Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9320 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9320 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 24860-2011 proposto da:
MARCHETTI ROMOLO MRCRML28C16C529C, BANDINI SAURA
BNDSRA29L69C529Z, MARCHETTI SANDRA MRCSDR54D52C529Y,
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE
2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PALMERI,
rappresentati e difesi dall’avvocato CLAUDIO SELMI
2015

giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –

190
contro

NOCENTINI

SERGIO,

LAVORINI

ASSICURAZIONI SPA ;

1

EDOARDO,

MILANO

rAJ

Data pubblicazione: 08/05/2015

- Intimati

avverso la sentenza n. 1051/2010 della CORTE
D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/07/2010,
R.G.N. 447/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ROSSETTI;
udito l’Avvocato CLAUDIO SELMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rinvio a nuovo ruolo per il rinnovo della notifica
del ricorso, nel merito per il rigetto del ricorso.

I

2

N,

udienza del 21/01/2015 dal Consigliere Dott. MARCO

R.G.N. 24860/11
Udienza del 21 gennaio 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il 26.1.2001 nel territorio del Comune di Cerreto Guidi (FI) si verificò uno
scontro frontale tra il veicolo Toyota condotto da Alessandro Marchetti e di
proprietà del medesimo, e il veicolo Mercedes condotto da Sergio Nocentini,
di proprietà di Edoardo Lavorini ed assicurato contro i rischi della

In conseguenza del sinistro Alessandro Marchetti perse tragicamente la vita.

2. I genitori della vittima (Romolo Marchetti e Saura Bandini) e la sorella
della vittima (Sandra Marchetti), assumendo che la responsabilità del
sinistro fosse da ascrivere a Sergio Nocentini, nel 2001 convennero dinanzi
al Tribunale di Firenze, sezione staccata di Empoli, Sergio Nocentini,
Edoardo Lavorini e la Milano, chiedendone la condanna in solido al
risarcimento del danno.

3. Il Tribunale di Firenze con sentenza n. 29 del 2005 accolse la domanda.

4. La sentenza venne appellata in via principale dalla Milano, la quale si
dolse sia dell’attribuzione al proprio assicurato della responsabilità esclusiva
del sinistro, sia dell’erroneità della stima del danno, ritenuta eccessiva.
Anche i signori Marchetti-Bandini impugnarono la sentenza di primo grado
in via incidentale, lamentando una sottostima del danno da parte del
Tribunale.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 14.7.2010 n. 1051, accolse
parzialmente l’appello principale, e rigettò quello incidentale.
La Corte d’appello ritenne sussistente un concorso di colpa della vittima
nella misura del 30%, e rideterminò l’ammontare del danno non
patrimoniale, riducendone l’importo rispetto a quanto liquidato dal primo
giudice.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Romolo
Marchetti, Saura Bandini e Sandra Marchetti, sulla base di quattro motivi.
Nessuno degli intimati si è difeso.

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responsabilità civile dalla Milano Assicurazioni s.p.a..

R.G.N. 24860/11
Udienza dei 21 gennaio 2015

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Tempestività del ricorso.
1.1. Il ricorso è tempestivo, ad onta dei 455 giorni intercorsi tra il deposito
della sentenza d’appello e la notifica dell’impugnazione.
Il presente giudizio, infatti, è iniziato in primo grado nel 2001: ad esso, di

modificato dalla I. 18.6.2009 n. 69, che ha ridotto a sei mesi il termine per
l’impugnazione, in difetto di notifica della sentenza.
La nuova previsione, infatti, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della legge n. 69
del 2009, cit., si applica ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, e per tali
devono intendersi i procedimenti introdotti in primo grado dopo tale data, a
nulla rilevando il momento in cui sia proposta l’impugnazione (così Sez. 1,
Sentenza n. 17060 del 05/10/2012, Rv. 624680).
Nel caso di specie, essendo stata depositata la sentenza d’appello il
14.7.2010, i ricorrenti hanno beneficiato d’una doppia sospensione feriale
del termine (annuale, per quanto detto) di cui all’art. 327 c.p.c., termine
scaduto pertanto il 16.10.2011.
Essendo stato il ricorso proposto il 12.10.2011, esso è dunque tempestivo.

