Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9330 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/04/2017, (ud. 09/03/2017, dep.11/04/2017),  n. 9330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8992/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENFRALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI

8, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO DELLA VALLE che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2512/28/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA – SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata

il 25/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di C.A. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia Sez. Staccata di Taranto depositata in data 25/11/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento emesso per IRPEF dovuta in relazione all’anno 2007 – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame della contribuente, ritenuto ammissibile e tempestivo stante a mancata comunicazione al difensore della parte dell’udienza di discussione del ricorso e del successivo deposito della sentenza (cosicchè la parte era venuta a conoscenza della sentenza di primo grado solo a seguito della successiva notifica della cartella di pagamento), essendo giustificata l’applicazione della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., hanno dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, con rimessione della causa alla C.T.P. di Taranto per la rinnovazione del giudizio.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; la controricorrente ha depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 31 e 3, 49 e 51, nonchè la falsa applicazione del D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 59 e art. 161 c.p.c., comma 1 e art. 327 c.p.c., avendo la C.T.R. ritenuto che in ogni caso l’omissione delle comunicazioni dell’avviso di trattazione dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado consentisse di impugnare tardivamente oltre ii termine ungo di cui all’art. 327 c.p.c., anzichè dichiarare inammissibile il gravame.

2. La censura sollevata in ricorso è fondata.

Nel processo tributario, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, presuppone che la parte dimostri l'”ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali e all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa e il principio di certezza delle situazioni giuridiche. Nè assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato” (Cass. n. 23323 del 2013; Cass. 23545/2015; Cass. n. 16004 del 2009).

Ancora questa Corte ha, di recente, ribadito che “il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2, trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, nè requisito di efficacia” (v. Cass. 7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003).

E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, a seguito della L. n. 69 del 2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo, Cass. 12544/2015; Cass. 8715/2014; Cass. 3277/2012).

Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr. Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte” e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013,che, subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza” previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione dell'”ignoranza del processo”, dovendo la parte fornire prova di “non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, nè tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”.

3. Sono manifestatamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla controricorrente in memoria, anche con riferimento al contrasto asserito con l’art. 6, comma 1 della CEDU, sia riguardo al combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, art. 327 c.p.c., comma 2 e art. 153 c.p.c., comma 2, sia riguardo all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 380 bis c.p.c., commi 1 e 2, nel testo in vigore dal 30/10/2016.

3.1. Invero, quanto alla prima questione, va richiamato quanto già statuito da questa Corte (Cass. 23323/2013), in ordine ai profilo della piena conformità ai principi costituzionali e all’ordinamento comunitario dell’interpretazione, seguita anche da questo Collegio, sui limiti rigorosi di ammissibilità dell’impugnazione tardiva, in quanto “diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difese e il principio di certezza delle situazioni giuridiche”. In simili ipotesi sono stati esclusi, in concreto, sia un contrasto con la Costituzione o la CEDU, “per inesistenza di qualsiasi minus ai diritti di difesa e di uguaglianza sanciti dagli artt. 3, 24 e 113 Cost., stante la conoscenza del processo e, quindi, la possibilità per la parte di attivarsi a tutela dei propri diritti”, sa l’esistenza “di una incompatibilità puntuale con la normativa sovranazionale, CEDU o unionale” (Cass. n. 4457/2017; Cass. n. 13727/16; Cass. n. 919 del 2015; Cass. n. 19049 del 2014; Cass. n. 23323 del 2013; Cass. n. 11114 del 2008, restando invece isolato il difforme precedente di Cass. n. 6048 del 2013).

Questa Corte (Cass. 25320/2010; Cass. 16032/2015; Cass. 2046/2017) ha peraltro già ribadito più volte che il diritto comunitario, così come costantemente interpretato anche dalla Corte di Giustizia (sentenze del 3 settembre 2009 in C-2/08 e del 16 marzo 2006 in C-234/04)” non impone ai giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi assolutamente eccezionale di discriminazione tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno ovvero di pratica impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario.

3.2. Quanto poi alla questione correlata alla Novella introdotta con la L. n. 197 del 2016, sul procedimento camerale ex artt. 375 e 380 bis c.p.c., questa Corte si è già pronunciata con ordinanza n. 395/2017: “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. – dell’art. 380-bis c.p.c. (nel testo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), costituendo non irragionevole esercizio del potere legislativo di conformazione degli istituti processuali la scelta di assicurare un contraddittorio solo cartolare alla decisione, in sede di legittimità, di questioni prive di rilievo nomofilattico, all’esito di una mera proposta di trattazione camerale da parte del consigliere relatore che, in quanto semplice ipotesi di esito decisorio, non è vincolante per il collegio, il quale, pertanto, ove intenda porre a base della decisione una questione rilevata d’ufficio, può ripristinare l’interlocuzione delle parti secondo il paradigma dell’art. 384 c.p.c., comma 3, deponendo in tal senso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dello stesso art. 380-bis c.p.c.”.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata senza rinvio, in quanto il giudizio non poteva proseguire, stante l’inammissibilità dell’appello.

In considerazione del solo recente consolidamento della giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, senza rinvio; dichiara integralmente compensate tra e parti e spese del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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