Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9329 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. III, 04/04/2019, (ud. 17/12/2018, dep. 04/04/2019), n.9329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12184-2017 proposto da:

P.P.L., P.D., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA VALPOLICELLA 12, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

PROVINI, rappresentati e difesi dall’avvocato ARCANGELO MAURIZIO

PASSIATORE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

E DISTRIBUZIONE SPA, in persona del suo procuratore Avv.

T.R., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati GAETANO

GRANDOLFO, VITO RIZZI giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 94/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di

TARANTO, depositata il 13/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Nel 2010, P.L. e P.D. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto – Sezione distaccata di Manduria, l’Enel distribuzione S.p.a., deducendo che, in occasione di lavori di ampliamento e ristrutturazione della palazzina di loro proprietà, sita in (OMISSIS), avevano chiesto alla società convenuta di provvedere alla rimozione di cavi elettrici e staffe di sostegno che deturpavano le facciate dell’edificio, causando lesioni, con infiltrazioni ed umidità, ed impedendo la corretta esecuzione dei lavori; che l’Enel aveva provveduto tardivamente e solo parzialmente a quanto richiesto, omettendo di rimuovere staffe, ganci e chiodi dalle facciate; che la stessa società aveva preteso che gli attori si accollassero il costo di scavo per l’interramento dei cavi. Chiesero pertanto la condanna della convenuta al risarcimento dei danni in via contrattuale o extracontrattuale nell’importo quantificato in sede di ATP ante causam, nonchè il rimborso dell’importo pagato indebitamente per lo scavo di interramento dei cavi.

All’udienza di prima comparizione si costituì l’Enel Distribuzione S.p.a., la quale chiese il rigetto della domanda, precisando di essersi attivata immediatamente per ottemperare a quanto richiesto, attendendo dapprima la necessaria disdetta della fornitura di energia elettrica da parte dei locali commerciali situati al piano terra del fabbricato e, successivamente, richiedendo al Comune di Manduria l’autorizzazione allo scavo finalizzato all’interramento degli scavi. Contestò inoltre la propria responsabilità sostenendo che gli attori, in previsione dei lavori sul fabbricato di loro proprietà, avrebbero dovuto provvedere a richiedere la rimozione dei cavi con maggiore anticipo, considerando i tempi burocratici del Comune per il rilascio delle eventuali autorizzazioni. Dedusse inoltre che, in sede di ATP, il c.t.u., – benchè gli fosse stata rappresentata dal c.t.p. dell’Enel la circostanza che il fabbricato attoreo era interessato da un duplice impianto elettrico, uno dei quali relativo alla pubblica illuminazione, di proprietà comunale da oltre vent’anni – aveva omesso gli accertamenti circa la proprietà dei manufatti di cui era stata chiesta la rimozione.

Il Tribunale di Taranto Sezione distaccata di Manduria, con la sentenza n. 151/2012, accolse le domande attoree.

In particolare, il Tribunale ritenne che dalla espletata istruttoria emergessero i danni ed il degrado generati dalla presenza sulle facciate dell’edificio attoreo di chiodi, staffe e ganci di sostegno dei cavi elettrici e di buchi conseguenti alla loro parziale riduzione.

Secondo il giudice di primo grado, non poteva esservi alcun dubbio circa l’appartenenza all’Enel S.p.a. dei cavi (e quindi anche dei sostegni degli stessi cavi), in quanto dall’ATP emergeva che la stessa società convenuta si era occupata di rimuovere le cassette di derivazione ed i cavi, che erano stati interrati (pur senza provvedere a rimuovere le staffe ancora presenti sulle facciate dell’edificio e a ripristinare le buche tracce-canalizzazioni murane).

Al riguardo, il primo giudice rilevò inoltre che la Enel S.p.a. non aveva fornito alcuna prova dell’assedia cessione dell’impianto elettrico al Comune di Manduria, non avendo prodotto il correlativo atto, necessario al fine di valutare l’esistenza, la consistenza e i limiti della cessione e della sua stipulazione, ad es. se antecedente o successiva ai lavori, al fine di verificare la sussistenza di elementi idonei a trasferire ad altri, anche solo parzialmente, la legittimazione Passiva.

