Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9325 del 21/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/05/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 21/05/2020), n.9325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29822/2014, proposto da:

Skema s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore

B.D., elettivamente domiciliata in Roma, via Lucrezio Caro,

62, presso lo studio dell’avv. Sabina Ciccotti che la rappresenta e

difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 1325/30/14 emessa inter partes il

3 settembre 2014 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto,

avente ad oggetto gli avvisi di accertamento (OMISSIS) I.R.E.S. e

altro 2007 e (OMISSIS) i.r.a.p. 2007 della Direzione Provinciale

dell’Agenzia delle Entrate di Treviso.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con la sentenza sopra detta la Commissione tributaria regionale del Veneto, confermando quella emessa in primo grado dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso, ha confermato l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrare ha recuperato a tassazione, nei confronti della contribuente Skema s.r.l., la perdita su un credito di Euro 101.708,25 verso la società statunitense Star Beka inc., ritenendo l’assenza di elementi certi e precisi di supporto; e l’importo di Euro 12.699,51 portato da note di accredito emesse in violazione del principio di competenza.

Ricorre per la cassazione di detta sentenza Skema s.r.l. per due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio dell’11 ottobre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380-bis c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 168 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione dell’art. 101 T.U.I.R. e della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 26/E del 1 agosto 2013, e specificatamente in ordine al significato di elementi certi e precisi a supporto del riconoscimento fiscale delle perdite su crediti per insolvenza del debitore (art. 360 c.p.c., n. 3)”, in quanto la Commissione tributaria regionale ha ritenuto, al pari della Commissione tributaria provinciale, elemento non certo e preciso, a norma dell’art. 101 T.U.I.R., la documentazione prodotta, e proveniente dalla corrispondenza intercorsa fra il consulente legale della società e il suo corrispondente statunitense, in merito all’impossibilità e alla antieconomicità di riscuotere il credito nei confronti della società statunitense, in stato di forte insolvenza e priva di beni mobili e immobili sui quali avviare una procedura esecutiva. Sostiene la ricorrente che sul piano del criterio probabilistico, quale quello previsto dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, le informazioni portate dai documenti prodotti avrebbero soddisfatto il requisito previsto dalla legge per il riconoscimento fiscale della perdita.

Il motivo è per un duplice profilo inammissibile.

Innanzitutto, la valutazione della certezza e precisione degli elementi dai quali, a norma dell’art. 101 T.U.I.R., comma 5, è possibile ritenere la sussistenza della perdita su crediti e la sua deducibilità, è una questione di fatto e la relativa valutazione, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. La censura, riferita formalmente alla violazione di legge, sostanzialmente punta ad una rivalutazione del materiale istruttorio sul quale si è fondata la decisione dei giudici di merito.

In secondo luogo, su questa questione si sono pronunciati conformemente sia la Commissione tributaria provinciale che la Commissione tributaria regionale, ritenendo l’una e l’altra che la corrispondenza fra i due legali non potesse ritenersi elemento certo e preciso della perdita del credito. L’accostamento che la Commissione tributaria regionale ha fatto con i requisiti voluti dall’Organismo italiano di contabilità in materia di deducibilità di eventuali perdite su crediti ceduti costituisce non già motivazione diversa da quella adottata dai primi giudici ma rafforzamento della stessa. Ne consegue, a norma dell’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., l’inammissibilità del motivo di ricorso.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 101 T.U.I.R, per il quale costituiscono sopravvenienze passive: il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, e dell’art. 109 T.U.I.R. (art. 360 c.p.c., n. 3) avendo la Commissione tributaria regionale validato l’applicazione, nel caso di specie, del principio di competenza a note di accredito relativi a rapporti relativi ad esercizi precedenti. Sostiene la società ricorrente che è nella natura stessa delle sopravvenienze passive la loro relazione con elementi positivi del reddito relativi ad anni precedenti e che nel caso di specie si era trattato della correzione e della restituzione di corrispettivi di vendita a committenti che, in forza di specifico regolamento contrattuale, avevano diritto ad una riduzione del prezzo di acquisto in ragione del raggiungimento di un convenuto “plafond”. Al raggiungimento di detto “plafond”, il ricavo conseguito negli anni precedenti veniva stornato con note di accredito che riduceva l’imponibile dell’esercizio nel quale veniva contabilizzato. La Commissione tributaria provinciale, ritenendo “le pezze cartolari emesse a supporto documentale degli storni concordati autentiche note di accredito e applicando la disciplina di cui al D.P.R. n. 633, art. 26, comma 2, nonostante non si fosse assoggettato ad i.v.a. gli storni di corrispettivo concordati”, aveva validato l’accertamento rilevando che le note di accredito avrebbero dovuto essere contabilizzate entro l’anno successivo, e non a distanza di svariati anni. La Commissione tributaria regionale aveva confermato la decisione di primo grado richiamando, più genericamente, il principio di competenza stabilito dall’art. 2423 bis c.c., comma 1, n. 3.

Orbene, se può concordarsi con la ricorrente sul fatto che la disciplina della deducibilità delle sopravvenienze passive di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, non può avere relazione con il principio di competenza, trattandosi di oneri in ipotesi riferentesi a “precedenti esercizi” e che può non avere relazione con la disciplina dell’1.v.a. (specie se, come è incontestato, allo storno di parte del prezzo di vendita non è seguito lo storno dell’i.v.a.), ciononostante questo secondo motivo di ricorso si rivela parimenti inammissibile perchè non coglie, in fatto, l’altro punto della motivazione, là dove la Commissione tributaria regionale, facendo proprie le deduzioni di merito dell’Agenzia delle entrate, ha in pratica disatteso in fatto la deducibilità delle sopravvenienze passive, in quanto riferentesi ad anni “ben precedenti quello in discussione, con alcuni addirittura ormai prescritti all’ordinario potere di accertamento”: esprimendo pertanto, oltre ad una (per quanto errata) valutazione giuridica, anche una valutazione di merito che non può essere in questa sede sindacata, tanto più se parametrata alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020

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