Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9315 del 24/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9315 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 8935-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall avvocato UBERTI ANDREA, giusta delega in
2014

atti;
– ricorrente –

868
contro

EVOLA DORA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
EDOARDO GARBIN 29, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 24/04/2014

IACOPINI LUCA, rappresentata e difesa dagli avvocati
BRIGANDI’ MATTEO, CUCINOTTA ALESSANDRA, giusta delega
in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1005/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 16/10/2007 r.g.n. 320/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/03/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega UBERTI
ANDREA;
udito l’Avvocato CUCINOTTA ALESSANDRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16.10.2007, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame proposto
dalla società Poste Italiane p. a. avverso la decisione di prime cure )che aveva dichiarato il

diritto di Evola Dora ad essere inquadrata come dirigente, con decorrenza a fini normativi

dal 20.8.1999 ed, a fini economici, dal 20.5.1999, quale responsabile dell’Ispettorato per le
attività inerenti alla sicurezza dei servizi finanziari e postali nelle circoscrizioni Piemonte —
consistevano nella esecuzione degli incarichi conferiti dall’Ispettorato centrale, nella
effettuazione di verifiche mirate sull’andamento della gestione di grandi strutture territoriali
dell’ente, con riguardo ai risultati economici e produttivi raggiunti dalle strutture medesime,
nell’espletamento di incarichi riguardanti fatti che investissero la responsabilità di
personale di livello dirigenziale o eventi di particolare importanza, nella supervisione degli
accertamenti affidati agli Ispettorati territoriali e dell’organizzazione delle strutture esistenti
sul territorio di pertinenza, nella corretta programmazione ed utilizzazione del budget
assegnato agli Ispettorati sul territorio, nella ricognizione della situazione degli incarichi e
nella corretta utilizzazione delle risorse umane e materiali degli Ispettorati territoriali.
Il giudice del gravame, nel pervenire alla conferma della decisione appellata, rilevava che
centrale rilevanza ai fini della soluzione della controversia doveva essere attribuita al
documento con il quale si era provveduto ad istituire, nel 1996, gli Ispettorati di
coordinamento interregionale, in relazione ai quali si prevedeva che la relativa
responsabilità sarebbe stata assunta da figura di “dirigente”, che si sarebbe avvalso della
collaborazione di 1 Q1, 1 Q2 e 2 A o da reperire tra il personale applicato presso gli
Ispettorati periferici. In sostanza, era prevista, all’interno delle nuove strutture, una
gerarchia ben precisa rispetto alla quale non poteva assumere rilevanza la circostanza
che vi fosse un raccordo della struttura periferica con l’Ispettorato Centrale per farne
discendere una subordinazione del vertice della prima al secondo, posto che era
fisiologico che esistessero diversi livelli di responsabilità dirigenziale e che l’affidamento di
incarichi ed obiettivi dall’istanza centrale non escludeva la natura dirigenziale delle funzioni
svolte dalla Evola nei confronti del personale della struttura. Osservava che nei fatti la
Evola, dopo il maggio 1999, aveva diretto un’importante struttura a livello territoriale,
avente dimensione macro- regionale, provvedendo alla ripartizione degli obbiettivi annuali
che le venivano affidati tra le strutture subordinate ed al controllo dei risultati raggiunti.
Riteneva il giudice del gravame che i poteri di iniziativa e discrezionalità propri del

Valle d’Aosta — Liguria, rilevando che i compiti svolti dagli Ispettorati Interregionali

dirigente comportavano che, pur nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore
di lavoro, quest’ultimo fosse in grado di imprimere un orientamento ed un indirizzo al
governo complessivo dell’azienda o ad un settore autonomo di essa e che, nello specifico,
la tesi di un assoggettamento gerarchico della Evola non aveva trovato riscontro negli atti
di causa, se non nel limitato senso sopra chiarito.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione ad unico