2. Inammissibilità del ricorso nei confronti di Sergio Nocentini.
2.1. Il ricorso non risulta ritualmente notificato a Sergio Nocentini.
Dalla relazione di notificazione del ricorso, eseguita a mezzo del servizio
postale, si rileva infatti che il plico non venne consegnato al destinatario
perché “irreperibile”. La notifica è dunque inesistente.

2.2. E’ ornai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo cui quando la notificazione di un atto processuale, da effettuare
entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili
al richiedente, questi ha l’onere di chiedere all’ufficiale giudiziario la c.d.
“ripresa del procedimento notificatorio” e, ai fini del rispetto del termine
perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di
attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia
intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i

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crvu

conseguenza, non s’applica la nuova previsione dell’art. 327 c.p.c., come

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Udienza del 21 gennaio 2015

tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito
negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso.
Tale conclusione è imposta dal principio della ragionevole durata del
processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale per
rinnovare una notificazione comporterebbe un allungamento dei tempi del

Sez. L, Sentenza n. 21154 del 13/10/2010, Rv. 615083; e soprattutto Sez.
U, Sentenza n. 17352 del 24/07/2009, Rv. 609264; Sez. 5, Sentenza n.
6547 del 12/03/2008, Rv. 602726).

2.3. Nel caso di specie, la notificazione del ricorso venne richiesta sin dal
2011, sicché i ricorrenti ed il loro difensore, con l’uso dell’ordinaria diligenza,
avrebbero avuto ogni agio di reiterarla.
Escluso dunque che questa Corte possa fissare alcun termine per rinnovare
la notificazione, ne segue l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Sergio
Nocentini, per difetto assoluto di notifica.
L’impugnazione proposta nei confronti di Sergio Nocentini va dunque
separata dalle altre ex art. 103, comma 2, c.p.c., e dichiarata inammissibile.
La separazione delle domande e la dichiarazione di inammissibilità
dell’impugnazione nei confronti di Sergio Nocentini non è impedita dalla
natura della pretesa contro di lui azionata.
Sergio Nocentini infatti, in quanto conducente del veicolo che si assume
causa del sinistro, non è litisconsorte necessario rispetto alla domanda di
risarcimento del danno proposta nei confronti della Milano s.p.a., né rispetto
a quella proposta nei confronti dell’altro coobbligato, Edoardo Lavorini. La
sua posizione processuale è dunque scindibile dalle altre.

3. Il primo motivo di ricorso.
3.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art.
360, n. 3, c.p.c.; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5,
c.p.c..

Pagina 5

QrviA,

giudizio (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 20830 del 11/09/2013, Rv. 627938;

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Udienza del 21 gennaio 2015

Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’addossare
alla vittima una corresponsabilità del 30% nella causazione del sinistro.
Spiegano che l’errore sarebbe consistito:
(a) nell’avere ritenuto che la vittima tenesse al momento del sinistro una
velocità non prudenziale, nonostante alcuna prova lo dimostrasse;

tachimetro del veicolo condotto dalla vittima, il quale a causa dei guasti
causati dall’urto non poteva ritenersi attendibile.

