Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9313 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 11/04/2017, (ud. 02/03/2017, dep.11/04/2017),  n. 9313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26350/2012 proposto da:

COSTRUZIONI EDILI B.L. & C. SNC, (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo

studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GAVINO SPIGA giusta procura in calce al

controricorso;

– ricorrente –

contro

R.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1766/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Claudia Del Pozzo per delega dell’Avvocato D’Errico

per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 10 maggio 2002 la Costruzioni Edili B. & C. s.n.c. conveniva in giudizio R.V. per sentirlo condannare al pagamento della somma 38.697,15 oltre Iva e saldo dei lavori eseguiti su incarico del convenuto, per la ristrutturazione di un fabbricato ad uso abitazione e commerciale, giusta contratto del (OMISSIS).

Si costituiva il convenuto che concludeva per il rigetto della domanda con la conseguente inesigibilità degli importi relativi al terzo ed al quarto acconto.

In via riconvenzionale chiedeva annullarsi il contratto integrativo dell’11 ottobre 2001, laddove prevedeva una maggiorazione dei prezzi poichè gli era stato imposto con la minaccia da parte dell’appaltatrice, instando pertanto per la sostituzione delle parti invalide, oltre al risarcimento dei danni. Evidenziava l’esistenza di vizi e difetti dell’opera, in relazione ai quali chiedeva la riduzione proporzionale del prezzo, nonchè i danni scaturenti dal mancato rispetto dei termini di consegna, danno eventualmente da compensare con il controcredito dell’attrice.

Il Tribunale di Venezia – sezione distaccata di Dolo, con la sentenza n. 45 del 2007 condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 20.816,89 oltre IVA ed interessi legali, compensando per un terzo le spese di lite, e ponendo la residua parte a carico del convenuto.

A seguito di appello proposto dal R., ed intervenuta la proposizione dell’appello incidentale da parte della B., la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1766 del 7 agosto 2012, in accoglimento del gravame principale e di quello incidentale, condannava l’appellata al pagamento della somma di Euro 1.445,11 oltre interessi legali dal 3/7/2002 al saldo, compensando integralmente le spese di consulenza tecnica.

In merito alla domanda di annullamento dell’accordo integrativo, ne rilevava l’inammissibilità sia perchè non era stata reiterata in sede di conclusioni dinanzi al giudice di primo grado, per essere stata poi riproposta solo con l’appello, sia perchè la reiterazione non si peritava di contrastare le ragioni in base alle quali il Tribunale l’aveva ritenuta infondata.

Passando quindi alla disamina del primo motivo di appello, riteneva che fossero fondate le doglianze del R., il quale richiamando la previsione dell’accordo integrativo, deduceva che dal compenso dovuto andava detratto l’importo di Euro 8.602,00, pari al costo dei tracciati di scannellatura idraulico ed elettricista che erano previsti a carico dell’impresa nel contratto, ma a titolo di sconto, e cioè senza addebito alla committenza che invece vi aveva provveduto autonomamente.

Del pari fondato era da reputarsi il secondo motivo di appello, con il quale il convenuto si doleva della riduzione delle somme dovute a titolo di risarcimento danni da Lire 17 milioni a Lire 12 milioni.

In tal senso, e quanto ai danni derivanti dall’erronea realizzazione della scala di acceso al primo piano del locale adibito a pizzeria, rilevava che dalla CTU emergeva l’errore commesso dall’impresa, a nulla rilevando che l’errore fosse presente anche nel progetto, in quanto l’appaltatore avrebbe dovuto astenersi dal dare esecuzione al progetto prima di avere segnalato al committente la presenza dello stesso.

Ininfluenti erano poi gli errori imputabili al marmista, atteso che la scala andava completamente ricostruita.

Veniva però disattesa la richiesta di risarcimento del danno per la chiusura del locale, a causa degli errori dell’appaltatore, posto che l’attività commerciale era nella titolarità della moglie del R., la quale pur avendo conferito mandato allo stesso difensore del coniuge con la comparsa di risposta in primo grado, non ebbe a formulare alcuna domanda.

Quanto all’appello incidentale con il quale la B. contestava la tempestività della denunzia dei vizi operata dal R., rilevava che correttamente il Tribunale, sulla scorta delle prove in atti, aveva individuato nella data del 15 marzo 2002 quella di completamento dei lavori, così che il motivo era inammissibile in quanto non si confrontava con quanto accertato in tal senso.

Inoltre la critica era inconferente in quanto la stessa decisione gravata aveva ritenuto che le opere eseguite prima dell’accordo integrativo erano state effettivamente accettate dal committente.

Quanto all’individuazione dei vizi idonei a determinare una riduzione del compenso, riteneva fondate le doglianze dell’appellante incidentale quanto al mancato lievo e/o sovrapposizione dell’intonaco preesistente sulla parete esterna lato nord e quanto alle fessurazioni delle tavelle, ritenendo invece di confermare la sussistenza degli altri vizi così come accertati dal giudice di prime cure.