Infine, il Tribunale accertò la responsabilità dell’Enel, per essersi tardivamente attivata nonostante le sollecitazioni del P., come emergeva dal fatto che la stessa società aveva chiesto l’autorizzazione all’interramento dei cavi solo un anno dopo aver ricevuto la richiesta.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Lecce con la sentenza n. 94/2017 depositata il 13 marzo 2017.

La Corte, rilevato che l’Enel aveva contestato sin dalla comparsa di risposta la titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio (sostenendo che le staffe di ancoraggio che, a detta dei P., avrebbero provocato le infiltrazioni all’immobile, non fossero di sua proprietà, ma di proprietà del Comune di Manduria), ha ritenuto che gli attori, nel giudizio di primo grado, non avessero assolto all’onere della prova, su di essi incombente, di fornire la dimostrazione certa dell’appartenenza delle suddette staffe all’Enel, avendo anzi riconosciuto il legale degli stessi attori, in sede di sopralluogo nel corso del procedimento di atp, che gli impianti, sebbene originariamente appartenuti all’Enel, erano poi divenuti di proprietà del Comune.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione, sulla base di otto motivi, gli avv.ti P.L. e P.D..

3.1. Resiste con controricorso la E-distribuzione S.p.a.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo, i P. lamentano la “violazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 99 e 112c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2″, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: formazione del giudicato interno del capo autonomo della sentenza di primo grado relativo alla condanna di Enel Distribuzione S.p.a.”.

L’appello proposto da Enel Distribuzione S.p.a. non avrebbe riguardato il capo, autonomo, della sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda dei P. circa il rimborso della somma versata per lo scavo di interramento dei cavi elettrici, in quanto costo gravante sull’Enel.

Ciò sarebbe dimostrato dalla circostanza che, nelle conclusioni dell’atto di appello, la società aveva richiesto la riforma parziale della sentenza impugnata ed il rigetto della sola domanda di risarcimento dei danni.

Di conseguenza, come tempestivamente eccepito dagli appellati, su tale capo della sentenza si era formato il giudicato.

Illegittimamente, quindi, la Corte d’appello aveva riformato integralmente la sentenza di prime cure, anche relativamente al capo passato in giudicato. Rispetto a quel capo, peraltro, non era mai stata in discussione la legittimazione passiva dell’Enel, la quale era pacificamente stata destinataria del pagamento.

Il motivo è fondato.

Contrariamente a quanto sostiene la controricorrente, dal PQM della sentenza emerge che la Corte d’appello abbia proceduto all’integrale riforma della sentenza di primo grado, senza attenersi ai limiti posti dall’effetto devolutivo del gravame.

Nè risulta che il capo della sentenza relativo al rimborso dell’importo pagato per lo scavo di interramento dei cavi elettrici sia implicitamente, connesso a quello censurato, relativo al risarcimento del danno causato dalle staffe di ancoraggio presenti sulla facciata.

4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1 e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; omessa pronuncia sulla eccezione tempestiva proposta dagli appellati, di inammissibilità dell’atto di appello in ordine alla legittimazione ed alla titolarità passiva di Enel Distribuzione S.p.a., per mancata impugnazione con uno specifico motivo delle plurime ratio decidendi della sentenza di prime cure”.

La sentenza di primo grado avrebbe ritenuto sussistente la legittimazione passiva dell’Enel S.p.a. sulla base di due distinte ragioni idonee di per sè a sorreggere autonomamente la decisione: da un lato, la mancata dimostrazione da parte della stessa Enel dell’asserita cessione dell’impianto al Comune di Manduria – ragione poi impugnata in appello; dall’altro lato, l’esistenza della prova positiva della titolarità passiva del giudizio da pare di Enel sulla base del fatto concludente della rimozione dei cavi, dei chiodi e delle cassette di derivazione da parte della stessa società.

