Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9330 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. II, 26/04/2011, (ud. 04/03/2011, dep. 26/04/2011), n.9330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.S. e T.M.G., rappresentati e difesi

per procura in calce al ricorso dagli Avvocati Raia Giuseppe e Elvira

Gambino, elettivamente domiciliati presso io studio dell’Avvocato

Girolamo Lauricella in Roma, via Leonforte n. 6;

– ricorrenti –

contro

M.R., residente a (OMISSIS), rappresentata e

difesa per procura a margine del controricorso dagli Avvocati Lo

Giudice Vincenzo e Vicenzo Greco, elettivamente domiciliata presso lo

studio del secondo in Roma, via Federico Cesi n. 21;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 789 della Corte di appello di Palermo,

depositata il 3 giugno 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4

marzo 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.D. convenne in giudizio A.S. e T. M.G. esponendo che con atto notarile del 22 giugno 1988, unitamente alla propria moglie G.R., aveva donato ai convenuti la propria casa di abitazione sita in (OMISSIS), con obbligo per i donatari di assistere e servire i donanti per tutta la loro vita e di sostenere le spese per i loro funerali e sepoltura, stabilendo espressamente che il venir meno anche di una sola di tali obbligazioni avrebbe comportato la risoluzione di diritto dell’atto di donazione, e che, deceduta la propria moglie, dopo pochi giorni dall’atto, i donanti avevano rifiutato di sostenere le spese funerarie e di sepoltura, che pertanto egli stesso aveva dovuto affrontare. Tanto precisato, chiese che la donazione fosse dichiarata risolta in ragione dell’inadempimento dei donatari.

I convenuti si opposero alla domanda, sostenendo di essersi offerti di pagare le spese funerarie e di sepoltura ma che l’offerta era stata rifiutata dal M., che li aveva anche estromessi dalla casa.

Deceduto l’attore, con distinto atto di citazione A.S. e T.M.G. chiesero a M.R., erede universale di M.D., il rilascio dell’abitazione loro donata ed il pagamento dei frutti.

Riunite le cause, il Tribunale di Agrigento le decise rigettando la domanda di risoluzione della donazione e condannando M. R. al rilascio dell’immobile e A.S. e T. M.G. al pagamento in favore della convenuta della somma di L. 5.297.000.

Proposto appello principale dalla M. e incidentale da A. e T., con sentenza n. 789 del 3 giugno 2005 la Corte di appello di Palermo, in totale riforma della decisione di primo grado, dichiaro’ la risoluzione dell’atto di donazione per inadempimento dell’onere e, per l’effetto, rigetto’ anche la domanda dei donatari di rilascio dell’immobile. A sostegno di tale decisione, la Corte, premesso in fatto che l’attivita’ di assistenza dei donatari era iniziata solo qualche giorno prima dell’atto, il che ne escludeva l’intento remuneratorio, affermo’ che l’atto di donazione prevedeva un onere di assistenza e di esborsi a carico dei donatari che essi non avevano adempiuto per loro colpa, sicche’ del tutto legittimamente il donante si era avvalso della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto stesso.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 17 ottobre 2005, ricorrono A.S. e T.M. G., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso M.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 770 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato la risoluzione della donazione per asserito inadempimento dell’onere.

Sostengono al riguardo i ricorrenti che l’atto di donazione per cui e’ causa aveva, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a qua, una prevalente natura remuneratoria, oltre che modale, come riconosciuto dalla stessa M.R. nel proprio atto di appello e come risultava dallo stesso atto, in cui la cessione del bene era motivata dalla “considerazione dei servizi gia’ ricevuti e da ricevere” dai donatari, atteso che l’assistenza degli stessi in favore dei donanti risaliva al 1983. La Corte territoriale non ha a tal fine considerato che. ai fini del carattere remuneratorio della donazione, occorre far riferimento solo all’intenzione del donante e che esso non rimane escluso dalla sproporzione del valore del donatimi rispetto ai servizi resi dal donatario ne’ dall’eventuale apposizione di un onere o modus. Il motivo e’ infondato.

La Corte territoriale ha dichiarato risolta la donazione per inadempimento dell’onere di assistenza previsto dall’atto e per la cui inosservanza era espressamente stabilita la risoluzione di diritto del contratto. La statuizione di risoluzione impugnata prescinde pertanto, nelle sue premesse giuridiche, dalla natura remuneratoria o meno della donazione, incentrandosi invece sul carattere modale della stessa. In base alla disciplina dettata dal codice civile, del resto, la donazione remuneratoria ha si una disciplina particolare per determinate effetti, non essendo revocabile per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli (art. 805), non comportando obbligo di alimenti (art. 437) e rispondendo il donante anche per l’evizione (art. 797), ma per tutto il resto segue la disciplina generale della donazione. Ne’ il ricorso illustra le ragioni per cui, premessa l’incontestata apposizione dell’onere e la previsione della risoluzione dell’atto in caso di suo inadempimento, la concorrente natura remuneratoria della donazione impedirebbe l’operativita’ della clausola risolutiva espressa ritenuta operante ed applicata dal giudice.

A cio’ si aggiunga che l’esclusione del carattere remuneratorio dell’atto appare motivato dal giudice in forza di un accertamento di fatto che ha negato che i donatari avessero prestato assistenza ai donanti in epoca precedente alla donazione per un lasso di tempo apprezzabile ad evidenziare l’intento remunerativo, accertamento che non risulta censurato dai ricorrenti. La stessa previsione della risoluzione dell’atto per inadempimento dell’onere smentisce poi l’assunto della prevalenza nel contratto dell’intento remunerativo.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1456 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto valida la clausola risolutiva espressa contenuta nell’atto di donazione. Tale clausola, infatti, ad avviso dei ricorrenti, e’ del tutto incompatibile con il carattere remuneratorio della donazione e doveva essere interpretata, nel caso di specie, come mera clausola di stile, come tale priva di reale efficacia. Si aggiunge che l’inadempimento de modo apposto in una donazione non puo’ portare alla risoluzione di diritto dell’atto in forza di clausola risolutiva espressa, in quanto l’ordinamento ha voluto sottrarre la donazione alla disciplina generale dettata in materia di risolubilita’ del contratto.

Infine i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui li ha ritenuti inadempienti agli obblighi derivanti dall’onere posto a loro carico. Anche questo motivo e’ infondato.

Gli stessi ricorrenti ammettono che la donazione per cui e’ causa era remuneratoria e modale, affermazione da intendersi nel solo senso logico possibile che essa era remuneratoria per il passato e modale per il futuro. Questa qualificazione dell’atto e’ di per se’ sufficiente ad escludere la tesi del ricorso circa l’inapplicabilita’ della disciplina della donazione modale, la quale – rispondendosi cosi’ anche alla seconda censura – prevede espressamente la risoluzione della donazione in caso di inadempimento dell’onere, se espressamente prevista nell’atto.

In ordine poi all’assunto secondo cui la previsione contrattuale che prevedeva, com’e pacifico, la risoluzione della donazione per inadempimento del modus fosse una mera clausola di stile, va osservato che il relativo accertamento del giudice di merito, che ha invece affermato l’effettivita’ della clausola, costituisce apprezzamento di fatto, censurabile in cassazione solo sotto il profilo della violazione delle norme interpretative del contratto e del difetto di motivazione, vizi che nella specie il ricorso non solleva.

Inammissibile appare, infine, la censura che contesta l’accertamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza dell’inadempimento dell’onere da parte dei donatari, dal momento che esso introduce un sindacato di fatto non consentito in sede di legittimita’ se non sotto il profilo della sufficienza e congruita’ della motivazione.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 4 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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