Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9326 del 26/04/2011

Cassazione civile sez. II, 26/04/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 26/04/2011), n.9326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M. e P.E., residenti in (OMISSIS),

rappresentati e difesi per procura a margine del ricorso

dall’Avvocato Dondi Anna, elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’Avvocato Benito P. PANARITI in Roma, via Celimontana n. 38;

– ricorrenti –

contro

Comune di Alessandria, in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso per procura a margine del controricorso

dall’Avvocato MAZZONE Gian Piero, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avvocato Andrea Melucco in Roma, via Ferdinando di Savoia

n. 3;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 830 del Tribunale di Alessandria, depositata

il 6 dicembre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24

febbraio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha chiesto l’accoglimento

del primo motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 23 giugno 2005, D.M. e P. E. ricorrono, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Alessandria, depositata il 4 dicembre 2004, che aveva respinto la loro opposizione all’ordinanza ingiunzione che applicava loro la sanzione amministrativa per violazione del R.D. n. 1265 del 1934, art. 221 per avere adibito ed utilizzato, quali proprietari, un appartamento sito nel territorio del Comune di Alessandria senza avere richiesto ed ottenuto il prescritto certificato di abitabilita’. In particolare, il Tribunale motivo’ la sua decisione affermando che il provvedimento era stato legittimamente emesso dal dirigente del Corpo della Polizia municipale, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 e che era infondata l’eccezione dei ricorrenti in ordine alla violazione dei termini per la trasmissione degli atti dall’Autorita’ giudiziaria all’Autorita’ competente in via amministrativa ai fini della notificazione della contestazione agli interessati, atteso che, nel caso di specie, essendosi il procedimento giudiziario concluso con un decreto penale di condanna, tale notificazione non era necessaria, aggiungendo che, comunque, il comune procedente aveva agito nel termine di legge decorrente dalla ricezione degli atti. Il Comune di Alessandria resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 e del D.L. n. 507 del 1999, art. 23, art. 27 tu. n. 320 del 2001 e 24 Reg. Corpo di Polizia municipale del comune di Alessandria, assumendo l’erroneita’ della decisione impugnata per non avere identificato il dirigente comunale competente in quello preposto al settore Territorio e Ambiente e per avere ritenuto irrilevante, a tal fine, la ripartizione interna delle competenze. Il motivo e’ infondato.

Questa Corte ha gia’ piu’ volte chiarito che, a seguito dell’entrata in vigore del testo unico delle disposizioni sugli enti locali, approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000, la competenza ad irrogare le sanzioni amministrative, che sono tipici provvedimenti amministrativi, trattandosi di atti autoritativi posti essere da una pubblica amministrazione nell’esplicazione di una potesta’ amministrativa ed aventi rilevanza esterna, e’ stata devoluta ai dirigenti degli enti locali dall’art. 107 del suddetto decreto (Cass. n. 21631 del 2006; Cass. n. 6362 de 2004). Ora, nel caso di specie questa regola risulta osservata, atteso che, com’e’ pacifico, il provvedimento impugnato risulta emesso dal dirigente de Corpo della polizia municipale. Ne’ si riviene, sulla base delle censure formulate sul punto dai ricorrenti, alcuna violazione delle norme in tema di riparto interno di competenze tra i vari dirigenti comunali, atteso che il Corpo della Polizia municipale, come dedotto nel controricorso, ha competenze in materia di vigilanza sul territorio ai fini anche dell’accertamento e della repressione degli illeciti in materia edilizia ed urbanistica.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e della L. n. 689 del 1981, art. 14 censurando la sentenza impugnata per non avere rilevato che l’ordinanza ingiunzione opposta era affetta da evidente nullita’ in quanto emessa dal dirigente dello stesso corpo di polizia municipale che aveva accertato l’infrazione e, quindi, in palese conflitto tra autorita’ emanante ed organo accertatore.

Il mezzo e’ manifestamente infondato, non rinvenendosi nell’ordinamento alcuna incompatibilita’ tra l’autorita’ che accerta la violazione e quella competente a provvedere sulla sanzione. Ne’ si vede in quale modo tale coincidenza possa ledere il diritto di difesa della parte in giudizio garantito dall’art. 24 Cost..

Il terzo motivo di ricorso denunzia falsa e errata applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 2, e art. 2 lamentando che la sentenza impugnata non abbia rilevato, quale causa di annullamento dell’atto opposto, che nel corso del procedimento non era stato rispettato il termine di 90 giorni previsto per la trasmissione degli atti dall’autorita’ giudiziaria a quella amministrativa, tenuto conto che gli atti erano stati trasmessi per errore alla ASL e solo successivamente al Comune, il quale aveva provveduto alla loro notifica dopo 10 mesi dalla adozione della sentenza che disponeva la trasmissione.

Il mezzo e’ inammissibile ed anche infondato.

Inammissibile perche’ esso non investe l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha affermato che la notificazione della contestazione agli interessati non era nella specie necessaria, per essere i ricorrenti gia’ stati edotti del fatto in quanto destinatari di un decreto penale di condanna.

Infondato in quanto e’ del tutto pacifico l’indirizzo della giurisprudenza secondo cui, qualora gli elementi integranti un illecito amministrativo emergano dagli atti di un procedimento penale, il termine stabilito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, comma 2, per la contestazione della violazione decorre dalla ricezione, da parte dell’autorita’ amministrativa degli atti trasmessi dall’autorita’ giudiziaria (Cass. n. 7754 del 2010; Cass. n. 23477 del 2009).

Il quarto motivo di ricorso assume che il procedimento di applicazione della sanzione amministrativa era precluso in quanto i ricorrenti erano stati assolti in sede penale.

Il mezzo e’ inammissibile in quanto propone un’eccezione nuova, non risultando, ne’ il ricorso lo specifica, che tale argomentazione sia stata avanzata con il ricorso introduttivo.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011

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