Per l’effetto il conteggio operatorio dal CTU alle pagg. 15 e 16 andava corretto, provvedendosi alla riduzione di Euro 800,00 del costo per le riparazioni, che quindi andava rideterminato nella somma di Euro 40.142,26.

Poichè all’appellante incidentale compete la somma di Euro 38.697,15, la B. doveva essere condannata al pagamento in favore del R. della differenza pari ad Euro 1445,11.

La Costruzioni Edili B.L. & C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

R.V. non ha svolto difese in questa fase.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la nullità della sentenza per inidoneità e/o illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c..

Si sostiene che la Corte distrettuale nel rideterminare le reciproche poste di dare ed avere, ed all’esito dell’accoglimento dell’appello principale, quanto alla misura del risarcimento del danno derivante dalla ricostruzione della scala, e dell’appello incidentale, quanto alla corretta individuazione dei vizi cagionati dall’operato dell’appaltatrice, aveva richiamato il conteggio del CTU di cui alle pag. 15 e 16, affermando che da tale conteggio andava detratta la somma di soli Euro 800,00, ed ha quindi statuito che le somme dovute al committente ammontavano ad Euro 40.142,26.

In tal modo è incorsa in un evidente errore, atteso che la stessa CTU evidenzia alle pagine richiamate, che il perito di ufficio aveva inizialmente statuito che il minor valore dell’appalto a causa dei danni – vizi lamentati dal committente era pari ad Euro 30.942,27, e non Euro 40.942,27, come invece affermato dal giudice di merito.

Trattasi quindi di un errore che non può essere semplicisticamente ricondotto all’errore materiale o di calcolo, ma che è in grado di dare vita ad un errore di giudizio emendabile unicamente con la proposizione dei mezzi ordinari di gravame, e nel caso di specie con il ricorso in cassazione.

Ne discende che una volta emendato il suddetto errore, e stabilito che le somme dovute per tale causale al R. ammontano ad Euro 30.142,27, essendo stata determinata la somma dovuta all’impresa a titolo di saldo in Euro 38.697,15, la ricorrente deve essere riconosciuta creditrice della somma di Euro 8.554,89.

Il motivo è fondato.

Ed infatti, come correttamente richiamato dalla difesa della ricorrente, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 795/2013) l’errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di una operazione è deducibile in sede di legittimità, in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell’errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo, il quale è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 c.p.c. e segg. (conff. ex multis Cass. n. 4859/2006; Cass. n. 9689/1999).

Nel caso di specie la determinazione della somma riconosciuta a credito del committente scaturisce non già da un errore di calcolo ma dall’erronea individuazione dell’importo che era stato riconosciuto come dovuto in favore del R. alla luce delle operazioni peritali, essendosi quindi operata la corretta operazione di compensazione tra poste creditorie reciproche, non già errando sotto il profilo dell’operazione matematica, ma effettuando la compensazione sulla base di una inesatta determinazione di uno dei presupposti numerici dell’operazione.

Il riscontro con quanto riportato in CTU, conforta la bontà dell’assunto di parte ricorrente, e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua.

2. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza per inidoneità e/o illogicità della motivazione in ordine alla valenza attribuita all’atto ricognitivo dell’11 ottobre 2001 e/o in violazione degli artt. 2702 e 1372 c.c., artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

La critica investe la decisione di appello nella parte in cui ha escluso che potesse essere riconosciuta in favore dell’appaltatrice la somma di Euro 8.602,00, pari al costo dei tracciati di scannellatura idraulica ed elettricista, che nell’accordo integrativo citato erano compresi come sconto nell’importo totale dovuto in favore della società.

Si sostiene che tale conclusione non tiene conto dell’efficacia probatoria dell’atto ricognitivo in questione sicchè la corretta lettura della clausola che prevedeva lo sconto non poteva che indurre a ritenere che le somme de quibus non erano in realtà state incluse in quanto dovuto alla B. per effetto dello stesso accordo integrativo.

Il motivo è palesemente destituito di fondamento.

Ed, invero la formulazione dello stesso denunzia in maniera evidente la violazione del principio di autosufficienza in quanto pur contestando la corretta valutazione dell’efficacia dell’accordo de quo, omette di riportarne in motivo la sua precisa formulazione, in violazione di quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Inoltre, la doglianza, ad onta della letterale formulazione della rubrica, mira nella sostanza a contestare l’attività di interpretazione della volontà delle parti, accertamento in fatto chiaramente demandato al giudice di merito, senza nemmeno peritarsi di individuare se e quali norme di ermeneutica contrattuale siano state eventualmente violate.

3. Il quarto motivo di ricorso denunzia la nullità della sentenza per erroneità e/o illogicità della motivazione in ordine al mancato accoglimento dell’appello incidentale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

Nella prima parte del motivo si lamenta la contraddittorietà della motivazione in quanto pur affermandosi che era dovuto l’intero importo di Lire 17.000.000 per il rifacimento della scala in questione, nelle conclusioni si assumeva che la diminuzione dell’importo non era giustificato.

