Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9328 del 20/04/2010

Cassazione civile sez. III, 20/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 20/04/2010), n.9328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31590/2006 proposto da:

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE già MINISTERO DELL’ISTRUZIONE e

prima MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrente –

contro

P.U.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 105104/2006 del GIUDICE DI PACE di NAPOLI,

Sezione Sesta Civile, emessa il 26/11/2005, depositata il 28/11/2005,

R.G.N. 41773/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.U., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore A., conveniva in giudizio il Preside dell’Istituto Magistrale (OMISSIS) nonchè il Ministero della Pubblica Istruzione, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla minore in data (OMISSIS) durante l’ora di ginnastica.

I convenuti, costituitisi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, contestavano l’avversa pretesa.

Con sentenza depositata il 28 gennaio 2005 il Giudice di Pace condannava il convenuto Ministero al pagamento in favore di P. U., nella indicata qualità, della somma di Euro 899,00, determinata all’attualità, oltre interessi dalla pronuncia al saldo.

Secondo il giudicante la responsabilità dei fatti di causa era addebitabile al personale scolastico, per non avere controllato che l’allieva svolgesse correttamente e con la normale diligenza e prudenza gli esercizi ginnici.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il Ministero della Pubblica Istruzione formulando due motivi e notificando l’atto a P.U..

L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4.

Deduce che, nel costituirsi in giudizio, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda attorea, evidenziando che il sinistro si era verificato all’interno di un istituto scolastico che, in ragione della riforma realizzata dalla L. n. 59 del 1997 e dal D.P.R. n. 275 del 1999, aveva acquistato piena autonomia rispetto al Ministero. Segnatamente, data anche per scontata la discutibile premessa che il danno sofferto dalla figlia dell’intimato fosse conseguenza del comportamento colpevole del personale scolastico, si trattava di verificare se questi era un docente a tempo indeterminato (e quindi dipendente del Ministero), ovvero titolare di un contratto annuale o comunque a termine, stipulato, conseguentemente dalla scuola presso cui operava.

1.2 Col secondo motivo la difesa erariale denuncia violazione degli artt. 2043, 2048, 2050 e 2697 cod. civ. ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3. Rileva che, non essendo ravvisabile negli esercizi ginnici a corpo libero un’attività pericolosa, la decisione impugnata avrebbe violato il principio fondamentale della materia, in base al quale l’affermazione della responsabilità dell’amministrazione scolastica presuppone la concreta dimostrazione della omessa vigilanza, da parte del docente, o di altra negligenza o imprudenza addebitabile allo stesso, prova nella fattispecie del tutto carente.

2.2 Il ricorso, prospettando motivi che non possono essere dedotti avverso le sentenze del Giudice di Pace, è inammissibile.

Merita evidenziare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno tracciato, sin dalla sentenza 15 ottobre 1999, n. 716, i limiti del controllo esercitabile nei confronti delle sentenze pronunziate dal Giudice di Pace secondo equità, cui certamente appartiene, per ragioni di valore, la presente controversia. A tale fine hanno enunciato il principio per cui il ricorso per cassazione avverso le suddette sentenze è ammissibile per violazione di norme processuali, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 4, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza della motivazione, per radicale e insanabile contraddittorietà o mera apparenza della stessa, ai sensi del n. 5 della predetta norma, quando il vizio attenga a un punto decisivo della controversia, e, con riferimento agli errores in iudicando, per violazione di norme costituzionali, di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie, nonchè, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 206 (e con l’avvertenza che ci si riferisce alla situazione antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha, entro certi limiti, reintrodotto in parte qua, il rimedio dell’appello) per violazione dei principi informatori della materia.

La successiva elaborazione della giurisprudenza di legittimità ha poi evidenziato che questi differiscono dai principi regolatori, che vincolavano il conciliatore, perchè, mentre quest’ultimo doveva osservare le regole fondamentali del rapporto, traendole dal complesso delle norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il Giudice di Pace non deve applicare una regola equitativa desunta, per via di astrazione generalizzante, dalla disciplina positiva, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi ai quali si è ispirato il legislatore nel dettare una determinata regolamentazione della materia (Cass. civ. 3^, 17 gennaio 2005, n. 743; Cass. civ. 2^, 18 giugno 2008, n. 16545).

2.3 Venendo alle censure formulate in ricorso, col primo motivo la difesa erariale ha posto, peraltro in termini ipotetici, la questione della identificazione dello stato giuridico del docente di educazione fisica, al dichiarato fine di individuare l’ente – Ministero o Istituto scolastico – chiamato a rispondere del suo operato. Ha cioè posto una questione che, in quanto non trattata nella sentenza impugnata, è nuova. Ne deriva che, in ottemperanza al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente aveva l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1^, 31 agosto 2007, n. 18440).

A ciò aggiungasi che il difetto (o la sussistenza) della titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dal giudice di pace ai sensi dell’art. 113 cod. proc. civ., comma 2, comportando (a differenza della verifica della legitimatio ad causam, che dipende dalla prospettazione del rapporto controverso fatta dall’attore) una disamina e una decisione attinente al merito della controversia (cfr. Cass. civ., 1^, 20 novembre 2003, n. 17606; Cass. civ., 3^, 1 marzo 2004, n. 4121).

2.4 Quanto poi alla lamentata, errata applicazione delle regole probatorie in materia di responsabilità aquiliana, oggetto del secondo mezzo, non solo il ricorrente neppure indica il principio informatore violato ma critica la positiva valutazione del decidente in ordine alla omessa vigilanza da parte del personale scolastico, senza considerare che, in tema di danni che l’alunno cagioni a se stesso durante le ore in cui è affidato all’istituto, spetta in ogni caso al convenuto dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile all’obbligato (confr. Cass. civ. 31 marzo 2007, n. 8067).

Ne deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, non essendosi l’intimato costituito in giudizio.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

 

 

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