Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9318 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.11/04/2017),  n. 9318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7636/2016 proposto da:

M.A., titolare della ditta Futura di M.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo

studio dell’avvocato LUCA VIANELLO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SIMONA MONTORFANO, TOMMASO LANDI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore in carica

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4011/12/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 22/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’08/03/2017 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica;

che M.A., quale titolare dell’omonima ditta individuale, propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Como. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto in parte il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento riguardante imposte IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno 2007;

che, nella decisione impugnata, la CTR ha ritenuto dimostrata la fittizietà dei costi posti in contabilità dalla ditta e la pretestuosità delle eccezioni dell’appellante.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo col quale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 23 del 2014, art. 8, comma 2, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, come modificato dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2 e L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che, secondo il M., il raddoppio dei termini avrebbe operato solo in presenza di una denuncia presentata non oltre la scadenza del termine ordinario: mancando l’allegazione della denuncia all’accertamento, l’Agenzia avrebbe dovuto tempestivamente produrne copia entro e non oltre il giudizio di primo grado;

che l’intimata si è costituita con controricorso;

che il motivo non è fondato;

che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati, in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Sez. 5, n. 16728 del 09/08/2016);

che, d’altronde il raddoppio dei termini presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 (Sez. 6-5, n. 11171 del 30/05/2016);

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.;

che, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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