Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9313 del 20/04/2010

Cassazione civile sez. III, 20/04/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 20/04/2010), n.9313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1033/2005 proposto da:

2 EMME SRL (OMISSIS) in persona del suo legale rappresentante pro

tempore Sig. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI BENITO

PIERO, rappresentata e difesa dall’avvocato RELLI AMEDEO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. PUCCINI 10, presso le studio dell’avvocato FERRI

GIANCARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato BINI RENZO giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1843/2003 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, 1^

SEZIONE CIVILE, emessa il 7/10/2003, depositata il 20/11/2003,

R.G.N. 1354/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 6 novembre 1998 la s.r.l. 2 Emme si opponeva al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto nel settembre 1998 dall’avv. L.G. a titolo di restituzione di una somma (L. 9.585.780) anticipata quale suo legale in altra procedura monitoria in cui alla società era stato intimato il pagamento di canoni. A fondamento dell’opposizione deduceva di non aver conferito alcun mandato alla L. di pagare per suo conto in detto altro processo e perciò il pagamento era avvenuto a sua insaputa, per nascondere la responsabilità professionale dell’avvocato nella difesa;

in ogni caso,la stessa era subentrata nella posizione del creditore della 2 Emme e poichè l’ultimo dei canoni da quello pretesi era del giugno 1991, il credito era prescritto ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 3.

La L. replicava di aver anticipato la somma x nell’ambito del suo rapporto professionale, adempiendo un, debito della cliente, diverso da quest’ ultimo quale conduttore.

Il Tribunale di Firenze, sez. di Empoli, riteneva che la L. era subentrata nei diritti dei locatori e perciò dichiarava prescritto il suo credito.

Interponeva appello la L. contestando l’applicabilità dell’art. 2036 c.c., comma 3, ed invocando l’applicazione dell’art. 2041 c.c., con conseguente prescrizione decennale.

Con sentenza del 20 novembre 2003 la Corte di appello di Firenze accoglieva il gravame della L. sulle seguenti considerazioni: 1) la surrogazione del solvens nei diritti del creditore, a norma dell’art. 2036 c.c., comma 3, postula pur sempre che quegli creda erroneamente di esser debitore, ma non abbia azione nei confronti dell’accipiens e quindi nella fattispecie è inapplicabile; 2) la domanda di indebito arricchimento non era stata proposta per la prima volta in appello perchè la L. nel ricorso per decreto ingiuntivo si era limitata a chiedere il rimborso del pagamento di un debito altrui senza qualificare ex contractu il suo credito e dunque i fatti non erano mutati in appello perchè il suo impoverimento e l’arricchimento della cliente erano in re ipsa e la qualificazione del rapporto spetta al giudice; 3) perciò era applicabile la prescrizione decennale senza in tal modo aggravare la posizione del debitore perchè, per effetto dell’art. 2953 c.c., la prescrizione per il pagamento dei canoni dovuti dalla stessa era divenuta decennale a seguito della sentenza del settembre 1996 con cui il giudice aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da detta società avverso il pagamento dei canoni; 4) dagli atti prodotti dalla 2 Emme risultava che questa aveva consegnato le chiavi il 29 ottobre 1990, mentre il Pretore di Empoli aveva dichiarato, con (Ndr: testo originale non comprensibile) sentenza del 1996 passata in giudicato che la disdetta dal contratto era astrattamente idonea dall’agosto 1990, e però fino al novembre del 1990 i canoni erano dovuti perchè i locali non erano liberi; pertanto la dedotta responsabilità professionale della L. era irrilevante.

Ricorre per cassazione la s.r.l. 2 Emme cui resiste L.P.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce: “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione di norme di diritto. Errata interpretazione dell’art. 2036 c.c.. Surrogazione del solvens nei diritti del creditore. Prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 3. Insufficiente (inesistente) motivazione sul punto”.

La Corte di merito, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui per l’applicabilità dell’art. 2036 c.c., comma 3, surrogazione nei diritti del creditore che un terzo abbia soddisfatto – non necessita l’errore del solvens, inspiegabilmente ha poi affermato, invocando opinioni dottrinarie non specificate, che comunque anche per la predetta norma occorre l’errore del solvens, da escludere nella fattispecie. Invece è questa la norma applicabile in caso di mancanza di errore o errore inescusabile che determina l’autoresponsabilità del solvens che perciò non può ripetere quanto ha pagato e che l’accipiens in buona fede ha ritenuto pagamento efficace. In questo caso, il solvens si surroga legalmente all’accipiens a norma dell’art. 1203 c.c., n. 5, con conseguente opponibilità dell’eccezione di prescrizione, riconosciuta dal giudice di primo grado. Non è invece applicabile la prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c., affermata dai giudici di appello come obiter, perchè la L. non ha agito chiedendo il rimborso dei canoni pagati, e tale circostanza è perciò estranea al, thema decidendum, nè è stata dimostrata la definitività della sentenza che ha respinto l’opposizione della società 3 Emme al decreto ingiuntivo nei suoi confronti per detto titolo e comunque la L. aveva pagato a causa della provvisoria esecuzione del decreto, non per il rigetto dell’opposizione.