Resiste, con controricorso, l’Evola.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c. c. e degli
artt. 21 del c.c.n.l. del 11.7.2003, per il personale dipendente delle Poste, ed 1 c.c.n.l. del
27.4.1995 per i dirigenti delle aziende industriali, in relazione agli artt. 1362 e ss. c. c.,
nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio. Rileva che il giudice del gravame ha omesso di considerare
alcune testimonianze che avevano evidenziato come, a seguito della trasformazione
subita da Poste con riorganizzazione della struttura sia a livello centrale, che locale, la
Evola aveva assunto il compito di coordinamento degli ispettorati locali e di interfaccia con
la Direzione Centrale, che vi erano strutture regionali rette da dirigenti e strutture rette,
invece, da quadri di primo livello e che era l’azienda a valutare se una struttura regionale
dovesse essere retta da un dirigente ovvero da un quadro Q 1. Osserva che l’errore
prospettico in cui è incorsa la Corte del merito è stato quello di attribuire valore decisivo
alla nota aziendale del 29.7.1996, senza considerare che nei fatti tale disposizione non
aveva avuto attuazione che per un limitato periodo, mentre era pacifico che ben diverso
era stato il contesto organizzativo cui era approdata la società nel 1999, al momento della
nomina della Evola, e che non era stato spiegato perché le mansioni della ricorrente non
fossero riconducibili all’inquadramento attribuitole, mentre tale controllo era doveroso
prima di effettuare il raffronto con le declaratorie della figura del dirigente.
Evidenzia anche che la declaratoria del c.c.n.l. per i Dirigenti di aziende industriali
caratterizza la funzione dirigenziale per l’elevato grado di professionalità, autonomia e
potere decisionale, in conseguenza dell’apporto diretto al fine di promuovere, coordinare e
gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa, senza alcuna dipendenza gerarchica,
laddove era emerso che la Evola era stata assunta nell’ambito di direttive impartite dal
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motivo, illustrato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Centro e per il raggiungimento di obiettivi predeterminati, facendo capo la
programmazione annuale delle verifiche da effettuare al livello centrale, e potendo il
responsabile regionale unicamente validare gli atti di ordinaria amministrazione, ogni
iniziativa assunta in caso di urgenza dovendo essere ratificata dalla struttura centrale e
cioè dall’Ispettorato Servizi. Anche per le iniziative disciplinari la Evola era soltanto
incaricata di validare i “reports” provenienti dagli Ispettorati di zona per poi farli proseguire
o di valutazione, assumendone la responsabilità esclusivamente riguardo alla
completezza e tempestività. Analogamente, il “budget” non era stato mai assegnato alla
Evola, se non nei limiti del “sub budget” necessario all’operatività dell’ufficio e lo stesso
veniva gestito direttamente dall’ispettorato centrale, mentre era compito della stessa
predisporre i necessari consuntivi. In conclusione, la lavoratrice, pur godendo di ampia
autonomia nell’esecuzione dei propri compiti, non aveva mai contribuito a determinare gli
obiettivi del settore o dell’ufficio di assegnazione, avendo provveduto ad eseguire le
indicazioni provenienti dai suoi superiori gerarchici a livello centrale, posto che ogni
decisione assunta passava al vaglio dei superiori gerarchici. Gli incarichi svolti erano,
dunque, ascrivibili alle funzioni di Responsabile di struttura Complessa, proprie della
qualifica di Quadro di I livello e ciò era confermato dal riconoscimento, nell’ambito del
profilo Q1 (A 1) di un superiore parametro retributivo in caso di assegnazione di specifici
incarichi o progetti, recante il codice 811.
Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, posto che la censura riguarda la violazione e falsa applicazione degli
articoli della contrattazione collettiva nazionale di riferimento, va rilevato che la ricorrente
si limita ad inserire nel corpo del ricorso, e non unitamente allo stesso, il testo di singoli
articoli che sarebbe stato suo onere produrre con quello dell’intero c.c.n.I., secondo le
norme che regolano il procedimento in cassazione.
Ciò contrasta con il principio affermato da questa Corte, secondo cui l’art. 369, secondo
comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale),
a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto
privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci,
con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi
collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel
testo sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad
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verso il Servizio competente dell’Ispettorato centrale unitamente ad una nota di commento

oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma
l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali
disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla
Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della
contrattazione collettiva di livello nazionale (cfr. Cass., s. u. 23 settembre 2010 n. 20075;
conf. Cass 15 ottobre 2010 n. 21358). Più di recente, è stato, poi, osservato che, in tema
cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di
produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o
accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di
strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel
fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano
contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il
deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto
ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di
specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti,
dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi. (cfr. Cass., s. u., 3.11.2011
n. 22726).
Alla stregua di tali osservazioni, considerato che nell’ambito della produzione
documentale dei gradi di merito è contenuto non il testo degli interi contratti collettivi su cui
si incentra il giudizio, ma solo uno stralcio degli stessi, riguardante gli articoli richiamati,
deve ritenersi sussistente l’evidenziato profilo di improcedibilità in relazione alla censura
riguardante l’interpretazione della normativa contrattuale.
Peraltro, deve anche osservarsi che il c.c.n.l. in vigore all’epoca dei fatti era quello del
1994, sicchè improprio è il richiamo all’art. 21 del c.c.n.l. 21.7.2003, senza considerare che
l’Evola, secondo la condivisibile ricostruzione operata dalla Corte del merito, aveva la
responsabilità non già di una unità organizzativa, bensì di due funzioni dell’Ente (servizi
postali e sevizi finanziari), e sul territorio era il massimo referente, secondo le previsioni
relative alla funzione di Responsabile regionale, inquadrata in ambito dirigenziale, con
poteri propositivi e di validazione degli atti ispettivi prodotti dalle articolazioni dipendenti e
responsabilità degli atti conseguenti, valutazione del personale e promozione,
coordinamento e realizzazione degli obiettivi aziendali. E’ stato evidenziato che anche in
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di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4,

seguito alla modifica dell’assetto organizzativo, con previsione dell’ “Audit Manager” al
posto del Responsabile Regionale, a partire dal 2002, nulla nella sostanza era mutato
quanto alla posizione funzionale della responsabile della struttura macroregionale.
Ogni altro rilievo è volto ad avallare una ricostruzione dei fatti meramente contrappositiva
rispetto a quella posta a fondamento della decisione. Al riguardo deve osservarsi che in
sede di legittimità è consentita soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del
proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti , (cfr., tra le altre,
Cass., s. u., 5802/1998; Cass. 15693/2004, Cass. 11936/2003).
Nel caso considerato, con riguardo al vizio motivazionale dedotto, si tende, invece, a
sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità,
posto che l’assunto della erronea individuazione dei caratteri tipici della posizione
dirigenziale della Evola poggia sulla considerazione della inidoneità dell’apprezzamento
compiuto dal giudicante con riguardo alle caratteristiche dell’attività svolta. Le censure
mirano a sollecitare in tal modo una rivisitazione del merito, non consentita nella presente
sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di
motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve
contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 n.4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di
motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di
carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa
censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di
giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di
coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli
argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far
valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito
all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo
preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali
aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di
prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai
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correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal

possibili vizi dell’iter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in
esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n.5
cod. proc. civ. in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in
base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime
considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non
accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi,
motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle,
tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè
sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n.
120520).
Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va respinto e le spese del presente
giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico della ricorrente nella misura
indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in ROMA, in data 11.3.2014

giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata

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