Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9323 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/04/2017, (ud. 09/03/2017, dep.11/04/2017),  n. 9323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3224/2015 proposto da:

I.E.M. IMPIANTI ELETTRICI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE – P.I. (OMISSIS), in

persona del suo legale rappresentante e liquidatore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SOANA 22, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO PETTINELLI che la rappresenta e difende unitamente e

disgiuntamente all’avvocato ALESSANDRO AGOSTINUCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 781/22/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 12/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La I.E.M. Impianti Elettrici srl in liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 781/22/2014, depositata in data 12/0672014, con la quale in controversia concernente le riunite impugnazioni di due avvisi di accertamento emessi per IRPEF ed altri tributi dovuti in relazione agli anni d’imposta 2005 e 2006, per mancata contabilizzazione di compensi relativi a straordinari ed indennità di trasferta erogate al personale dipendente, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto i ricorsi della contribuente.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposte la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 345 c.p.c., avendo i giudici d’appello ritenuto essersi formata una preclusione, posta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, alla produzione in sede contenziosa di documentazione di cui il contribuente aveva rifiutato l’ostensione in sede di verifica, a prescindere dalla volontarietà o meno del rifiuto di esibizione.

2. La censura è inammissibile. Invero, i giudici della C.T.R., pur avendo, in fase preliminare, affermato l’operatività della suddetta preclusione probatoria, hanno comunque esaminato la documentazione prodotta dalla contribuente, ritenendola irrilevante ai fini del decidere.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “di norme di diritto”, censurando la statuizione dei giudici di appello in ordine alla legittimità degli avvisi di accertamento sotto il profilo motivazionale (“motivati per relationem al PVC sia dell’INPS che della Guardia di Finanza…documenti…in possesso della stessa società”).

4. Il motivo è infondato. Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che “in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione” (Cass. 407/2015; Cass. 18793/2008). In sostanza, nel regime introdotto dall’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano a legati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. 23923/2016). Questa Corte (Cass. 15327/2014) ha precisato che l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza.

5. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, non essendosi a C.T.R. pronunciata su motivi di appello concernenti il merito della pretesa impositiva.

6. La censura (da scrutinare in base al testo di tale disposizione risultante delle modifiche recate dai D.L. n. 83 del 2012, poichè la sentenza impugnata risulta depositata in data successiva al settembre 2012) è inammissibile, in quanto non viene neppure indicato il fatto storico in relazione ai quale vi sarebbe stato omesso esame da parte della C.T.R. (Cass. S.U. 8053/2014: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, con v. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”).

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente a rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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