3.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge, il motivo è infondato.
Nel ritenere che il veicolo della vittima procedesse a velocità eccessiva, e
che chi procede a velocità eccessiva può concausare un sinistro stradale, la
Corte d’appello non ha ovviamente violato nessuna norma di legge. Anzi, ha
fatto corretta applicazione della regola secondo cui non è dovuto il
risarcimento per il danno che la vittima ha concausato a se stessa (art.
1227, comma 1, c.c.).
Stabilire, poi, se davvero la vittima abbia tenuto una velocità eccessiva,
questo è un accertamento di fatto, che è sindacabile in questa sede solo se
fosse insufficientemente motivato.
E’ sin troppo evidente dunque che gli attori, col primo motivo del proprio
ricorso, pretendono inammissibilmente di qualificare come “violazione di
legge” una doglianza che in realtà investe un tipico accertamento di fatto, e
cioè ricostruire la dinamica d’un sinistro stradale e ripartire le colpe.

3.3. Anche nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione il primo motivo
di ricorso è infondato.
Com’è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile
il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base
della decisione.

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(b) nell’avere utilizzato come fonte di prova la velocità rimasta indicata sul

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Udienza del 21 gennaio 2015

E’ altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all’obbligo della
motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze
processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma
è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio

e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Pertanto, poiché la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del
giudice del merito, non può chiedersi al giudice di legittimità una
valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal
giudice di merito.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha valutato le prove raccolte ed ha
attribuito loro un determinato significato, non implausibile: questa
valutazione sfugge dunque al sindacato di legittimità, a nulla rilevando che
le prove raccolte potessero teoricamente essere valutate anche in modo
diverso.

4. Il secondo motivo di ricorso.
4.1. Anche col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 1227 e 2054 c.c.); sia
da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel
quantificare la colpa attribuita alla vittima nella misura del 30%: e ciò sia
per le ragioni già indicate illustrando il primo motivo di ricorso; sia perché
una più moderata velocità della vittima non avrebbe impedito l’evento; sia
perché in casi analoghi la stessa Corte d’appello di Firenze avrebbe valutato
il concorso di colpa della vittima in misura inferiore al 30%.

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iii-k.

convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi

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4.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, per le ragioni già indicate al
§ 3.3 della presente motivazione.

5. Il terzo motivo di ricorso.
5.1. Anche col terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi

c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Pur essendo il motivo unitario, in esso vengono articolate due diverse
censure.

5.1.1. Con una prima censura, i ricorrenti deducono che la Corte d’appello
ha liquidato in modo unitario ed indistinto sia il pregiudizio non patrimoniale
da essi patito in conseguenza della morte della persona cara; sia il danno
alla salute da invalidità permanente, consistito in una malattia psichica ed
anch’esso causato dall’evento luttuoso.

Arv\5.1.2. Con una seconda censura (pp. 14-15 del ricorso) i ricorrenti
lamentano che la Corte d’appello avrebbe sottostimato il danno non
patrimoniale da essi patito in conseguenza della morte del proprio familiare.

5.2. La prima di tali censure è fondata; la seconda resta assorbita
dall’accoglimento della prima.

5.3. La Corte d’appello ha accertato in facto che la morte di Alessandro
Marchetti ha causato ai suoi familiari sia la intuibile sofferenza derivante dal
lutto, sia un danno alla salute, consistito in una malattia psichica.
Dopo avere accertato questi fatti, la Corte d’appello ha ritenuto in iure che i
pregiudizi appena descritti dovessero essere liquidati unitariamente, perché
il danno non patrimoniale ha natura unitaria (richiamando, al riguardo, il
decisum di Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605490).

Questa affermazione è erronea in diritto, e l’errore è duplice: da un lato,
non avere fatto corretta applicazione dell’art. 1223 c.c.; dall’altro, non avere

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all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 1226, 2056 e 2059

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correttamente applicati i prindpi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite
di questa Corte, appena ricordata.