Di conseguenza, la Corte d’appello, come eccepito dagli attori, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello.

In ogni caso, la Corte sarebbe stata tenuta a motivare e rispondere in ordine alla suddetta eccezione di inammissibilità.

Il motivo è fondato.

Il Tribunale ha fondato la propria decisione su una duplice ragione, costituita sia dal difetto di prova circa la cessione della proprietà dell’impianto al Comune di Manduria, sia dalla sussistenza della prova presuntiva della proprietà dei manufatti da parte dell’Enel, desumibile, secondo il primo giudice, dalla circostanza che la stessa società si era occupata di rimuovere le cassette di derivazione ed i cavi, che erano stati interrati.

Queste due circostanze vengono dal giudice assunte a distinte, autonome ed autosufficienti giustificazioni della decisione.

Orbene, alla luce di tale motivazione, era onere degli appellanti impugnare entrambe queste ragioni decisorie.

Rileva, in proposito, il fermo indirizzo di legittimità secondo cui “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. I Sent., 27/07/2017, n. 18641).

Nel caso concreto, l’appellante si era limitata ad impugnare la ratio relativa alla spettanza dell’oliere della prova circa l’asserita cessione della proprietà dell’impianto, senza contestare l’argomento – pure espressamente considerato dal giudice di primo grado – secondo cui vi era comunque la prova della titolarità di tale impianto in capo all’Enel, in considerazione del fatto che la stessa si era attivata per la rimozione di parti dello stesso.

Pertanto, quand’anche fossero state fondate le censure sollevate con l’appello, la sentenza di primo grado non avrebbe comunque potuto essere riformata, trovando essa fondamento nella ritenuta sussistenza della prova della titolarità dell’impianto da parte dell’Enel, Circostanza, quest’ultima, sulla quale – stante la mancata specifica impugnazione – si era ormai formato il giudicato.

Di conseguenza, a fronte della carenza di interesse dell’appellante all’accoglimento delle altre censure, la Corte avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’impugnazione in parte qua.

4.3. Con il terzo motivo, i P. lamentano la “violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4: nullità della sentenza per motivazione perplessa, apodittica ed apparente, contraddittorietà ed illogicità manifesta, che impedisce il controllo della effettiva ratio decidendi circa la ritenuta mancanza di prova della titolarità passiva della situazione controversa in giudizio in capo ad Enel Distribuzione S.p.a.”.

Mancherebbe nella parte motiva della sentenza della Corte territoriale una coerenza logica e sistematica tale da permettere di desumere l’effettiva ratio decidendi della decisione di accoglimento dell’appello.

In particolare, la Corte di merito, pur avendo premesso (richiamando però un decisum inconferente) che il difetto di titolarità passiva, in quanto questione attinente al merito, non sarebbe mai rilevabile d’ufficio e sarebbe soggetta alle normali regole e preclusioni dettate per il processo civile, dovendo essere tempestivamente formulato, avrebbe poi concluso, in antinomia con quanto premesso, che il difetto di titolarità sostanziale del rapporto sarebbe mera difesa in quanto tale rilevabile d’ufficio, disponendo la riforma della sentenza di primo grado nonostante l’Enel si fosse costituita tardivamente solo alla prima udienza di comparizione e la preclusione fosse stata eccepita sin da quella udienza e anche in appello da parte dei ricorrenti.

Inoltre, la Corte si sarebbe limitata a richiamare orientamenti giurisprudenziali tra loro contraddittori e astratti., omettendo di operare una specifica valutazioni sui fatti rilevanti di causa.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difesa, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Pertanto, non vi è alcuna contraddizione nella sentenza impugnata per aver rigettato la domanda dei P. per difetto di titolarità passiva dell’Enel, nonostante quest’ultima avesse sollevato tale eccezione costituendosi tardivamente solo alla prima udienza di comparizione, ma comunque prima dell’esaurimento della fase della trattazione.

