, durante i quali la situazione dei conti sociali aveva subito una considerevole evoluzione in senso negativo e che soltanto negli ultimi mesi di tale periodo si collocavano le specifiche operazioni dalle quali si voleva far scaturire la loro responsabilità quali amministratori, per cui essi non potevano avere la medesima percezione di una loro ipotetica responsabilità in tal senso con riferimento ad entrambi gli atti.

3.2. I ricorrenti con il secondo motivo denunciano altresì: violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto suscettibili di revocatoria anche il primo atto di disposizione (quello compiuto nell’aprile 2001 e riguardante beni dotati di qualche pregio), nonostante che le condotte ad essi addebitate quali amministratori si collocavano in epoca successiva e nonostante che la sentenza impugnata ha fatto riferimento all’anteriorità dei lamentati atti di mala gestio rispetto soltanto al secondo atto di disposizione (compiuto nel settembre 2002 e riguardanti beni pressochè irrilevanti).

Osservano che la Corte, ritenendo implicitamente che il primo atto di costituzione di fondo patrimoniale fosse frutto di dolosa preordinazione del lamentato pregiudizio alle future ragioni creditorie (derivanti dalla dedotta responsabilità degli amministratori) avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatto che entrambi erano stati assolti in sede penale dai reati fallimentari per difetto dell’elemento soggettivo.

4.Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS), che in vista dell’odierna adunanza, deposita memoria a sostegno delle proprie ragioni, facendo presente che in data 14 novembre 2018 ha ricevuto la notifica di un avviso ex art. 498 c.p.c. con cui la Siena NPL 2018 srl ha ad esso reso noto di aver sottoposto a pignoramento immobiliare alcuni beni, di proprietà della sig.ra C.G., ricompresi nel fondo patrimoniale oggetto della domanda revocatoria per cui è processo.

5. Il ricorso è improcedibile.

Ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 1 il ricorrente deve depositare l’originale del ricorso per cassazione entro 20 giorni dalla notificazione, a pena di improcedibilità dello stesso.

Orbene, nel caso di specie, come rilevato dal Fallimento contro ricorrente e verificato dal Collegio in camera di consiglio, il ricorso è stato depositato nella Cancelleria di questa Corte in data di giovedì 9 giugno 2016, oltre il termine di 20 giorni dal perfezionamento della sua notifica al Fallimento contro ricorrente (avvenuta a mezzo posta elettronica certificata in data di giovedì 19 maggio 2016).

Alla improcedibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, sostenute dal Fallimento contro ricorrente e liquidate in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara improcedibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, sostenute dal Fallimento controricorrente, spese che liquida, in Euro 6.000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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