5.4. L’errore di diritto è consistito in primo luogo nella violazione dell’art.
1223 c.c..

fatto illecito deve avvenire in base alle regole stabilite dall’art. 1223 c.c..
L’art. 1223 c.c., a sua volta, stabilisce che la liquidazione del danno deve
avere riguardo alla “perdita subita” dal danneggiato
La “perdita” subìta dal danneggiato non si identifica col diritto leso, ma
costituisce la conseguenza della lesione. Il “danno risarcibile” è dunque la
perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto.
La distinzione concettuale tra la lesione dell’interesse e la perdita che ne
deriva ha molte conseguenze pratiche: da un lato, infatti, ne viene che il
danno non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé
considerata, ma deve provocare un pregiudizio concreto: altrimenti si
sarebbe al cospetto d’una

iniuria sine damno, come tale improduttiva

d’effetti giuridici.
Dall’altro lato, ne viene che la lesione d’un solo interesse può provocare
pregiudizi diversi (così, ad esempio, la lesione dell’interesse all’integrità
fisica può provocare sia un danno biologico, sia uno patrimoniale da perdita
del reddito); così come la lesione di interessi diversi può provocare un
pregiudizio unitario (ad esempio, l’uso indebito e diffamatorio del nome
altrui, che pur ledendo il diritto al nome ed all’onore, provoca una unitaria
ed inscindibile lesione della reputazione).

5.5. Quando dunque il giudice sia chiamato a liquidare il danno da fatto
illecito, deve avere riguardo unicamente alla perdita subita dal danneggiato,
non al numero di diritti che il fatto illecito ha leso.
La “perdita” causata dal fatto illecito, di cui all’art. 1223 c.c., consiste nella
diminuzione di valore d’un bene patrimoniale o d’un interesse non
patrimoniale.

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r–

L’art. 2056 c.c. stabilisce infatti che la liquidazione del danno derivante da

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“Interesse”, “perdita” e “valore” sono dunque i tre concetti che, generandosi
a cascata l’uno dall’altro, devono essere rintracciati e soppesati dal giudice
di merito per una corretta liquidazione, la quale esige:
(-) l’individuazione dell’interesse protetto che si assume violato;
(-) l’accertamento della “perdita”, patrimoniale o non, che ne è derivata;

5.6. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi
principi.
Nel caso di specie, infatti, l’illecito ha leso l’interesse dei congiunti della
vittima alla conservazione del vincolo affettivo che li legava a quest’ultima.
Dalla lesione di questo interesse, tuttavia, sono derivate due diverse perdite
concrete:
– da un lato, la perdita della serenità derivante dal vincolo familiare;
– dall’altro, la perdita della salute.
Salute e serenità familiare sono tuttavia beni oggettivamente diversi. Sicché,
per quanto detto, il pregiudizio ad essi arrecato andava liquidato

1/Y1A
\.,

r

separatamente, in applicazione del precetto di cui all’art. 1223 c.c., che
impone una liquidazione parametrata alla “perdita subita”.

5.7. Come accennato, la liquidazione congiunta ed indistinta del
risarcimento del danno biologico e di quello da lutto, oltre a violare l’art.
1223 c.c., è viziata da un secondo errore di diritto, costituito dal
fraintendimento della nozione di “unitarietà del danno non patrimoniale”,
per come affermata da Sez. Un. 26972/08, cit..
E’ certamente vero che il danno non patrimoniale debba essere liquidato
unitariamente, ma a condizione che la “perdita” di cui si è detto al § 5.5
abbia inciso su beni od interessi omogenei. Se, invece, l’illecito attinge beni
eterogenei, avremo perdite diverse e dunque danni diversi.
Così, ad esempio, dinanzi ad una lesione della salute, il bene diminuito è
uno, e non è consentito liquidare separatamente il danno biologico, quello
c.d. “estetico”, quello c.d. “alla vita di relazione”, od altri analoghi, i quali

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(-) la quantificazione del valore perduto.