4.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la “motivazione incongrua, illogica, perplessa e contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 su un fatto decisivo controverso nel giudizio, in ordine al contenuto della dichiarazione resa in sede di operazioni peritali dal procuratore degli attori ai fini della legittimazione e della titolarità passiva nel giudizio di Enel Distribuzione S.p.a.”.

Dalla dichiarazione resa in sfide di sopralluogo di ATP dal procuratore dei P. non si potrebbe inferire quanto dedotto dalla sentenza impugnata ai fini della prova della mancata titolarità passiva in capo ad Enel Distribuzione.

In realtà il senso letterale logico di tale dichiarazione sarebbe stato quello, contrario, secondo cui l’Enel era legittimata passiva perchè le lesioni causate dagli impianti erano risalenti al periodo in cui la proprietà degli stessi impianti era dell’Enel, mentre il passaggio al Comune sarebbe avvenuto solo in tempi recenti.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei precedenti.

4.5. Il quinto, sesto e settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente.

Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la “falsa applicazione dell’art. 1218 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, con riguardo ai corretti criteri di governo dell’onere della prova in materia contrattuale e del principio di vicinanza della prova, in relazione alla titolarità passiva di Enel Distribuzione S.p.a.”.

La sentenza di primo grado. in accoglimento delle domande degli attori, avrebbe qualificato in termini contrattuali la responsabilità di Enel Distribuzione. La società, nel suo atto di appello, non avrebbe articolato gravame sul punto. Di conseguenza, ferma la natura contrattuale della responsabilità di Enel, la Corte d’appello avrebbe violato le regole sul riparto dell’onere della prova, in forza dei quali sarebbe stata la società convenuta in giudizio a dover fornire la prova di aver adempiuto tempestivamente alla rimozione degli impianti (non solo delle staffe). In particolare, richiedendo che fossero i P. a dover provare la presunta cessione della rete da Enel al Comune di Manduria, sarebbe stato violato il criterio della vicinanza alla prova.

Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di fatti decisivi controversi evidenziati nella sentenza di primo grado, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa la prova sulla titolarità passiva del rapporto controverso in capo ad Enel distribuzione S.p.a. secondo i criteri di cui all’art. 2727 c.c. art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.”.

La Corte di merito non avrebbe esaminato fatti concludenti decisivi idonei ad assurgere a prova piena della legittimazione dell’Enel e della titolarità passiva del rapporto da parte della stessa, consistenti:

– nel fatto che all’atto del sopralluogo in sede di ATP tutti i cavi elettrici, tiranti e cassette di derivazione sulla facciata dell’immobile degli attori fossero già stati rimossi dell’Enel, che avrebbe dimostrato che l’immobile dei P. non era interessato dall’appoggio di corpi illuminanti di proprietà di atro ente e che l’Enel aveva la responsabilità della manutenzione degli impianti, staffe comprese, di cui doveva rispondere;

– nel fatto incontestato che Enel fosse società destinataria del pagamento delle spese di spostamento e di interramento dei cavi;

– che la fonte lesiva dei danni alla proprietà degli attori non erano solo le staffe, ma anche i cavi, i tiranti, i buchi, le cassette di derivazione.

Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: erronea ripartizione dell’onere della prova della titolarità passiva del rapporto per omessa valutazione della condotta difensiva serbata dalla società convenuta, incompatibile con la negazione della propria titolarità passiva del rapporto, tale da esonerare gli attori della relativa prova”.