La deduzione è priva di fondamento, in quanto il riferimento alla natura non giustificata della diminuzione è univocamente riferita alla riduzione delle somme dovute a titolo risarcitorio in favore del committente, essendo escluso che ciò sia in contraddittorietà logica con l’accoglimento dell’appello principale sul punto.

Quanto alla restante parte delle critiche, sempre in relazione alla questione della scala, la doglianza si risolve in un’ingiustificata e non consentita aspirazione ad una diversa valutazione dei fatti di causa ad opera di questa Corte.

In disparte evidenti profili di difetto di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 6, nella parte in cui non risulta puntualmente riportato il tenore delle conclusioni del CTU, ovvero laddove si sostiene che la soluzione della Corte di merito avrebbe del tutto svalutato le risultanze della prova orale, la sentenza gravata ha fornito ampia ed esauriente argomentazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto imputabile all’appaltatrice le difformità della scala e sulla necessità di dover provvedere alla sua demolizione, non spiegando alcuna rilevanza la circostanza che il manufatto sia stato ritenuto conforme alla normativa urbanistica, essendo invece necessario verificarne la rispondenza alle intese tra le parti, essendosi evidenziata l’ininfluenza dell’errore commesso dal marmista (attesa la necessità di dover comunque procedere alla demolizione per l’esistenza di ben più rilevanti carenze strutturali). Analoghe considerazioni vanno poi prese in relazione alla seconda parte del motivo con la quale la medesima censura di illogicità e contraddittorietà della motivazione viene rivolta avverso la decisione del giudice di appello di disattendere l’appello incidentale quanto alla ricorrenza dei vizi lamentati dal committente.

In merito poi alla specifica questione della decadenza dalla garanzia, il motivo si presenta privo del requisito dell’autosufficienza, laddove omette di trascrivere il contenuto delle pretese missive che sarebbero state erroneamente interpretate dal giudice di merito, e dalle quali si è tratto invece il convincimento della tempestività della denunzia, in ragione della data di conclusione dei lavori. Inoltre non si confronta con la ratio della decisione che sul punto ha in realtà inteso segnalare la inammissibilità del motivo di appello incidentale, essendosi sottolineato che l’appellante incidentale si era limitato a riportare le argomentazioni spese in primo grado, senza riscontrare quanto deciso dal Tribunale, carenza questa che impinge evidentemente nel vizio di difetto di specificità del motivo di appello ex art. 342 c.p.c..

Il motivo di ricorso in parte qua non contesta affatto tale valutazione operata dal giudice di appello, e quindi non è dato sollecitare una nuova (e peraltro non consentita) rivalutazione degli elementi di fatto, senza prima premurarsi di confutare l’affermazione in merito alla mancanza di una puntuale critica alla ricostruzione del giudice di primo grado.

Quanto infine alla contestazione circa la valutazione della sussistenza dei vizi, al netto di quelli per i quali è stato accolto l’appello incidentale, il motivo si risolve in una surrettizia istanza di rivalutazione del merito della causa connotata anche dal richiamo ad atti o a deposizioni testimoniali dei quali si omette di riportare il contenuto in ricorso, violando in tal modo i requisiti di ammissibilità che pone il codice di rito.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso, con la necessità di dover nuovamente intervenire sulla complessiva regolamentazione delle spese di lite, determina poi l’assorbimento del secondo motivo di ricorso con il quale, partendosi dal presupposto della fondatezza del primo motivo, e quindi ritenendosi che ciò avrebbe determinato il riconoscimento della qualità di creditore in capo alla ricorrente, si sostiene che la regolamentazione delle spese del giudizio doveva essere diversa da quella operata dal giudice di merito che invece aveva optato per la compensazione integrale.

5. In considerazione dell’accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata.

Tuttavia, tenuto conto del rigetto degli altri motivi di ricorso, e non apparendo necessarie ulteriori indagini in fatto, tenuto conto dell’entità dei crediti reciprocamente riconosciuti in favore delle due parti contrattuali, appare possibile pervenire alla decisione nel merito, con la conseguente condanna del R. al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 8.554,89, oltre IVA ed interessi legali a far data dalla domanda (10 maggio 2002) al saldo.

6. Considerato l’esito complessivo del giudizio che ha visto solo in parte accolte le reciproche pretese creditorie, con il riconoscimento in favore della ricorrente di un credito di gran lunga inferiore rispetto a quanto richiesto in citazione, e ciò anche in conseguenza delle riscontrata realizzazione di un’opera affetta da vari vizi e difformità, e considerato che anche il ricorso avanzato in questa sede è stato solo in parte accolto, si ritiene che sussistano le ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il terzo ed il quarto motivo, ed assorbito il secondo, cassa il provvedimento impugnato e decidendo nel merito, condanna R.V. al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 8.554,89, oltre IVA ed interessi legali a far data dal 10 maggio 2002 al saldo;

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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