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non costituiscono che nomi diversi coi quali indicare le diverse conseguenze
che possono derivare da un infortunio.
Per contro, se la vittima d’un sequestro di persona patisse lesioni personali,
essa avrebbe diritto al risarcimento sia del danno non patrimoniale da
lesione della salute, sia di quello da privazione della libertà: in questo caso

salute) ed a due danni.
La nozione di “unitarietà” della liquidazione del danno non patrimoniale vuol
dunque dire che Io stesso danno non può essere liquidato due volte sol
perché lo si chiami con nomi diversi; ma non vuol certo dire che quando
l’illecito produca perdite non patrimoniali eterogenee, la liquidazione
dell’una assorba tutte le altre. E’ l’omogeneità delle

perdite concrete

derivate dall’illecito che impone la liquidazione unitaria, e non la natura non
patrimoniale dell’interesse leso.

5.8. Fondata è altresì, la denuncia del vizio di motivazione.
La Corte d’appello, dopo avere ritenuto non corretta la liquidazione del
danno non patrimoniale compiuta dal primo giudice, non ha in alcun modo
indicato quale peso specifico, nella aestimatio del danno, abbia attribuito
alla compromissione della salute, rispetto al danno causato dal lutto.
Non è dunque possibile in alcun modo ricostruire l’iter logico seguito dal
giudice d’appello, e verificare se e come abbia accertato e valutato la
lesione dell’interesse, della perdita e del valore, secondo quanto esposto in
precedenza.
E’ appena il caso di ricordare, a tal riguardo, come sia principio pacifico e
risalente nella giurisprudenza di questa legittimità (a partire almeno da Sez.
3, Sentenza n. 357 del 13/01/1993, Rv. 480259, in motivazione, sino alla
più recente Sez. 3, Sentenza n. 21396 del 10/10/2014) quello secondo cui il
giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale alla salute deve
adottare un criterio in grado di garantire due principi:
(a) da un lato, assicurare la parità di trattamento a parità di danno,
attraverso l’adozione di un criterio standard uniforme;

Pagina 11

r

infatti ci troveremmo dinanzi a due interessi lesi, a due perdite (libertà e

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(b) dall’altro, garantire adeguata considerazione alle specificità del caso
concreto, attraverso la variazione in più od in meno del parametro standard.
Nel motivare le ragioni della propria decisione, pertanto, il giudice di merito
deve:
(a)

indicare quale sia il parametro standard adottato; come sia stato

(b) indicare se nel caso di specie, per quanto dedotto e provato dalle parti,
sussista la necessità di variare in più od in meno il criterio standard.
La motivazione con la quale il giudice di merito giustifica la liquidazione del
danno alla salute deve dunque essere tale da rendere comprensibile l’iter
logico, giuridico e matematico seguito dal giudice (ex infinitis, Sez. 3,
Sentenza n. 6088 del 20/03/2006, Rv. 590613).
Ove poi, come è d’uso, il giudice di merito ritenga di liquidare il danno alla
salute col criterio c.d. “a punto variabile” (come consentito e, a determinate
condizioni, imposto da Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv.
618048), nella motivazione non può esimersi dall’indicare:
(a) il valore monetario di base del punto;
(b) il coefficiente di abbattimento in funzione dell’età della vittima;
(c) le ragioni per le quali ha ritenuto di variare o non variare il risarcimento
standard.
Nel caso di specie, non uno di questi pacifici precetti è stato rispettato dalla
Corte d’appello di Firenze, la cui decisione deve pertanto essere cassata con
rinvio.

5.9. Il giudice di rinvio, nel procedere ad una nuova stima del danno non
patrimoniale patito dagli attori, si atterrà al seguente principio di diritto:
Il risarcimento del danno da fatto illecito presuppone che sia stato
leso un interesse della vittima, che da tale lesione sia derivata una
“perdita” concreta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., e che tale perdita sia
consistita nella diminuzione di valore d’un bene o d’un interesse.
Pertanto quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente
diversi, anche non patrimoniali, come il vincolo parentale e la
validità psicofisica, il giudice è tenuto a liquidare separatamente i

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(Kb

individuato e quali ne siano i criteri ispiratori e le modalità di calcolo;

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Udienza del 21 gennaio 2015

due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnícomprensività
del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha lo scopo di
evitare le duplicazioni risarcitorie, inconcepibili nel caso in cui il
danno abbia inciso su beni oggettivamente differenti.

di quello alla salute, sia di quello da lutto), infine, la Corte d’appello si
atterrà ai principi indicati supra, al § 5.8.