La Corte non avrebbe esaminato il contenuto delle difese svolte dal convenuto, di per sè incompatibile con la negazione della propria titolarità passiva. In particolare, avrebbe Omesso di valutare: la non contestazione da parte dell’Enel del fatto di aver rimosso i cavi e le cassette posti sulla facciata dell’immobile; l’affermazione che il ritardo nell’esecuzione dei lavori di interramento dei cavi era dovuta alla necessità di attendere l’autorizzazione dell’ente preposto e alla presunta opposta inerzia degli attori; la circostanza pacifica che il pagamento della somma per l’interramento dei cavi elettrici era stata ricevuta da Enel S.p.a. La contestazione, circa la proprietà delle staffe di per sè era marginale, dacchè le stesse servivano anche al passaggio dei cavi relativi alle utenze private degli attori della cui manutenzione era tenuta a rispondere unicamente l’Enel, che era anche custode degli impianti. Peraltro, la fonte del danno richiesto dagli attori non era integrata solo dalla presenza delle staffe, ma anche da quella di tiranti, cavi e cassette di derivazione apposte sulle pareti esterne dell’immobile nonchè dalla condotta omissiva della convenuta, che solo con notevole ritardo aveva provveduto alla rimozione.

I motivi sono fondati per quanto di ragione.

I ricorrenti, introducendo il giudizio, hanno lamentato che la società convenuta avesse tardivamente e solo parzialmente provveduto alla rimozione di cavi elettrici, cassette di derivazioni e staffe di sostegno presenti sulla facciata dell’edificio di loro proprietà, che causavano lesioni, con infiltrazioni ed umidità, ed impedivano la corretta esecuzione dei lavori al medesimo edificio.

Il giudice di primo grado ha riconosciuto che i danni ed il degrado sulla facciata dell’edificio dipendevano, oltre che dalla presenza di staffe di sostegno, anche dai buchi causati dalla rimozione delle cassette di derivazione e dei cavi elettrici, avvenuta pacificamente ad opera dell’Enel (punti A-B della sentenza di primo grado) ed ha perciò ritenuto che la stessa società fosse inadempiente all’obbligo di ripristino della facciata su di essa incombente in base al contratto di fornitura, al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, nonchè all’art. 2043 c.c. (pag. 3 rigo 12).

Tale ultima circostanza non è stata oggetto di contestazione nel giudizio di appello.

Di conseguenza, ha errato la Corte leccese nel riformare integralmente la sentenza unicamente sulla base della mancanza di prova circa la titolarità delle staffe di appoggio dei cavi, senza tener conto che la fonte del danno richiesto dagli attori non era integrata solo dalla presenza sulla facciata dell’edificio di tali manufatti, ma anche dall’inesatto adempimento, da parte di Enel, del proprio obbligo di riparare i danni prodotti col servizio della conduttura elettrica, nonchè dalla cattiva esecuzione da parte della stessa Enel dei lavori di rimozione dei cavi, senza provvedere al ripristino dei buchi rimasti sulle pareti.

4.8. Con l’ottavo motivo, i P. lamentano la “nullità del capo di sentenza sul regolamento delle spese di lite per motivazione apparente, perplessa e contraddittoria, per violazione dell’art. 134 c.p.c., comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: insanabile contrasto, in punto di regolamento delle spese del processo, tra la parte motiva che dispone la compensazione, in deroga alla soccombenza, e contestuale condanna degli appellanti secondo il criterio della soccombenza”.

La Corte di merito, pur motivando nel senso della compensazione delle spese di lite, in ragione dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale integrante le gravi ed eccezionali ragioni che derogano alla regola della soccombenza, ha condannato i ricorrenti alle spese ed ai compensi del doppio grado di giudizio, secondo il principio della soccombenza.

Il motivo risulta assorbito per effetto dell’accoglimento di parte dei motivi del ricorso e della conseguente cassazione della causa con rinvio al giudice del merito, il quale provvederà ad una nuova liquidazione delle spese, tenendo conto dell’esito finale del giudizio.

5. In conclusione, la Corte accoglie il primo, secondo, quinto, sesto motivo, per quanto di ragione, rigetta il terzo, assorbiti il quarto e l’ottavo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia alla Corte d’appello di Lecce. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo secondo, quinto, sesto e settimo motivo per quanto di ragione, dichiara assorbito il quarto e l’ottavo motivo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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