1.1 – Con il secondo motivo la medesima deduce: “deduce: “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, Falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Novità della domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., Insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto”.

In primo grado la L. aveva chiesto la restituzione di quanto pagato in forza del mandato professionale. Quindi le norme invocate in appello – artt. 1180 e 2041 c.c., opposte tra loro, sono domande nuove. L’art. 1180 c.c., infatti richiede l’adempimento per conto del debitore in forza di un atto negoziale mentre l’art. 2041 c.c., è pagamento senza causa. La L. in appello peraltro anche in relazione all’art. 2041 c.c., ha invocato il contratto professionale, mentre in primo grado ha invocato il rapporto professionale – senza mai dimostrarlo – e dunque l’art. 2041 c.c., che si basa sull’inesistenza del vincolo negoziale, non poteva esser invocato per la prima volta in appello.

I motivi, congiunti, sono infondati.

1.1 – Va infatti innanzi tutto riaffermato che la domanda di arricchimento senza causa può essere proposta anche per la prima volta in appello, purchè prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado (Cass. 8110/2000, 7033/2005), come correttamente evidenziato – punto 2 della narrativa – dalla sentenza impugnata.

2.- Quindi, poichè le Sezioni Unite (9946/2009) hanno affermato che l’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., determina l’estinzione dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore – non essendo in tal caso configurabili nè la surrogazione per volontà del creditore, prevista dall’art. 1201 c.c., nè quella per volontà del debitore, prevista dall’art. 1202 c.c., nè quella legale di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito – e che la consapevolezza da parte del terzo di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., n. 5, e art. 2036 c.c., comma 3, – la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all’indebito soggettivo “ex latere solventis”, ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio – ne deriva che il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore, può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore. Pertanto correttamente la Corte di merito, qualificata di indebito arricchimento l’azione della L., ha respinto l’eccezione di prescrizione.

2.- Con il terzo motivo la società deduce: “Art. 360 c.p.c., n. 5. Contraddittoria ed erronea motivazione circa la responsabilità professionale dell’avv. L.. Sussistenza della responsabilità professionale. Insussistenza anche nel merito della domanda di ingiustificato arricchimento”.

La Corte di merito ha escluso la responsabilità professionale della L. che aveva assicurato la 2 Emme che con la restituzione delle chiavi non avrebbe più pagato canoni, ritenendo tale errore irrilevante perchè detta 2 Emme aveva pagato i canoni in quanto non aveva liberato i locali prima del novembre 1990. Ma in tal modo ha travisato i fatti. Infatti la 2 Emme aveva sgomberato dal 1989, come testimonialmente provato, e le poche cose lasciate hanno soltanto consentito ai locatori di lucrare un altro mese di affitto. Il rigetto dell’opposizione al pagamento dei canoni è avvenuto per non aver la conduttrice messo in mora i locatori a norma dell’art. 1216 c.c., e art. 1209 c.c., comma 2, e quindi i canoni erano dovuti per colpa professionale della L., che invece aveva ritenuto (che dalla restituzione delle chiavi, avvenuta nel marzo, 1990, ancorchè non ricevute dai locatori, la Emme 2 non doveva pagare più canoni e su questo erroneo presupposto ha proposto le opposizioni ai decreti ingiuntivi per il pagamento di essi. Accortasi dell’errore poichè il giudice aveva concesso la provvisoria esecuzione, la L. pagò spontaneamente per risarcire il danno e non far emergere la sua responsabilità professionale.

Il motivo, che chiede una diversa valutazione dei fatti – peraltro richiamando l’accertamento di fondo secondo il quale essa non aveva liberato completamente i locali fino al novembre 1990 – interpretati con motivazione ampia ed immune da vizi dalla sentenza impugnata – punto 4 della narrativa – è inammissibile.

3.- Concludendo il ricorso va respinto.

Si compensano le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

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