5.11. La seconda censura articolata col terzo motivo di ricorso (la
sottostima del danno non patrimoniale da uccisione del prossimo congiunto)
resta assorbita dall’accoglimento del primo profilo del terzo motivo di ricorso.
Infatti, non avendo la Corte d’appello in alcun modo spiegato quanta parte
del risarcimento complessivamente liquidato aveva lo scopo di compensare
la lesione della salute, è impossibile conoscere per differenza in che misura
sia stato liquidato il danno da lutto.
Pertanto, per effetto della cassazione della sentenza impugnata, il giudice
del rinvio dovrà liquidare nuovamente l’uno e l’altro dei suddetti danni,
rendendo ostensibile l’iter logico seguito nella determinazione del quantum.

6. Il quarto motivo di ricorso.
6.1. Anche col quarto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 1223, 1226, 2043,
2056, 2729 c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5,
c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello ha errato nel rigettare la loro
domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto ha mal
valutato le prove raccolte. Tali prove, secondo i ricorrenti, erano per contro
sufficienti a dimostrare una stabile contribuzione patrimoniale della vittima
a pro dei familiari conviventi.

6.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.

Pagina 13

ev‘d

5.10. Nel procedere alla nuova liquidazione del danno non patrimoniale (sia

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Udienza del 21 gennaio 2015

Esso, sotto la formale deduzione del vizio sia di legge che di motivazione, in
realtà sollecita una nuova e diversa valutazione delle prove, rispetto a
quella compiuta dal giudice di merito: il che non è consentito a questa Corte.
Né nel caso di specie si registra la mancanza totale o la irragionevolezza
della motivazione: la Corte d’appello ha infatti ritenuto che la vittima, in

destinasse il proprio reddito alle proprie esigenze ed al proprio
sostentamento. Ha soggiunto che la vittima, in considerazione dell’età (31
anni), se fosse rimasta in vita avrebbe verosimilmente costituito ben presto
un proprio nucleo familiare distaccandosi da quello d’origine, e che dunque
non fosse verosimile che dopo tale distacco vi sarebbe stata una
contribuzione stabile della vittima alle esigenze economiche dei genitori. Ha,
infine, soggiunto che il padre della vittima non era privo di reddito, e perciò
non aveva bisogno di aiuti da parte del figlio.
Questa motivazione è in sé del tutto logica, e come tale insindacabile in
questa sede. Se poi fosse anche l’unica consentita dalle prove raccolte,
come accennato, non è questione sindacabile in sede di legittimità.

Q

(1(1A-

7. Il quinto motivo di ricorso.
7.1. Anche col quinto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 91 e 92 c.p.c.); sia da
un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Lamentano, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel
compensare per un terzo le spese processuali del primo grado di giudizio, e
comunque non avrebbe motivato tale decisione.

7.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
Infatti il giudice di rinvio, dovendo valutare nuovamente alcuni dei motivi
dell’appello principale, a seconda dell’esito del nuovo giudizio provvederà
alla liquidazione delle spese dei due gradi di merito.

8. Le spese.

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virtù della misura del reddito, del proprio stile di vita e delle proprie passioni,

R.G.N. 24860/11
Udienza del 21 gennaio 2015

Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno
liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
– ) previa separazione della relativa domanda dalle altre, dichiara

– ) accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la
causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione;
– ) rigetta i restanti motivi di ricorso;
– ) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 21 gennaio 2015.

inammissibile il ricorso nei confronti di Sergio Nocentini;

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